martedì, settembre 19, 2023

📌Pubblichiamo il testo dell'intervento introduttivo di Mario Ridulfo, segretario generale della Cgil Palermo, alla iniziativa “La via maestra” svoltasi ieri al cinema Rouge et Noir

L’intervento di Mario Ridulfo

di MARIO RIDULFO

“La via maestra” è il titolo e il programma delle iniziative che ci porteranno fino a Roma il prossimo 7 ottobre. Noi che siamo una parte di queste iniziative, siamo uno dei sentieri che vi confluiscono. “Se non potete essere una via maestra, siate un sentiero…Siate il meglio di qualunque cosa siate… mettetevi a farlo appassionatamente”.  M.L.King. 

La Costituzione è la nostra bussola e il nostro sentiero, quello che conduce alla via maestra è l’idea che diventa un ideale per il quale ogni persona, nasce libera e ha diritto ad essere libera sempre, sia dentro sia fuori i luoghi di lavoro. Libera dalla paura, libera dal bisogno, dal ricatto. 

Applicare la Costituzione significa, fare un passo in avanti sulla via delle libertà e dei diritti per il lavoro, l’ambiente, la salute, per una politica di pace, intesa come ripudio della guerra.

Spesso, in questo paese nel nome del diritto si sono calpestati i diritti, compresi quelli che la nostra Costituzione definisce inviolabili, come il diritto alla salute, alla istruzione, alla sicurezza, ai diritti di genere, a tutti i diritti. 

Spesso in questo nostro paese la violenza si è esercitata in tanti modi diversi. 

Noi soprattutto in Sicilia conosciamo la violenza della mafia, delle mafie, dei padroni e dei padrini e poi la violenza del potere, della cattiva politica e delle leggi che precarizzano il lavoro e l’esistenza delle persone.

In dieci anni, dal 2013 al 2023 i Siciliani più giovani, quelli cioè dai 15 ai 34 anni sono diminuiti del 15% (mentre la media nazionale è del 7%, in sostanza quasi un milione di persone). 190.000 giovani siciliani sono andati via, oltre 50.000 solo da Palermo.

Una vera e propria fuga di persone, andate via e mai più tornate.

Il potere e la ricchezza si concentrano sempre più in pochi soggetti, i quali detengono più risorse e poteri degli Stati. Un potere finanziario antidemocratico contrario alla costituzione che produce la crisi della democrazia e ingabbia le persone.

Mentre i capitali, i soldi, girano per il mondo senza frontiere, alle frontiere si tiene fuori il mondo: donne, uomini, bambini che fuggono da guerre e miserie. 

I poveri vengono additati come i colpevoli dell'impoverimento! 

I Diritti fondamentali costituzionali, adesso, più di prima, sono a rischio. 

L'Italia fondata sul lavoro, affonda nel lavoro precario e sottopagato e con il diritto al lavoro, affonda anche il diritto alla salute, alla cura, allo studio, alla sicurezza, all’ambiente, al “diritto ad avere diritti”, compreso, quello implicito della carta costituzionale, cioè il diritto alla felicità, ad essere felici. 

Come ha ricordato pochi giorni fa il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: "vi sono pochi dubbi circa il fatto che gli articoli della Costituzione delineano una serie di diritti e chiedono alla Repubblica, una serie di azioni positive per conseguire condizioni che rendono gratificante l'esistenza, sia pure senza la pretesa che la felicità sia una condizione permanente…”.

Le parole del presidente richiamano il grande filosofo napoletano Gaetano Filangieri. Il quale nel 1780, non nel 2023, scriveva: "le buone leggi sono l'unico sostegno alla felicità nazionale…quando ogni cittadino in uno stato può con un lavoro discreto di sette, otto ore al giorno, comodamente supplire ai bisogni suoi e della sua famiglia, questo stato sarà il più felice della terra". 

La felicità, insomma, è del Popolo o altrimenti di nessuno. 

La felicità è lo scopo fondamentale della umanità, come recita la risoluzione adottata nel 2012, dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite. 

