lunedì, settembre 11, 2023

Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba: a cinquant‘anni dal golpe militare in Cile, l’eredità di Allende


Cinquanta anni fa si consumava una delle pagine più oscure e cruente della storia della democrazia e del movimento operaio: il mattino dell’undici settembre 1973 il palazzo della Moneda fu bombardato e preso d’assalto. Salvador Allende, di fronte alle intimazioni di resa, rispose con parole che lo collocarono per sempre tra i grandi dell’America Latina e del socialismo: “… non mi dimetto… pagherò con la vita …. ho la certezza che il seme che abbiamo consegnato alla coscienza degna di migliaia di cileni non potrà essere distrutto”.

Terminava nel sangue un originale esperimento, battezzato come “via cilena al socialismo”, fondato sul riconoscimento delle prerogative istituzionali e parlamentari unito ad una forte mobilitazione popolare a sostegno di profonde riforme sociali ed economiche: nazionalizzazione dell’industria del rame e di tutte le altre miniere, riforma agraria senza indennizzi, promozione di misure a sostegno dei più poveri.

Questo progetto di radicale trasformazione venne avversato dagli USA e dalla grande borghesia cilena. Gli Stati Uniti, dopo la vittoria della Rivoluzione cubana e dopo la vergognosa fuga dal Vietnam, non potevano accettare una nuova bruciante sconfitta proprio nel “cortile di casa”.

Molti documenti, resi pubblici da alcune inchieste promosse dal Senato USA, hanno dimostrato che l’allora Presidente Richard Nixon (noto per il suo esacerbato anticomunismo e lo spregio per le regole democratiche che gli costarono l’impeachment) promise al capo della CIA risorse illimitate per distruggere il governo di Unidad Popular.

Tali documenti testimoniano anche la preoccupazione che un possibile successo della via cilena al socialismo potesse avere ripercussioni anche al di fuori del continente americano, segnatamente in Italia e Francia, dove allora esistevano forti partiti comunisti.

La repressione dei militari fu terribile: decine di migliaia di persone vennero segregate nelle prigioni o in stadi di calcio trasformati in campi di concentramento, in migliaia vennero torturate, uccise, molte altre, aderenti ai partiti di sinistra o ai sindacati dovettero fuggire scegliendo la via

dell’esilio.

La giunta militare al potere cancellò ogni spazio di attività democratica, costringendo gli oppositori ad operare in clandestinità, con il rischio di perdere la vita.

Sul piano economico il governo favorì la completa privatizzazione di industrie, banche, miniere e terre coltivabili, dando pedissequa applicazione delle teorie monetariste di Milton Friedman e dei

suoi accoliti, i “Chicago Boys”. In un primo momento la ricetta sembrò funzionare con la

diminuzione dell’inflazione e un piccolo aumento del PIL, pagato con un grave aumento della povertà e delle diseguaglianze. Successivamente, con la recessione mondiale iniziata nel 1982 e la

riduzione del prezzo del rame le conseguenze furono pesanti: vertiginosa caduta del PIL, crescita esponenziale della disoccupazione e della povertà, fallimento delle piccole e medie imprese a tutto

vantaggio dei potentati economici interni e internazionali.

La crisi colpì in primo luogo le classi popolari, ma peggiorò anche le condizioni della classe media che iniziò a voltare le spalle al regime. Fu l’inizio della fine del tiranno che, come vedremo in seguito sarà sconfitto nel plebiscito nel 1988, nonostante il regime abbia potuto godere dell’appoggio di tutti i giornali e delle televisioni cilene.


CONSEGUENZE PER L’AMERICA LATINA

Il golpe cileno ebbe pesanti ripercussioni in tutto il continente.

Nello stesso anno in Uruguay il Presidente Bordaberry, d’accordo con i militari, sciolse il

Parlamento e sospese le garanzie costituzionali.

