sabato, agosto 26, 2023

La corleonese Giovanna Benfratelli riceverà la menzione d’onore al premio dell’Archivio dei diari di Pieve di S. Stefano


La corleonese Giovanna Benfratelli riceverà la menzione d’onore al premio dell’Archivio dei diari e degli epistolari di Pieve di santo Stefano (Ar), in Toscana, che si terrà dal 14- 17 settembre 2023.

Per “Mosaico di storie corleonesi” Giovanna ha scritto pagine bellissime (ambientate ‘o Puzzubuonu, quartiere allora popolarissimo in cui ancora ha casa) su sua zia Rosaria, che conzava gli altari di san Giuseppe e coordinava l’operato delle donne che preparavano le pietanze. O sui bambini che raccoglievano legna nei quartieri (ognuno nel suo, senza sconfinare) per fare i falò. I suoi racconti non erano stiticamente descrittivi di usanze locali, ma erano narrati attraverso lo sguardo e il vissuto di lei bambina, erano personalizzatissimi, la immaginavi letteralmente là a imbrattarsi di fuliggine per raccogliere i resti carbonizzati della legna bruciata…

Queste sue pagine fanno parte di un corpus narrativo che Giovanna ha via via continuato a scrivere e che io ho insistito inviasse al concorso di Pieve. L’ha fatto. Ed è risultata fra coloro che riceveranno una particolare menzione d’onore, ricevendo l’invito a recarsi a  Pieve di santo Stefano alla premiazione e agli eventi che si terranno dal 14 al 17 settembre. Eventi che potranno essere seguiti anche in diretta facebook.

Nel farle i nostri migliori complimenti, ci auguriamo che possa riprendere corso “Mosaico di storie corleonesi”, e che uno spazio a queste memorie, a possibili diari ed epistolari, che a Pieve ha sede presso il municipio, possa essere trovato anche a Corleone, anche nei nostri Comuni!


A Pieve Santo Stefano, dal 1984, su iniziativa del giornalista e scrittore Saverio Tutino, è stato costituito un Archivio dei diari e degli epistolari, che raccoglie questo tipo di materiali, scritti anche da gente poco alfabetizzata, e comunque da gente comune, in cui si riflette la vita di tutti e la storia d’Italia. Chiunque volesse può depositare là i suoi scritti autobiografici, o lettere antiche trovate nella soffitta di casa, invece di buttarle. Sono carte tutt’altro che insignificanti! E queste carte possono essere consegnate e secretate, o secretate per un certo numero di anni. Oppure si può, con gli scritti autobiografici, partecipare ad un concorso.

Diversi anni fa scoprii questo magnifico archivio, che oggi conta migliaia di diari (uno dei quali scritto su un lenzuolo matrimoniale!) leggendo alcuni libri, pubblicati dopo aver vinto il concorso di cui parlavo.

Il primo che lessi fu “La spartenza”, di Tommaso Bordonaro, un contadino poverissimo di Bolognetta, il cui diario è finito (e da là ha cominciato a vivere!) all’archivio di Pieve grazie all’interesse di Santo Lombino, attivo stimolatore e raccoglitore di questo tipo di memorie, oggi direttore, a Villafrati, del “Museo delle spartenze”, dedicato ai nostri emigrati, oltre che ai nuovi immigrati. Nel suo diario, Bordonaro racconta la sua vita poverissima a Bolognetta, il suo scarno viaggio di nozze a Palermo, la “corsa” in città, a bordo di un carretto, per il parto complicato della sua prima moglie, il ritorno di lei al paese, in carretto, ormai morta. Poi il suo emigrare in America, a spaccarsi le ossa senza sosta, sette giorni su sette, lavorando anche di notte, fino a farsi una posizione economicamente stabile. Il suo viaggiare, il suo tornare periodico a Bolognetta... Nel descrivere la separazione dalla sua famiglia d’origine e la sua partenza per l’America, scrive, nel suo complicato italiano/siciliano, “Dolorosissima fu la spartenza…”, coniando il magnifico vocabolo che dà il titolo al suo libro. Da cui, oltre ad elaborazioni teatrali, è stata tratta anche un’opera lirica, “Ellis Island”, rappresentata anche al Teatro Massimo.