In questa classifica della felicità il nostro paese, secondo il “World Happiness Report”, è al 33º posto, dietro paesi come la Romania, Taiwan, Costa Rica, Spagna. 

Tra le misure che determinano la felicità nazionale, secondo il rapporto, ci sono "le spese sociali, sia in campo sanitario e di Salute Mentale, ma anche le condizioni socio ambientali ". 

Ma se da un lato c’è il diritto alla felicità, dall’altro lato c’è il dovere dell'impegno, quello individuale e quello collettivo. La crisi della felicità in questo paese non è solo economica ma anche e soprattutto Democratica.

Come ha ripetuto più volte Maurizio, in questi ultimi mesi: "È il momento di dire basta, ma anche di indicare una via Maestra, fondata sulla giustizia sociale e sulla partecipazione Democratica". 

L’Articolo 3, della Costituzione prevede come “…compito della Repubblica – quello di - rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale…” anche, “attraverso l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Dunque, chiedere, come facciamo noi di applicare la Costituzione significa voler unire l'Italia e non dividerla.

In questi mesi assieme ad una rete di organizzazioni, associazioni, assieme di fatto ad “un vasto arco costituzionale di forze sociali e democratiche”, abbiamo lanciato una grande mobilitazione nazionale per l’attuazione della Carta fondamentale della nostra Repubblica.

Rivendichiamo l’applicazione del dettato costituzionale, e dunque l'effettiva partecipazione dei cittadini e dei lavoratori all'organizzazione politica economica e sociale del paese, da cui di fatto siamo esclusi. La politica del “ti ascolto e poi me ne frego”, produce uno strappo costituzionale e democratico.

Quella del 7 ottobre a Roma è la manifestazione del paese che dice basta! e che non si arrende al declino. È l’impegno cioè, di questa parte del paese, che lavora e lotta per migliorare le condizioni di vita e di lavoro per milioni di persone e di famiglie.

Non dunque una semplice manifestazione, ma una manifestazione grande e semplice allo stesso modo, perché chiede al governo e alla politica italiana di applicare la nostra Costituzione Repubblicana e antifascista, per l'Italia e non solo per gli italiani, ma per tutte e per tutti coloro i quali in questo paese ci vivono e ci lavorano e che in questo paese con il loro lavoro producono sviluppo.

Il tema è anche come distribuire questa ricchezza prodotta dal lavoro, ma anche allo stesso tempo come distribuire il lavoro stesso. 

Per questo, oltre che leggi giuste, servono investimenti pubblici, risorse pubbliche, non solo in Italia, ma anche in Europa. Per questo però serve una lotta sociale che definisca un'Europa sociale e dei diritti, un Europa solidale. 

Assieme al sindacato europeo, assieme alla CES- Confederazione Europea dei sindacati, la mobilitazione si allargherà in tutti gli altri paesi, per rivendicare una svolta nelle politiche di sviluppo della nostra Europa. 

Senza diritti il lavoro non esiste, senza i diritti il lavoro diventa sfruttamento.

“Il lavoro è dignità, dignità al lavoro!” fu lo slogan degli edili palermitani travolti dalla crisi del 2008.

Senza diritti e senza dignità, diciamolo: non c'è pace sociale, soprattutto quando le disuguaglianze continuano ad aumentare, come sono aumentate in questi anni. 

Non ci può essere pace sociale se alle nostre richieste il governo risponderà con una riduzione della percentuale di spesa rispetto al PIL, già una delle più basse in Europa (il 6,2%. In Francia e in Germania, sono al nove per cento). 

E il governo ascolta e se ne frega!

Mentre chiediamo assunzione di medici e infermieri negli ospedali, come nei territori, ci sono medici e primari che si licenziano e mentre chiediamo di superare i livelli di precarietà si reintroducono forme di lavoro precario.

Una logica al contrario questa del governo che vale per ogni cosa: dal lavoro, alla salute, dalla scuola, alle pensioni: 

- Invece di aumentare i salari e le pensioni, si tagliano gli stanziamenti e si blocca l’indicizzazione.