In Argentina dopo la morte dello storico presidente Domingo Peron vi fu l’ascesa al potere della sua terza moglie Isabelita il cui governo si caratterizzò per una grave crisi economica ed una repressione spietata fiancheggiata dall’azione terroristica della setta segreta della triplice A (alleanza argentina anticomunista).

A questa repressione cercarono inutilmente di rispondere le iniziative di lotta armata dei movimenti guerriglieri marxisti (ERP) o peronisti radicali (Montoneros). Nel 1979, con la scusa di porre fine al caos nel paese e di combattere la guerriglia, i capi dell’esercito deposero la Presidente Isabel

Martinez de Peron, instaurando l’ennesimo governo dittatoriale con a capo il Generale Videla.

La guerra sporca e la repressione aumentarono ancora di intensità. La ferocia dei golpisti argentini fu paragonabile, se non superiore a quella cilena: arresti arbitrari, torture che terminavano spesso con uccisione delle persone seviziate, organizzazione dei voli della morte con persone narcotizzate e gettate nell’oceano.

I gorilla argentini riuscirono persino a superare la perversione dei loro colleghi cileni con la sottrazione dei bambini dei guerriglieri uccisi che vennero destinati, per l’adozione, a famiglie della borghesia o degli alti gradi militari.

Anche in Brasile i militari, che avevano assunto il potere nove anni prima, trovarono motivo di incoraggiamento e sostegno dal golpe fascista di Pinochet.

I governi di questi paesi, insieme ai regimi di Paraguay, Bolivia, Perù, con l’attivo sostegno degli Stati Uniti e la sapiente regia della CIA dettero vita al “Plan Condor”: una operazione multinazionale di cooperazione di intelligence per consolidare la stabilità del loro potere dispotico e sviluppare le loro guerre sporche.


L’INGLORIOSA FINE DELLE DITTATURE

A partire dai primi anni ‘80 caddero rovinosamente una dopo l’altra. La loro fine fu determinata da molteplici fattori: grave crisi economica a causa di scellerate privatizzazioni e politiche monetariste

ed ultraliberiste, sconfitte militari (Malvinas), sviluppo di una diffusa resistenza popolare (pensiamo ai grandiosi scioperi dei metallurgici di San Paolo del Brasile, alla resistenza dei quartieri popolari

cileni, alle lotte dei minatori boliviani).

Tra queste cause vi fu il parziale isolamento internazionale, parziale perché USA e Gran Bretagna non rinunciarono mai ad appoggiare, più o meno apertamente quei regimi e anzi la Thatcher giunse a riconoscere una presunta umanizzazione del regime di Pinochet. Altri stati invece ruppero i rapporti politici ma non rinunciarono ai rapporti commerciali, evidentemente le materie prime dell’America latina facevano gola e si poteva sacrificare la difesa dei principi democratici.

Il principale punto di debolezza di questi regimi risiede nel loro carattere elitario e nella incapacità di conquistare alla loro causa i ceti medi, la piccola borghesia e soprattutto i ceti popolari.

Questa debolezza costituisce la principale causa della rapida ed ingloriosa cadute dei governi militari e spiega la necessità da parte di quei dittatori di promuovere una spietata repressione, utilizzando le efferate azioni di esercito e polizia come unico strumento di garanzia della loro permanenza al potere.

Nel 1983 cade la feroce dittatura argentina, a seguito della sconfitta contro l’Inghilterra nella guerra delle Malvinas. Dopo poco tempo, in un serrato effetto domino, i governi militari di Uruguay, Brasile, Bolivia e Paraguay dovranno cedere in modo incondizionato il loro potere a governi civili.

L’ultimo a cadere sarà proprio Pinochet, sconfitto nel 1988 in un plebiscito con cui chiedeva ai cittadini di riconfermarlo per altri otto anni.

In quella occasione il Cile si liberò di Pinochet, ma non del pinochettismo, perchè la sua Costituzione rimane ancora in carica, così come permane la privatizzazione della scuola, della sanità, dei trasporti, dei fondi pensione.


