giovedì, agosto 03, 2023

Nostro colloquio con don Luca Leone, giovane parroco di S. Leoluca trasferito a Monreale. “Oltre all’ospedale e all’annosa questione delle strade, Corleone ha anche il dramma droghe!”

Don Luca Leone


DINO PATERNOSTRO

Abbiamo incontrato don Luca Leone, parroco di S. Leoluca. Abbiamo fatto una lunga chiacchierata. Abbiamo parlato di parrocchie affidate “in solidum” a tre parroci, di nuove sperimentazioni organizzative, di comitati civici, difesa dell’ospedale, lotta per le strade sicure, lotta alla mafia, del dramma droga. Don Luca Leone, ancora per qualche settimana resterà parroco di S. Leoluca, ma poi sarà trasferito a Monreale come delegato episcopale per la pastorale. Che sta succedendo nella chiesa corleonese? 

D. Destano stupore, interesse ma anche inquietudine mista a dissenso i recenti cambiamenti nella chiesa corleonese decisi all’arcivescovo Gualtiero Isacchi. Il decano don Vincenzo Pizzitola dopo 44 anni va in pensione, fra Giuseppe Gentile viene trasferito a Sciacca, tu lasci la parrocchia di S. Leoluca e vai a Monreale. E arrivano tre sacerdoti nuovi: don Giuseppe La Franca, don Angelo Bertolino e don Ippolito Di Maggio, a cui sono state affidate “in solidum” la cura pastorale delle tre parrocchie di S. Martino, Maria SS. delle Grazie e S. Leoluca. Che sta succedendo?

R. In questi cambiamenti c’è un aspetto sicuramente contingente, ossia ragioni anagrafiche per il decano, una scelta dell’ordine francescano regolare per padre Giuseppe, che con la riduzione delle vocazioni ha dovuto fare la scelta della chiusura del convento di Corleone, un aspetto legato al fatto che io poche settimane fa ho avuto l’incarico diocesano di delegato episcopale per la pastorale, per cui si è resa necessaria la mia presenza a Monreale per meglio potere collaborare con il vescovo. 

Poi ci sono delle motivazioni valoriali all’interno del grande cambiamento che la chiesa universale, la chiesa cattolica, sta vivendo, con la riscoperta di un cammino sinodale, tutti insieme, per attuare finalmente dopo tanti decenni le indicazioni del Concilio Vaticano II sul tema della collegialità, per uscire dal rischio dell’individualismo e vivere anche in ambito ecclesiale - in primis nell’ambito del clero - la capacità di lavorare insieme. Il fatto che ci saranno tre parroci che insieme guideranno le tre comunità, che rimarranno assolutamente le stesse perché non c’è nessuna chiusura di parrocchia, si può chiamare unità pastorale. Avranno una guida in una modalità completamente diversa dal passato, che è quella collegiale, quindi non in ogni parrocchia un singolo parroco, ma tutti e tre parroci con un moderatore, che sarà don Giuseppe La Franca, coordinandosi fra di loro, ma in una logica di corresponsabilità piena, aiuteranno le comunità non soltanto vivere bene il proprio cammino al loro interno, ma a vivere in comunione le une con le altre.


D. Ti facciamo tanti auguri per il nuovo e prestigioso incarico diocesano, che ci riempie di orgoglio, ma che ci procura anche qualche preoccupazione. Il tuo impegno a Corleone è molto apprezzato. Abbiamo visto anche il sostegno che stai dando ai comitati civici per l’ospedale e per la strada. Questo tuo impegno continuerà? Potremo sempre contare su don Luca?


R. Ringrazio per gli auguri, che è un segno di amicizia reciproca condivisa in questi anni. 

Io ho sempre amato la pastorale sociale e quindi la dottrina sociale della chiesa, che, come per l’attuazione del concilio, sulla carta c’è da tanti anni, ma nell’attuazione pratica ha subito un pochettino di lentezza nell’essere sviluppata. 

Io ho dalla mia parte (e gli sono grato a distanza di tempo) l’essere stato formato, quando ero dai frati rinnovati, da fra Paolo con cui abbiamo vissuto tante attenzioni alla questione sociale. Io stesso ho vissuto delle esperienze lavorative, per cui le problematiche sociali le ho molto a cuore. 