- Invece di contrastare la precarietà, si ripristinano i voucher e si allunga la durata dei contratti a termine. 

- Invece di contrastare le forme di contrattazione pirata, con una legge sulla rappresentanza, si riducono gli spazi di rappresentanza alle Confederazioni maggiormente rappresentative, come è successo in ultimo per il CNEL.

- Invece di introdurre elementi regolatori come il salario minimo orario per legge, si pensa a nuove gabbie salariali.

- Invece di investire su sanità e istruzione, si tagliano i fondi.

- Invece di cambiare il sistema degli appalti e dei subappalti, si reintroducono i subappalti a cascata.

- invece di tassare le rendite, si pensa alla flat tax e ai condoni. 

- Invece di fare leggi che uniscono questo paese, si pensa a come differenziare i diritti su base regionale con l’autonomia differenziata

- Invece di allargare la partecipazione, si lavora per un presidenzialismo che consegna questo paese al “generalissimo” di turno di cui in alcuni ambienti sembra esserci gran voglia. 

Invece di fare la guerra alla evasione, alla corruzione, si fa la guerra ai poveri e si taglia una misura come il reddito di cittadinanza, che ha rappresentato un salvagente per le persone e le famiglie più fragili e bisognose, soprattutto tra pandemia e crisi economica. In Italia il salario medio è tassato al 40%, mentre la rendita immobiliare al massimo al 21% e persino la parte più ricca del lavoro autonomo al 15%.

Si taglia, insomma mentre aumenta la povertà, si taglia sui rinnovi contrattuali quando invece andrebbero sostenuti consumi interni, si taglia la spesa sanitaria mentre aumentano le fragilità e i bisogni.

La sanità è a collasso come l’economia di gran parte delle famiglie o almeno di quelle che vivono di lavoro e di pensioni.

Palermo è la città più cara in Italia, così dice uno studio di questi giorni: fare la spesa quella cioè che si fa nella grande distribuzione organizzata, costa di più che nelle altre grandi città.

L’ufficio statistico del comune di Palermo, d’altronde, ha registrato nel mese di maggio di quest’anno, l'ultimo mese rilevato disponibile, un aumento dell'indice dei prezzi al consumo, rispetto a maggio 2022, cioè rispetto all'anno precedente.  

L’aumento è stato del 10% per i prodotti alimentari rispetto all'anno precedente, ad esempio:

- il pane è aumentato del 12%, 

- il latte, le uova, i formaggi aumentati del 16% 

- lo zucchero e i prodotti dolciari aumentati del 23% 

- i vegetali aumentati del 16%. 

- come del 16% è aumentato il costo dell'abitare, dell'acqua, dell'Elettricità e dei combustibili, 

- del 10% sono aumentati i servizi ricettivi e la ristorazione 

Per non parlare delle altre spese come quella del trasporto aereo, aumentato del 38%, rispetto all'anno precedente. Insomma, questa è l’inflazione reale! 

La spesa sanitaria torna addirittura a scendere con un taglio del 2,4%, 3 miliardi di euro nel 2024 rispetto all'anno scorso e così il governo sta pianificando il collasso del sistema sanitario nazionale per favorire il sistema sanitario privato, assicurativo. 

Le spese per la medicina preventiva e per gli ispettorati del lavoro che in Sicilia, Tra l'altro dipendono dalla Regione Siciliana una regione che ha lo stesso colore politico di quello Nazionale, che invece di programmare e spendere bene le risorse le Orienta in mille Rivoli clientelari Alimentando una macchina del consenso che distrugge la democrazia e la partecipazione.

Anche l'accettazione supina delle proposte di autonomia differenziata cara alla politica xenofoba e leghista dà il segno di quanto la politica regionale sia succube, altro che autonoma!

Con il progetto di autonomia differenziata non verrà più garantito il diritto e l'accesso alle prestazioni sociali in modo uniforme in tutto il paese, in una situazione che già così com'è vede: precarietà, dispersione scolastica, carenza nei servizi pubblici a cominciare da quelli soci sanitari, a quelli per l'infanzia.