L’ITALIA E LA SOLIDARIETÀ CON LA RESISTENZA DEL POPOLO CILENO

In Italia, negli anni ’60 e ’70, l’America Latina è vista come un laboratorio politico di grande

importanza a livello politico e culturale in particolare per la possibilità di un cambiamento reale contro il dominio statunitense e per l’affermazione di un’alternativa alle politiche neoliberiste e

autoritarie.

L’attenzione è rivolta innanzitutto alla Rivoluzione cubana con le figure dei loro leader storici: Fidel e Che Guevara. 

Ma anche al caso della vittoria elettorale di Allende con il governo di Unidad Popular, con la “via cilena al socialismo”, come è stata ampiamente illustrata.

Le vicende del golpe, con le tragiche immagini della sanguinaria repressione nello stadio di Santiago dove i detenuti saranno torturati o uccisi, e la stessa immagine di Allende con il fucile che combatte fino alla morte insieme al suo GAP (gruppo di amici del presidente) hanno colpito in profondità l’opinione pubblica italiana, soprattutto i giovani per la tremenda violazione dei diritti

umani esercitata.

In Italia vi è stato come risposta, una profonda mobilitazione e coinvolgimento popolare e delle forze politiche e sociali, in particolare di sinistra, a sostegno della resistenza del popolo cileno.

Infinite furono le iniziative politiche, culturali, sindacali di solidarietà con il popolo cileno e con gli esuli politici.

In tema di solidarietà, va ricordato anche l’importante ruolo del personale dell’Ambasciata d’Italia subito dopo il colpo di stato fino alla fine del 1974, nel salvare vite umane.

Con grande coraggio e spirito solidale, fu dato rifugio a circa 800 persone, perseguitate dalla dittatura, e di ogni appartenenza politica, che scavalcavano il muro di cinta e che restarono nell’ambasciata per diverso tempo, fino al novembre 1974. Molti di loro in seguito raggiunsero l’Italia.

Ancora in Italia e in epoca più recente, grazie al lavoro prezioso e instancabile di ricerca, denuncia e battaglie di meritevoli organizzazioni nazionali e non solo, la Corte di Cassazione nel 2021 ha confermato l’ergastolo per alcuni torturatori del patto criminale “Plan Condor”: 14 ex militari e

gerarchi di Cile e Uruguay, (di cui uno: Troccoli residente in Italia).


Si è trattato di una sentenza storica relativa alla condanna per il sequestro e dell’omicidio di 23bcittadini di origine italiana residenti in Cile, Bolivia, Perù e Uruguay nel periodo delle dittature militari negli anni sessanta e settanta.

Finalmente verità e giustizia anche nei confronti dei colpevoli dell’omicidio di due cittadini italo-cileni attivi durante il governo di Allende: Juan Montiglio, di soli 24 anni, tra i responsabili del GAP, scorta personale di Allende, arrestato l’11 settembre ‘73 a La Moneda e assassinato dal capitano Ahumada due giorni dopo; e del sacerdote italiano Omar Venturelli, arrestato a ottobre e assassinato dai militari Vasquez e Moreno.

Ed è significativo che proprio dall’Italia in seguito sia partito, verso il Cile, il mandato di arresto e di estradizione dei loro aguzzini.


IL CILE E CUBA

Diversi intellettuali ed analisti politici che hanno contrapposto la “buona” esperienza cilena, rispettosa delle prerogative democratiche con i “cattivi” rivoluzionari cubani, giunti al potere distruggendo l’esercito di Batista, imponendo un modello politico basato su forme di democrazia

diretta, garantendosi il controllo esclusivo sulla stampa.

Queste tesi a volte sono state proposte da persone in perfetta buona fede, più spesso da ambigui personaggi che hanno utilizzato l’omaggio a Salvador Allende per cercare di mantenere un’aura progressista mentre puntavano il loro dito inquisitore contro la rivoluzione cubana.