E comunque possiamo stare tranquilli perché tra le attenzioni del cammino sinodale (io sono anche delegato diocesano per il sinodo) c’è una riscoperta importante del dialogo col mondo, che nasce col Concilio. Il documento di riferimento è la “Gaudium et Spes“, che aprì una capacità di dialogo tra la chiesa e il mondo. Si passó dall’atteggiamento della condanna dottrinale all’impegno di dialogare con il mondo e con le realtà più lontane. Cose entusiasmanti, se noi trovassimo il tempo di leggere questi documenti noteremmo tutto il fascino che esprimono. 

Vorrei rassicurare tutti quanti, perché sono certo che anche i tre parroci che arriveranno avranno particolare attenzione anche a questo aspetto sociale. E poi nel mio servizio diocesano il contatto con le parrocchie continuerà ad esserci. Questa attenzione al sociale, che non è solo mia ma prima ancora dell’arcivescovo, molto attento alle questioni sociali, questa dimensione sicuramente non mancherà. Bisognerà cominciare a svilupparla. 


D. Si, la grande disponibilità di mons. Gualtiero Isacchi, arcivescovo di Monreale, abbiamo avuto modo di constatarla. Fin dal primo momento ha ricevuto i comitati, li ha ascoltati e insieme sono stati individuati i percorsi per porre all’attenzione di chi ha responsabilità politico-istituzionali i temi della salute pubblica e della viabilità. È importante questo dialogo tra persone di buona volontà, che io constato da tempo anche nel quotidiano dei vescovi, “Avvenire”, che leggo spesso. Tra l’altro un frate domenicano mio amico, fra Giovanni Calcara, spesso mi manda link di articoli molto interessanti di riviste e giornali cattolici sui temi sociali. Proprio con fra Giovanni il 7 agosto a Caccamo ricorderemo insieme Filippo Intili, sindacalista della Cgil assassinato dalla mafia nel 1952. 

A proposito, mi sembra che ormai la Chiesa stia facendo degli enormi passi avanti nella lotta contro la mafia. 


R. L’impegno della chiesa nella lotta contro la mafia merita di essere riscattato. Nel passato su questa tematica non è una cosa così nascosta che vi siano stati troppi silenzi. Ma questo ha portato la chiesa ad essere un po’ disincarnata rispetto al tempo, al luogo e alla storia che si stava vivendo. Io nella mia predicazione ho sempre cercato di essere molto aderente al contesto in cui ci troviamo. Corleone ha una storia meravigliosa, perché vi sono tante espressioni ecclesiali e sociali positive, belle. Ma anche una storia molto ferita, perché il fenomeno mafioso a Corleone è stato ed è (oggi magari in forma diversa, più velata) una piaga che la società civile e la chiesa devono avere sempre il coraggio di denunciare, incoraggiando i cittadini e il popolo di Dio a ribellarsi a certe logiche. Purtroppo sappiamo che la mafia non è soltanto l’associazione mafiosa con un certo numero di persone che ne fanno parte. La mafia è anche un fenomeno che ha creato mentalità. Questa è la dimensione più pericolosa purché diffonde un modo di pensare e di agire sociale che cozza contro i valori sociali e contro i valori del Vangelo. Basta ricordare l’intervento di Giovanni Paolo II nella Valle dei templi, che non è passato di moda. La cultura della morte non può appartenere né ad una sana società civile e men che meno ad una comunità ecclesiale. 


D. È stato un crescendo, papa Giovanni Paolo II, il documento dei vescovi siciliani, papa Benedetto XVI e infine Papa Francesco che ha annunciato la scomunica dei mafiosi. Personalmente a Corleone il primo uomo di chiesa che ho sentito parlare contro la mafia è stato fra Paolo. Il clero corleonese ə stato sempre molto più prudente, “tradizionalista”. Una denuncia delle commistioni tra chiesa e mafia a Corleone l’ho letta nella “Storia della città di Corleone” scritta da don Giovanni Colletto, un sacerdote. Don Colletto denunciò come un fatto gravissimo, scellerato, che nei primi del ‘900 la chiesa corleonese avesse accettato l’intervento e la protezione dei mafiosi per lo svolgimento pacifico della processione del SS. Crocifisso della catena, che i socialisti minacciavano di disturbare.  

