sabato, settembre 30, 2023

Matteo Messina Denaro, la psicologia di un boss


Dopo la morte di Matteo Messina Denaro

GIOVANNI BURGIO

Tra le tante riflessioni che si possono fare sulla lunga latitanza di Matteo Messina Denaro, ce n’è una che mi pare interessante e che merita un accurato approfondimento. È un aspetto che forse serve a capire meglio la psicologia di questo personaggio. Qualcosa, che assieme ad altri fattori, potrà in futuro delineare meglio la sua personalità.

Riguarda l’ultimo periodo della clandestinità. Negli ultimi due anni questo singolare esponente della corrente mafiosa corleonese ha adottato un preciso e determinato metodo di vivere: uscire allo scoperto, esporsi, mimetizzarsi nella massa facendo una vita normale. Voleva sembrare uno qualsiasi, con abitudini comuni e modi di vivere tranquilli.

È vero che questa strategia può averla scelta anche perché non c’erano foto che mostravano il suo volto. L’ultima era quella di un giovane ventenne degli anni ’80 con i Ray-Ban. Per il resto erano stati disegnati solo alcuni bozzetti del viso che ne evidenziavano il lungo passare del tempo; l’ipotesi di una faccia possibile. Ma niente di sicuro, di certo.

E certamente se non ci fosse stata la terribile diagnosi della malattia ‘u siccu avrebbe continuato a celarsi, a rimanere nell’ombra, più o meno protetto. E la latitanza di trent’anni sarebbe durata ancora. Ma non a lungo ormai, ed è bene dirlo, perché negli ultimi anni, ben 250 fra i suoi prestanome e favoreggiatori sono stati arrestati.


Ma sta di fatto che da quando Messina Denaro ha scoperto di essere vulnerabile, di avere un tumore, ha scelto di giocarsi il tutto per tutto. E ha perfino utilizzato le strutture pubbliche per curarsi, abolendo le necessarie precauzioni e facendo le normali trafile sanitarie imposte a tutti i cittadini. E non era questa un’opzione facile, naturale e logica da prendere. Altri boss nel passato hanno fatto diversamente. Bernardo Provenzano è andato in Francia per farsi operare di prostata. Altri capimafia si sono curati privatamente, ricorrendo a medici e strutture conniventi e compiacenti.

E comunque questa risoluzione di Messina Denaro segna probabilmente la rottura generazionale con i vecchi capi. Non più gli arcaici “uomini d’onore” rintanati nei loro angusti covi, legati alla terra e dai “piedi incritati”. ‘U siccu con questa scelta ha infranto lo stereotipo del mafioso che si nasconde e non appare mai, che sta zitto e subisce in silenzio. Lui d’altronde è stato un’altra cosa, ha avuto un’altra modalità di vivere. Da sempre attento all’estetica, ha ostentato lusso ed eleganza. Non si è risparmiato viaggi, giocate ai casinò, vari piaceri.

Quando, però, è arrivato il tremendo verdetto sui suoi disturbi fisici Messina Denaro ha finito di essere maniacalmente guardingo, attentissimo a eludere le possibili occasioni del suo riconoscimento, cambiare continuamente le persone che curavano la sua latitanza, raccomandare ossessivamente alla sorella di strappare subito i pizzini ricevuti.

E il latitante più ricercato d’Italia ha mutato strategia, ha rivoluzionato il suo modo di gestire la vita da fuggiasco. Ha capovolto di 360° il suo punto di vista e la posizione in cui si trovava.

Ha quindi optato per fare una vita comune, la vita di un uomo normale che vive in mezzo alla società. Uscire da casa, stare in strada, fare conoscenze e amicizie, come una persona qualsiasi. Accettare inviti, portare regali ai padroni di casa, festeggiare le ricorrenze. E utilizzare, come tutti noi, i cellullari, facendo foto, scattando selfie, chattando. Parlare, scherzare, e soprattutto non negarsi mai, anzi confidarsi. Con particolari sui propri sentimenti e le proprie esperienze, spiegando le proprie idee ed esponendo la propria filosofia di vita. 

Insomma, quelli che lo incontravano e lo frequentavano avrebbero potuto pensare che fosse un uomo aperto e sincero, perfino ponderato e saggio.

Ecco, in questo senso io penso che Messina Denaro si sia rivelato un abile attore, un riuscito camuffatore della propria condizione. E poi rilevo anche la notevole propensione al rischio e all’azzardo. Tanto che molti, giudicando incomprensibile e assurda la sua decisione di uscire dall’ombra, hanno pensato “Ma come? Si fa i selfie? Manda in giro le sue foto?”.

E non c’è dubbio che c’è anche il tratto di un atteggiamento spavaldo, di sfida. Quasi una lotta all’ultimo sangue con chi gli dava la caccia. E infatti il criminale, dopo l’arresto, ha confermato quest’ultima sua caratteristica. Che poi, in definitiva, si avvicina molto al tipico comportamento dei boss: non parlare, non collaborare, mai pentirsi. Essere arroganti e portarsi nella tomba tutti i delitti e le atrocità commesse.

Ecco, volevo porre all’attenzione degli studiosi della psiche e della personalità umana questo capovolgimento del modo di fare, questo immediato e sorprendente camaleontismo, questa capacità di sorprendere e stupire gli avversari.

Giovanni Burgio

30.9.23

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