In realtà questa contrapposizione è totalmente priva di senso per almeno tre ragioni di fondo:

1°) La solidarietà tra i comunisti cubani ed i cileni di Unidad Popular sempre fu incondizionata, reciproca e duratura. I primi a beneficiarne furono i guerriglieri della colonna del CHE, che dopo la morte del loro immenso comandante ripararono combattendo dalla Bolivia al Cile e furono accolti alla frontiera dall’allora Senatore Salvador Allende.

Nei tre anni di governo di Unidad Popular vi sono state, da parte di Cuba moltissime iniziative di sostegno politico e di difesa dell’incolumità di Allende e dei suoi ministri. Numerosi volontari cubani collaborarono con i cileni per contrastare le azioni di terrorismo e di sabotaggio della destra, alcuni di questi combatterono nel palazzo presidenziale preso d’assalto dagli sgherri di Pinochet.

2°) La scelta di costruire il Socialismo per via elettorale, nel rispetto della Costituzione Cilena non hanno impedito al governo cileno di UP di assumere misure economiche molto simili a quelle dei rivoluzionari cubani, più radicali di quelle che saranno poste in essere 30 anni dopo, in molti paesi

dell’America Latina, dalla nuova ondata progressista che Chavez definì “Socialismo del ventunesimo secolo”

A testimonianza bastano pochi dati: nel 1973 il governo cileno arrivò a controllare, attraverso nazionalizzazioni senza indennizzo, il 90% delle miniere, l’80% delle grandi industrie delle banche e delle imprese edili, il 75% delle aziende agricole.

3°) I comunisti cubani non hanno mai avuto il culto dell’azione militare fine a se stessa. Un anno prima dell’assalto alla caserma Moncada Fidel cercò di presentarsi alle elezioni parlamentari che furono indette a Cuba e furono successivamente soppresse dal colpo di stato di Batista. Quel golpe

precluse alle opposizioni ogni spazio di agibilità politica, costringendo Fidel a scegliere la strada dell’opposizione armata.


Nella sua celebre autodifesa all’interno del processo per l’assalto alla caserma Fidel spiegò con chiarezza che per i rivoluzionari cubani la guerriglia era soltanto un mezzo per ottenere un cambiamento delle condizioni di vita disumane in cui si trovava la grande maggioranza dei cubani.

Come si vede tra cileni e cubani le assonanze furono di gran lunga superiori rispetto alle differenze e tra i due leader vi fu una immensa stima fondata sul reciproco riconoscimento di estrema coerenza tra pensiero ed azione politica.

Certamente i legami tra Fidel Castro e Salvador Allende e tra i popoli cubano e cileno hanno segnato l’impronta latinoamericana e caraibica grazie a una visione integratrice, come auspicavano i

precursori di Nuestra America.


“LA DEMOCRAZIA E’ MEMORIA E FUTURO”

A pochi giorni dal 50° anniversario del golpe in Cile, il Presidente Boric ha lanciato un Piano nazionale per la ricerca dei “desaparecidos” le vittime di sparizioni forzate, durate la dittatura sanguinaria di Pinochet.

Finalmente (anche se con molto ritardo) una scelta tanto auspicata per rendere giustizia e verità di quei crimini contro l’umanità per i quali Pinochet, morto nel 2006, non ha pagato.

Furono circa 40.000 le persone torturate, oltre 3200 quelle assassinate o desaparecidas nel corso di 17 anni della dittatura. Delle 1469 vittime di sparizioni forzate, ne sono state trovate solo 307.

Come affermato dal Presidente Boric “La democrazia è memoria e futuro e l’una non può esistere senza l’altra”.

Da parte dello Stato cileno è sicuramente un importante inizio per fare i conti con un passato pieno di profonde ferite, che non deve ritornare mai più. E’ un percorso indispensabile per recuperare e

dare voce alla memoria, per non nascondere e/o negare gli orrori dei militari nazi-fascisti e della DINA (polizia segreta), e per costruire una società rispettosa delle aspirazioni e dei diritti dei popoli, a partire da quelli originari.

VIVA CILE! VIVA ALLENDE!

Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba


Milano, 11 settembre 2023

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