Noi non siamo più disposti ad accettare Lo smantellamento del nostro stato sociale che già soprattutto qui in Sicilia era sotto il minimo di decenza, anzi di civiltà.

Il Pnrr che doveva essere l'occasione per risollevare il paese dal nord al sud, anzi dal sud al nord, rischia di essere un grande bluff. 

La commissione europea dichiara che: "In Italia si presta attenzione al ponte sullo stretto e alla flat Tax, ma c'è un problema di estrema attualità che si chiama PNR". 

Questa difficoltà è dovuta in parte anche alle scelte prese dal governo come quello di accentrare la governance a Palazzo Chigi, una scelta, di fatto centralista. 

Tra l'altro la rimodulazione del PNR elimina circa 16 miliardi di euro destinati alla riqualificazione del paese. Taglia cioè: progetti di rigenerazione urbana per ridurre l'emarginazione del degrado sociale. 

Il governo ha tagliato anche i 300 milioni per il recupero dei beni confiscati alla mafia. 

Da un lato si promette più sicurezza a cominciare dalle periferie, dall'altro si tagliano tre miliardi di finanziamenti per i piani urbani integrati. 

A Palermo, ad esempio erano stati finanziati progetti per un miliardo e 200 milioni di euro, adesso è previsto un taglio del 30%. 

Quello che fa rabbia è l'incapacità di utilizzare bene le risorse che sono il frutto di una ripartizione che all'inizio assegnava il 70% dei fondi sulla base dei tre parametri: - la popolazione, - il PIL pro capite e la - percentuale di disoccupazione, di questi tre parametri, due erano determinati dall'arretramento delle regioni del sud. 

Il 70% di queste risorse forse verranno spesi … ma in quella parte del paese e per quei cittadini che paradossalmente ne hanno meno di bisogno.

Tutto questo mentre continua a mancare e non solo per il sud, per la Sicilia e la nostra Palermo, un piano per lo sviluppo industriale. 

Un piano cioè capace di affrontare e risolvere i problemi strutturali e i ritardi. 

Anzi di fatto c'è un processo consolidato di dismissione industriale.

Invece di dare vita all'agenzia per lo sviluppo industriale, gli “agenti del sottosviluppo” agiscono indisturbati e in piena campagna elettorale, come è successo, alcuni di questi ricevono endorsement da parte di condannati per mafia.

C’è una incapacità dei governi, non solo di questo, di ascoltare le ragioni e le richieste e anche le proposte delle lavoratrici e dei lavoratori. 

E in questo paese, così com’è, le lavoratrici e i lavoratori, i giovani non vedono più il futuro. 

Non possiamo aspettare. Non c’è più tempo!

L'unica vera riforma possibile è quella che cancella le forme di lavoro precario e stabilisce un unico contratto di ingresso al lavoro. Questi due strumenti potrebbero fare tabula rasa di tutte quelle forme contrattuali che sono una vergogna e che riducono diritti e salario.

Ci sono 3 milioni di contratti a termine e 5-6 milioni di persone che pur lavorando non arrivano a 10.000€ l'anno.

Poi ci sono tante lavoratrici e tanti lavoratori che stanno dentro vertenze dimenticate, complicate, a cominciare da Palermo: 

- da Almaviva, 651 lavoratori di cui 330 si trovano a Palermo in CIGS a zero ore fino al 30/12/2023 e tra l’altro oltre 200 di questi sono del servizio 1500 (ex numero verde emergenza covid); 

- ai circa 250 lavoratori palermitani dei Consorzi di Bonifica,

- dagli oltre 100 operai agricoli dell’università di palermo,

- ai 250 lavoratori del consorzio Sintesi, lavoratori della commessa wind3.

- Fino ai quasi 2.500 lavoratori ex Pip, che da oltre vent’anni, su incarico della Regione lavorano in uffici, ospedali ed enti pubblici, con un rapporto di lavoro non contrattualizzato. D'altronde quella siciliana è una pubblica amministrazione che vive di precariato e addirittura in alcuni comuni il 100% dei dipendenti è a part time!

