giovedì, settembre 14, 2023

«Ogni parrocchia accolga un profugo o una famiglia»


don Francesco Romano 

don Cosimo Scordato

Nel trentennale del martirio di don Pino Puglisi, memori della sua esortazione «se ognuno fa qualcosa si può fare molto», vorremmo rivolgere un appello alle nostre comunità per un impegno a favore dei migranti. 

Nonostante i convegni e le intese internazionali, il problema dei migranti non è risolto, anzi tende a rendersi più grave configurandosi come evento epocale; esso continua a essere affrontato come una emergenza e, come tale, dà fastidio a tutti; serpeggia la persuasione, che non si ha il coraggio di esprimere con chiarezza: «Perché debbono disturbare la nostra quiete, le nostre sicurezze economiche? Non farebbero bene a restare a casa loro e noi provvederemmo a inviare qualche aiuto?». Che i migranti approdanti alle nostre coste siano un disturbo non abbiamo motivo di negarlo; ma, forse, dobbiamo cambiare prospettiva; da un lato, dovremmo assumerci la responsabilità che tante

dinamiche distorte del passato e del presente, connotate da un atteggiamento colonialistico e non finalizzate a processi di auto sviluppo del Terzo Mondo, sono alla radice del fenomeno migratorio; dall’altro lato, siamo convinti che l’arte politica consiste nel trasformare le emergenze in opportunità; si tratta di dare spazio ai migranti favorendo la loro accoglienza all’interno del nostro tessuto sociale. Al momento, però, lasciando sullo sfondo i doveri degli Stati europei, vorremmo rivolgerci alle nostre Chiese perché, al di là degli accorati appelli, possano comprendere che «ognuna di esse può fare qualcosa...» in quanto comunità cristiana.

Prendiamo spunto da alcune (poche, purtroppo) esperienze già avviate in qualche comunità; si tratta dell’accoglienza di giovani o di qualche famiglia extracomunitaria con un percorso di progressivo inserimento sociale, comprensivo dell’apprendimento della lingua, dell’ospitalità in locali messi a disposizione dal Comune e di avvìo lavorativo nelle campagne o nell’apprendistato artigianale.

Ebbene, la nostra proposta, rivolta alla Conferenza Episcopale Italiana, ma soprattutto alla Conferenza Episcopale Siciliana, è quella di pensare alla possibilità che ogni parrocchia possa dare la disponibilità ad accogliere una persona o una famiglia extracomunitaria (in proporzione alle proprie risorse) e integrarla a poco a poco nel proprio seno; ricordiamo che le parrocchie italiane sono intorno a 25.000 e quindi con un grande potenziale di ospitalità.

Detta scelta dovrebbe essere motivata con l’appello di Gesù: «Ero straniero e mi avete ospitato». Chiamiamo in causa il vangelo senza negare valore a tante altre motivazioni di carattere religioso, politico, sociale, ma con la persuasione che la Chiesa deve far sua la sollecitazione evangelica, che costituisce qualcosa di essenziale alla sua identità cristiana. Finora, probabilmente, è stata data precedenza a una soluzione politica del problema e al coinvolgimento dei paesi dell’Unione Europea; ma tutto questo, pur necessario, non è sufficiente; la Chiesa ha un compito specifico in quanto comunità che si ispira alla persona di Gesù Cristo; essa si renda disponibile sia nei singoli membri che nelle comunità parrocchiali e religiose, riconoscendo nella venuta del migrante una visita di Dio, anch’egli migrante tra di noi.

Per quanto riguarda l’organizzazione di detto progetto potrebbe essere incaricata la Caritas nazionale, coordinando le Caritas diocesane con l’intendimento di coinvolgere le comunità come soggetti attivi. A tal proposito, un ruolo determinante dovrebbero avere i tanti diaconi, di cui sono dotate le diocesi, che non sempre hanno avuto la possibilità di esprimere in maniera concreta e congruente la loro diaconia. Inoltre, alfine di prevenire ogni atteggiamento di estraneazione, va costruito un percorso di inserimento in ogni singola comunità parrocchiale; esso può prendere avvìo dalla festa dell’accoglienza dei nuovi arrivati e svilupparsi nell’inserimento progressivo nella vita della comunità locale, coinvolgendo anche i bambini. Ogni parrocchia può prevedere diverse modalità di partecipazione, da quelle volontariali a quelle professionali, con l’unico intendimento di far sentire «a casa propria» gli stranieri e facendo maturare l’esperienza che la comunione con Dio passa attraverso le piccole forme della condivisione dei beni. D’altra parte la virtù teologale della carità, culmine della vita cristiana ed esperienza divina nel tessuto delle relazioni interpersonali, compete a ogni credente; su questo la Chiesa può investire qualcosa dell’otto per mille dando ulteriore visibilità al servizio di Dio nel povero e nel bisognoso. Migrante, allora? Certamente, c’è posto anche per te!

GdS, 13/9/2023

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