Un altro magnifico libro, fra le cose più belle che io abbia letto, vincitore anch’esso del Premio Pieve di Santo Stefano, è “Terramatta”. 1200 fittissime pagine battute a macchina senza alcun margine, con le parole tutte separate fra di loro da un punto e virgola, scritte per anni da Vincenzo Rabito con foga forsennata, in un italiano che si sciarrìa con il siciliano e viceversa, una lingua incredibile, direi “onomatopeica”, del tipo “Mi ciamo Ciovanne Rabbito, chilassa 99”. La moglie, infastidita da questo suo imperterrito ticchettare, gli aveva un giorno buttato via la macchina da scrivere con parte dei fogli. Che il figlio Giovanni ha invece valorizzato e trascritto in italiano corretto, inviando il tutto… all’Archivio di Pieve di santo Stefano. Dove intuirono il valore dello scritto ma, giustamente, lo vollero nella sua versione originale. Il dattiloscritto era sterminato, si ramificava in rivoli di argomenti, ed era difficilmente riconducibile ad una lettura organica, e fu affidato ad un pull di scrittori con l’obiettivo di ricondurre questa marea montante di parole in un alveo di leggibilità. Il pull di scrittori finì con l’abbandonare il campo senza portare a termine il compito loro affidato. Col tempo, insistendo, si riuscì a fare un estratto (solo uno dei possibili estratti) che avesse una “consecutio”, che vinse al concorso di Pieve e fu pubblicato con grande successo da Einaudi. Da là anche trasposizioni teatrali, documentari ecc. “Terramatta”, in una lingua di un’efficacia unica, talvolta difficilmente leggibile (alcuni miei amici hanno finito col desistere), attraversa la vita di Rabito da quando, ragazzo del ’99, venne chiamato alle armi per combattere la prima guerra mondiale, poi la guerra d’Africa, poi ancora la II guerra mondiale, fino al boom economico, all’arrivo della tv, al suo pratico arrangiarsi per restare a galla e raggiungere finalmente un certo benessere. Le sue pagine sono a tratti di una tragicità tremenda, per esempio quelle in cui descrive il faticoso incedere nella neve dei soldati ancora vivi, fra le carni maciullate dei compagni e dei cavalli morti, in un miscuglio che le rendeva indistinguibili. O quando, senza celare niente di sé, descrive lo stupro compiuto da lui e altri su una ragazza. Ma ha anche pagine spassosissime. Per esempio quando descrive il prendere posto per sé e per la moglie (su volere imperativo di questa) per meglio piazzarsi a vedere la tv al circolo. Una lettura che consiglio caldamente.

Vincitore del concorso a Pieve di santo Stefano anche “Lasciato nudo e crudo”, di Castrenze Chimento, che ho avuto modo di conoscere al Centro sociale san Saverio, a Ballarò, di cui, assieme ad altri, ero stata socia fondatrice nell’’85 e volontaria per 20 anni. Chimento, ottantenne, venne al centro sociale (dove, fra le altre cose, facevamo un corso di alfabetizzazione per adulti) per imparare a leggere e scrivere. Voleva raccontare la sua storia di pastorello poverissimo, lasciato in campagna in compagnia delle sole bestie, a cibarsi di erba come loro. Gli fu chiesto se non volesse magari dettare a qualcuno le sue memorie. No: voleva scriverle! E imparò con caparbietà per dare alla luce il suo libretto!

Ho pensato all’Archivio di Pieve quando ho proposto che anche noi dessimo vita ad un ordito collettivo, scrivendo (ognuno come sa, con la propria lingua, anche “sgrammaticata”, anche non “ripulita in Arno”) di personaggi o di avvenimenti del passato ma che hanno ancora spazio nella nostra memoria. Perché anche noi, tirandoli fuori dalla nostra cassaforte affettiva, creassimo una storia collettiva, non fatta da grandi eventi, da personaggi epici, ma di storie quotidiane, tutt’altro che insignificanti. È nata così la pagina Facebook “Mosaico di storie corleonesi”, pubblicata anche su “Città nuove”. 

Cominciai io a dare corso a questa serie di racconti, scrivendo di Ninu babbu. Il pezzo, qualche anno fa, fu molto letto e suscitò molte reazioni e integrazioni. Seguirono altri scritti, su Marietta Sticchiuluongu, su Borgo Schirò di una volta… di Giovanni Perrino, Gianna Ciravolo, Apollonia Cortimiglia, Dino Paternostro, Giovanna Benfratelli, che adesso sarà premiata a Pieve. 

Maria Di Carlo

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