- E poi alle tante vertenze quotidiane: dai lavoratori della vigilanza privata della KSM, ai lavoratori della Karol, dai lavoratori edili della Toto Costruzioni, agli operai metalmeccanici della Isolfin, una ditta in appalto nel cantiere navale di Palermo.

Difatti anche il semplice diritto, quello, dopo avere lavorato, di percepire il giusto salario diventa per molti un calvario, tra negazioni e ritardi e sempre più spesso questo riguarda anche i lavoratori a tempo indeterminato, soprattutto quelli il cui lavoro è legato ad una commessa, ad un appalto. 

Occorre in sostanza cambiare pagina!

Tutte queste cose e tanto altro ancora, stanno dentro la consultazione straordinaria, che la CGIL ha già avviato in questi giorni. 

Saranno adesso, le lavoratrici e i lavoratori, gli iscritti, ma anche non iscritti alla CGIL a decidere e a votare le nostre proposte. 

Se ci sarà un largo consenso come pensiamo, questo darà la forza per continuare la mobilitazione e per indurre il governo e la sua maggioranza, ed anche tutta la politica italiana, a non voltarsi dall'altra parte, a prendere atto che c'è una volontà delle lavoratrici e dei Lavoratori che chiedono a gran voce di cambiare passo.

Rivendichiamo un nuovo modello di sviluppo. 

Di fronte alla rivoluzione tecnologica che porta ad un aumento dei profitti e della produttività si deve praticare la redistribuzione della ricchezza del Lavoro, attraverso ad esempio una modifica/riduzione dei tempi di lavoro.

Con l’uso delle nuove tecnologie, ad esempio, le imprese hanno avuto una maggiore produttività e possono e debbono redistribuire la ricchezza prodotta. Significa avere un contratto nazionale di lavoro rinnovato nei tempi giusti e che recupera una funzione sociale a cominciare dal recupero del potere d’acquisto dei salari per impiegati, quadri ed operai.

Ma il valore del contratto nazionale non è dato solo del valore economico, a cominciare da quello minimo, ma anche dal complesso dei diritti che contiene e che significa: tredicesima, maternità, ferie, malattia, infortuni, welfare.

L'obiettivo, come dice Maurizio è più ampio.

Significa cioè che è arrivato il momento di applicare la Costituzione a cominciare dagli articoli 36 e 39, che misuri la rappresentanza e assegni il diritto ai lavoratori di votare gli accordi che li riguardano ed estenda ‘erga omnes’ i contratti nazionali.

Per cambiare il segno delle politiche, non solo economiche di destra e neoliberiste degli ultimi 30 anni, bisogna dare continuità alla mobilitazione, dopo quelle unitarie del mese di maggio a Milano Bologna e Napoli e dopo quella del 24 giugno scorso. 

Il prossimo 7 ottobre saremo a Roma, di nuovo assieme ed ancora di più, con più persone e più associazioni, gruppi e movimenti democratici: 

- per contrastare la precarietà 

- per un salario

- per un Welfare pubblico e universalistico

- per sostenere il diritto ad avere rinnovati i contratti 

- per dire no al progetto di autonomia differenziata e di presidenzialismo

- per rivendicare l'attuazione della nostra Costituzione. 

Lo scorso 28 agosto il segretario generale della CGIL, ha scritto una lettera alla Presidente del Consiglio, una richiesta di convocazione per aprire una discussione su sei punti:

Uno. Tutela e crescita del potere di acquisto degli stipendi e delle pensioni 

Due. Rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro pubblico e privati 

Tre. Legge sulla rappresentanza 

Quattro. Salario minimo per legge 

Cinque. Superamento della precarietà 

Sei. Realizzazione di un piano straordinario di assunzioni nel settore pubblico dalla sanità all'istruzione. 

A distanza di tre settimane la scelta di non rispondere, non solo è un chiaro segnale di sfida al mondo del lavoro, ma anche un chiaro messaggio al paese: 

“possiamo fare a meno del sindacato e della partecipazione Democratica, cioè, possiamo ignorare la Costituzione”. 

