giovedì, agosto 17, 2023

Delitti Costa, Chinnici Cassarà e Giaccone, l’antimafia smemorata rimuove la zona grigia

Da sx: L’esattore Nino Salvo, il giudice Rocco Chinnici e il prof. Paolo Giaccone

Nelle commemorazioni si è puntato l’indice solo verso Cosa nostra dimenticando le collusioni con il mondo politico ed economico che determinarono gli omicidi. Ma il presidente Mattarella invita a “combattere le complicità con la stessa fermezza con cui si contrasta l’illegalità”
 

di Salvo Palazzolo

Qualche giorno fa, il sindaco di Palermo Roberto Lagalla ha dichiarato orgoglioso: «Abbiamo assolto al dovere di sostituire la lapide del giudice Costa, adesso per la prima volta si legge che questa strage è avvenuta per mano mafiosa». E ha aggiunto: «Era una reticenza, non so quanto originariamente consapevole». Il figlio dell’allora procuratore di Palermo ucciso il 6 agosto 1980, l’avvocato Michele Costa, ha accolto con favore la nuova lapide, ma ha ricordato che il processo di recupero della verità e della memoria non può dirsi concluso. Non conosciamo infatti i nomi dei sicari e dei mandati, non conosciamo soprattutto quelle complicità eccellenti che il magistrato aveva toccato avviando le prime indagini bancarie dopo l’assassinio del presidente della Regione,

Piersanti Mattarella: qualcuno a Palermo doveva essersi preoccupato seriamente perché il colonnello della Guardia di finanza Marino Pascucci era stato minacciato e dopo la morte di Costa venne trasferito in tutta fretta. Ha scritto la corte d’assise di Catania che ha assolto il mafioso Salvatore Inzerillo dall’accusa di essere il palo del delitto Costa: «È aleggiata su alcuni episodi (e ciò dicasi per i continui avvicendamenti ai vertici della Guardia di finanza di Palermo) l’ombra nefasta della P2 di Licio Gelli». 
Ma, oggi, sulla lapide del procuratore Costa c’è solo la parola mafia. Un tempo, certi politici e certi giornali non la scrivevano, oggi la si usa sempre, è diventato un comodo slogan. È la retorica che cancella le verità più scomode, quelle che non bisogna ricordare. Dell’omicidio Costa, invece, non si dovrebbe dimenticare quanto disse una volta suo figlio: «Pensare che l’assassinio di mio padre sia dovuto solo a una vendetta contro gli arresti nei confronti del gruppo Spatola Inzerillo è davvero riduttivo ». E ha aggiunto: «Si è preferito credere alla favoletta che era stata una bravata di Totuccio Inzerillo. Invece, c’è una verità che nessuno ha mai cercato nelle indagini che mio padre si ostinava a fare sulla zona grigia fra mafia, politica e finanza. Soprattutto sui flussi finanziari». E questa non è davvero una storia del passato. Gli Inzerillo, tornati a Palermo dopo la morte di Riina, provano a riprendere gli affari del passato con i tesori che nessuno è riuscito ancora a sequestrare. 
Questa è l’estate dell’antimafia smemorata. Nelle dichiarazioni deipolitici, nei comunicati ufficiali e nei resoconti giornalistici, non sono state dimenticate soltanto le indagini finanziarie del procuratore Costa, ma anche una verità ormai consacrata in una sentenza della corte d’assise di Caltanissetta, quella che riguarda l’omicidio del consigliere Rocco Chinnici, assassinato 40 anni fa assieme al maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi, all’appuntato Salvatore Bartolotta e al portiere dello stabile, Stefano Li Sacchi. 
Ecco cosa hanno scritto i giudici: «L’uccisione del consigliere Chinnici fu voluta dai cugini Ignazio e NinoSalvo e ordinata dalla cupola mafiosa per le indagini che il magistrato conduceva sui collegamenti tra la mafia e i santuari politico-economici». È l’unico caso in cui sono emersi i mandati eccellenti della strage. Scrivono ancora i giudici, ma nessuno lo ricorda: «I Salvo erano uomini d’onore della famiglia di Salemi. Avevano un ruolo di raccordo, nel panorama politico siciliano, quali esponenti di spicco di un importante centro di potere politico-finanziario, tra Cosa nostra ed una certa classe politica ». Fu Giovanni Brusca a raccontare ai magistrati di una riunione traNino Salvo, il padre Bernardo Brusca e Totò Riina al termine della quale gli fu detto dal capo dei capi: «Finalmente è venuto il momento di rompere le corna a Chinnici, mettiti a disposizione di don Nino». Il giorno dopo, Nino Salvo accompagnò Brusca a Salemi, dove il giudice aveva una casa di campagna. I sopralluoghi per l’attentato iniziarono subito. Poi Cosa nostra cambiò idea, e fu progettato l’attentato con l’autobomba a Palermo. I Salvo avevano fretta, Chinnici li stava per arrestare, come poi testimoniò il vice questore Ninni Cassarà, mentre altri investigatori negavano. 
L’estate degli smemorati. Nessuno ha ricordato che Cassarà, il capo della sezione Investigativa della squadra mobile, fu tradito da una talpa all’interno dell’ufficio e che poi qualcuno trafugò la sua agenda dalla scrivania, pure quella un’agenda rossa. L’antimafia smemorata prova a riscrivere la storia, allontanando le ombre. E mai nessun rappresentante delle istituzioni che si scusi per la solitudine in cui le vittime furono ridotte da una Palermo, una Sicilia, una politica, e una società fin troppo indifferenti. 
L’ultima rimozione è avvenuta pochi giorni fa, in occasione dell’anniversario dell’uccisione del medico legale Paolo Giaccone, avvenuta l’11 agosto 1982 fra i viali del Policlinico. Si era rifiutato di aggiustare una consulenza su un’impronta che incastrava il killer Giuseppe Marchese. Era stato un avvocato a chiederglielo per telefono, qualche giorno prima. Come non ha mai smesso di ricordare Milly Giaccone, la figlia di Paolo: «Mi sembra ancora di sentire la voce di papà che dice: “Avvocato, a me certe cose non deve neanche chiederle”. E riattaccò con forza la cornetta del telefono». Quell’avvocato è rimasto senza nome. Un altro dei pezzi mancanti di Palermo. 
Nell’estate dell’antimafia smemorata solo il presidente della Repubblica Sergio Mattarella — anche lui un familiare che aspetta piena giustizia per l’assassinio del fratello Piersanti — ha ricordato che l’esempio di Falcone e Borsellino «ci invita a vincere l’indifferenza, a combattere le zone grigie della complicità con la stessa fermezza con cui si contrasta l’illegalità ». La zona grigia, la borghesia mafiosa tante volte citata dal procuratore Maurizio de Lucia. Queste sono le parole e le storie che l’antimafia delle commemorazioni ha invece dimenticato. 

La Repubblica Palermo, 17/08/2023

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