Oggi mi pare che si vada in una direzione più lineare. Anche le istituzioni cittadine, dopo lo scioglimento per mafia del 2016, pare che abbiamo intrapreso un percorso nuovo, diverso. Certo, non sempre c’è coerenza tra quello che di dice e quello che si fa, ma viene sempre più difficile distaccarsi eccessivamente da quello che si dice. 


R. Quando negli anni ‘80 la chiesa italiana decise che non esisteva più un partito cattolico, fece una scelta lungimirante. In ogni partito troviamo diverse sensibilità, ma ognuno ha dei valori e si lascia ad ogni cattolico la libertà di potere aderire ad una corrente piuttosto che ad un’altra. Non può mai venire meno l’impegno politico. Il papa e i vescovi italiani lo ribadiscono: la politica è la più alta forma di Caritá. La politica non è una parolaccia ma significa ricerca del bene comune, impegno nella società per il bene di tutti. Non si potrebbe vivere in modo esplicito il Vangelo se non ci fosse un’attenzione alle vicende politiche del territorio in cui si vive, “sporcandosi” le mani. Ognuno con la propria sensibilità. La chiesa, i sacerdoti, vogliono l’impegno politico dei cattolici, ma non danno indicazioni partitiche. Il voto è un diritto-dovere che si deve esercitare, perché è stato conquistato col sacrificio della vita di tantissime persone. 


D. L’ultima questione. In questi mesi a Palermo è dirompente la tragedia del “crack”, questo scarto di droga che costa poco (5-10 euro a dose), viene facilmente confezionata nelle case e crea immediatamente una maledetta dipendenza, che riduce tanti giovani a larve umane disposte a tutto pur di “farsi”. È chiaro che dietro lo spaccio di droga c’è la mafia. Questa droga (ma anche l’altra) è arrivata a Corleone. A Palermo se ne sta cominciando a parlare e ad organizzare strumenti di contrasto. A Corleone non ne parla nessuno. Non credi che sia necessaria da parte delle istituzioni, della stessa chiesa, dei partiti e delle associazioni una lettura più approfondita della realtà sociale di Corleone, per comprenderla meglio e mettere in campo adeguate strategie di intervento?


R. Io auspico una sinergia tra la comunità cristiana, i servizi sociali, le istituzioni, le forze dell’ordine. Sarebbe utile un osservatorio, che se la stessa collaborazione tra tutti sarebbe essa stessa un osservatorio. Da parte mia ho denunciato apertamente che nel mondo giovanile corleonese una percentuale altissima fa uso di droghe. Mi auguro che il crack che ha effetti devastanti non sia arrivato nelle proporzioni di Palermo. Ma anche le cosiddette droghe leggere non esistono, ma sono solo trampolini di lancio. Quindi, come ho detto più volte pubblicamente, oltre all’ospedale di Corleone, oltre all’annosa questione pietosa delle strade che ci collegano con gli altri comuni e con la città di Palermo e di Monreale, un’altra piaga sulla quale ci vorrebbe che ci fosse un comitato a sensibilizzare e a lottare con forza è proprio quello contro le droghe. Tra l’altro, queste droghe non hanno solo l’effetto del momento, ma possono portare alla schizofrenia e alla morte. Qualche ragazzo l’ho conosciuto anch’io, mi è stato portato dai genitori con gli effetti devastante di questa droga. Quindi non è una questione su cui riflettere, ma urge intervenire altrimenti abbiamo la morte che corre dietro le vite dei nostri ragazzi. E questo non ce lo possiamo permettere né come società civile né come chiesa. 


D. Sarebbe importante che un’iniziativa in questo senso la lanciasse la diocesi. Per l’autorevolezza che ancora ha la chiesa dalle nostre parti, se chiamasse tutti a confrontarsi su un questo tema, un po’ di attenzione in più ci potrebbe essere. 


R. Mi prendo l’impegno, anche in vista di questo servizio diocesano di delegato episcopale per la pastorale, di parlarne con il vescovo e di stimolare anche gli altri uffici pastorali, perché lo trovo urgente. 


Grazie, don Luca del tempo che ci ha dedicato. 

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