domenica, agosto 27, 2023

Trent'anni senza don Puglisi. Il primo martire della chiesa ucciso in strada dalla mafia

Pino Puglisi 

DANILO PROCACCIANTI

Don Pino non amava festeggiare il compleanno. E anche quel giorno, in cui compiva cinquantasei anni, lo trascorse come tutti gli altri. La mattina andò per l'ennesima volta nella sede del Comune di Palermo. 

I sotterranei delle case popolari che qualche mese prima erano stati liberati dai vigili urbani erano di nuovo territorio dei mafiosetti locali. «Possibile che non riusciate a fargli capire che non devono più portare armi lì dentro?» disse don Pino al comandante dei vigili. Quello rispose con un'alzata di spalle: «Noi abbiamo fatto il nostro dovere. Non possiamo venire a Brancaccio ogni giorno. Palermo è grande». Don Pino se ne andò sbattendo la porta, salì sulla sua Fiat Uno scassata e tornò spedito verso la chiesa di San Gaetano. C'erano due matrimoni da celebrare, quel giorno. Per l'occasione sotto la tonaca indossò il suo completo migliore: pantaloni, giacca e camicia nera e poi scarpe lucide, lucidissime. Finiti i matrimoni si cambiò al volo in sacrestia e si precipitò al corso di preparazione al battesimo per le giovani coppie del quartiere.

La finta rapina

Era ormai sera quando si rimise in macchina. A metà strada si fermò a fare una telefonata da una cabina. Arrivò davanti a casa che erano le venti e trenta. Parcheggiò l'auto e attraversò piazza Anita Garibaldi, al Brancaccio. Iniziò a frugare nel borsello per cercare le chiavi del portone, quando sentì una voce alle sue spalle: «Questa è una rapina». Don Pino si girò e si trovò una pistola puntata contro. L'uomo gli strappò di mano il borsello. Don Puglisi non reagì. «Me l'aspettavo» disse soltanto, con un sorriso. Quindi sopraggiunse un altro uomo e gli sparò alla tempia con una pistola silenziata. Don Pino cadde a terra. Era il 15 settembre del 1993.

I killer inscenarono una rapina per tentare di depistare le indagini e lasciar credere agli investigatori che quello non fosse un delitto di mafia, ma l'opera di un tossicodipendente o di qualche sbandato del quartiere.

Il magistrato che si occupava delle indagini, però, aveva ben chiara la situazione sin dall'inizio. Tanto che quando i giornalisti gli chiesero che idea si fosse fatto sull'omicidio, lui tagliò corto: «Più mafia di così si muore».

Il contesto

I mandanti dell'omicidio erano i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, boss incontrastati di Brancaccio, che avevano agito in accordo con le famiglie mafiose di tutta Palermo. Don Pino era stato condannato a morte da Cosa Nostra per i suoi discorsi contro la mafia, per l'influenza positiva che esercitava sulla gente, per tutti i bambini che aveva preso sotto la sua ala protettrice strappandoli agli artigli della criminalità organizzata.

Don Pino Puglisi non era un eroe e soprattutto non era un eroe antimafia. Lui rifiutava questa etichetta. Era semplicemente un prete che predicando il Vangelo trovava naturale allontanare i bambini del quartiere dall'abbraccio mortale con la mentalità mafiosa. I fratelli Graviano, boss mafiosi appartenenti al vertice di Cosa Nostra, abitavano là, per don Pino erano uno dei tanti problemi da combattere. Loro erano solo la faccia di un sistema opprimente. In quel quartiere mancavano le scuole, gli spazi per i bambini e mancavano perfino le fogne. I responsabili di quel degrado non erano solo i mafiosi in senso stretto. Erano responsabili anche le istituzioni assenti, lo Stato che si girava dall'altra parte.

Le fogne

Sembrerà quasi banale o perfino tragicomico ma la prima battaglia di don Pino contro la mentalità mafiosa fu proprio quella per le fogne. Negli abitanti di Brancaccio si era fatta strada l'idea che per avere le fogne bisognava ingraziarsi il politico di turno, pregare il mafiosetto locale o corrompere un funzionario comunale. Don Pino diede loro la forza di ribellarsi, gli fece capire che esisteva un'alternativa. Promosse raccolte di firme e manifestazioni sotto al Comune. Vinse quella battaglia e quando i cittadini di Brancaccio capirono che le fogne erano un loro diritto, capirono anche che i loro figli non erano condannati alla miseria, all'ignoranza e alla "mafiosità".

Don Pino ha dato ai ragazzi di Brancaccio un'alternativa, ha fatto capire loro che la mafia li asfissiava e li rendeva schiavi. In un colpo solo ha restituito loro la dignità e un futuro. Per questo è morto don Pino, per questo è un martire. Avrebbe potuto starsene tranquillo in sacrestia, senza disturbare nessuno, ma preferiva rompere le scatole.

Danilo Procaccianti

È autore del libro "Un prete contro la mafia. Storia di Pino Puglisi, dei suoi ragazzi e di Brancaccio" (De Agostini 2023)

Domani.it, 26/8/2023

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