I poveri, i lavoratori i pensionati, i giovani, le donne, le persone di ogni genere possono attendere, punto! 

Per guardare al futuro Dobbiamo capire bene il presente. 

In Italia, occorrono, cinque generazioni per una persona che nasce in una famiglia Povera per raggiungere un livello di reddito medio.

Se a chi governa questo paese sei milioni di persone in povertà assoluta sembrano pochi, vuol dire che la politica di questo paese, almeno la maggior parte di quella che siede in parlamento, ha rimosso il problema e i problemi: quelli dei giovani, soprattutto del Sud, dell'educazione, del futuro, cioè di come impedire che la povertà diventi ereditaria. 

Questo dei giovani, come l’ha definito l’ultimo rapporto Caritas, è l'anello debole del sistema, quando questo anello debole si spezza, si spezza tutta la catena che muove la società. 

Esiste e da tempo una frattura pericolosa che non tende a ridursi, anzi tende ad allargarsi tra eletti ed elettori tra governanti e governati. Una crisi di rappresentanza che produce una crisi di partecipazione Democratica alla vita del paese.

Altrimenti non si capisce perché ogni due anni, se non ogni sei mesi, siamo costretti a mobilitarci in difesa della carta costituzionale, soggetta a continui attacchi. 

Il dato di fatto è questo: la classe politica preferisce la politica della Tecnica, alla tecnica della politica. 

Nel senso che, preferisce risolvere il tema della crisi della rappresentanza con interventi tecnici e con modifiche di ingegneria costituzionale che riducono la partecipazione piuttosto che favorirla.

Il risultato è quello di concentrare ancora di più in capo alle Élite un potere che invece appartiene alle persone, al popolo.

Che la volontà Popolare sia ignorata è un fatto diciamo indiscutibile (non bastano i referendum, come non bastano le proposte di legge di iniziativa popolare, alcune delle quali sostenute da milioni di firme e che giacciono dentro gli scatoloni delle Camere), spesso sempre più spesso le assemblee elettive ad ogni livello sono chiamate a ratificare decisioni prese altrove in club ristretti, e in questo paese, come è stato scritto: "del parlamento rimane la parola, non la cosa”, in quanto di fatto, "il potere esecutivo legifera il potere legislativo esegue". 

Così, mentre negli altri paesi, le percentuali di leggi di iniziativa parlamentare si aggirano attorno al 20%, in Italia, sono meno del 3%, cioè una su 35. 

Così il parlamento, il luogo della Democrazia, perde il suo valore e la democrazia diventa apparenza e la Costituzione si indebolisce. 

Ma siccome il tema è politico e non tecnico, servono scelte politiche chiare, servono scelte coerenti e determinate per restituire rappresentanza Democratica e antifascista al paese. 

Per questo, bisogna dare spazio, liberare energia, soprattutto quelle giovanili, con azioni di inclusione sociale dei movimenti e delle nuove esperienze democratiche, trasversali o se volete intersezionali. 

Per questo è importante stare in ogni luogo dove si Rivendica un diritto Democratico, per questo sarà importante stare a Roma il 7 di ottobre e siccome dopo il sette, c’è l’otto, il nove, etc.… proponiamo a tutte le associazioni ed anche ai singoli che sono qui presenti e che condividono le motivazioni della mobilitazione, di rivederci il prossimo 25 settembre alle 16 alla Camera del lavoro di Palermo, per continuare questa nostra iniziativa, ri-partendo dall’appello e dalla iniziativa dello scorso 9 giugno che ci ha visto partecipi ai “cantieri culturali alla Zisa”, alla iniziativa promossa dal prof. Claudio Riolo, e da tanti altri, per la costruzione della “Rete palermitana in difesa e per l’attuazione della Costituzione”. 

Dunque, compagne, compagni, amiche ed amici, andiamo avanti Insieme per la Costituzione! Avanti insieme per la felicità di tutte e di tutti, per i nostri diritti!

Mario Ridulfo

Palermo, 18 settembre 2023

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