sabato, agosto 05, 2023

Ezio Calaciura, morte di un cronista che indagava sulla mafia


di Gian Mauro Costa e Roberto Leone 

Ezio Calaciura aveva collaborato per il caso Tandoj con Mauro De Mauro scomparso nel ’70. Due persone offrirono tanti soldi alla vedova per acquistare i rottami della sua auto 
Era solo una carcassa. Depositata in un garage da un carroattrezzi dopo un terribile incidente stradale. Rottami senza valore anche se di un’auto che all’inizio degli anni ’ 70 era di tendenza, faceva moda e sarebbe poi diventata anche un mito sportivo, nella sua versione da rally. Quanto poteva valere questo mucchio di ferraglie? Poche centinaia di migliaia di lire, forse anche meno, visto che il valore commerciale dell’auto nuova era all’epoca di circa due milioni. 



Eppure per quell’ammasso informe abbandonato nel buio di un’autorimessa era stato offerto un bel mucchio di soldi. Qualcuno voleva a tutti i costi impossessarsi di ciò che restava della Fulvia coupé blu di Ezio Calaciura, cronista dell’Ora e della Sicilia morto sull’autostrada che porta da Reggio Calabria a Salerno nella notte del primo giorno di primavera del 1973. Uno scontro frontale e senza scampo con un camion che arrivava dalla direzioneopposta. A bussare alla porta della vedova di Calaciura, Maria Bellone, erano stati due individui, che la donna definirà molti anni dopo “ mafiosi”. Quasi trent’anni dopo per la precisione, perché dal 1973 sino al 14 febbraio nel 2001 la donna resta invece in silenzio. Certamente ha paura, probabilmente è sola, e non sa come affrontare una situazione difficile in un ambiente ostile come quello di Agrigento negli anni Settanta. Ha sicuramente dei sospetti sulla morte del marito, ma non riesce a metterli a fuoco, a capire chi e perché potrebbe aver deciso di ucciderlo, mascherando l’omicidio con un banale incidente stradale. La sua scelta è dunque quella di un silenzio forzato.
 
Poi arriva la scintilla. Scaturisce dalle dichiarazioni di uno dei pentiti più importanti di Cosa nostra, Francesco Di Carlo, per anni latitante a Londra, uno di quei boss che hanno gestito in prima persona gli affari dei clan. Di Carlo parla della morte di un altro giornalista, Mauro De Mauro, il cronista dell’Ora scomparso la sera del 16 settembre 1970 in viale delle Magnolie a Palermo. Di Carlo sostiene che De Mauro è stato ucciso perché sapeva tutto dei preparativi del golpe organizzato dal principe Junio Valerio Borghese. Era questo il grande scoop che il giornalista stava preparando. De Mauro sparisce a metà di settembre e alla fine di quell’anno, l’ 8 dicembre, il tentato golpe fallisce. E Maria Bellomo fa due più due, perché Ezio Calaciura aveva conosciuto ed era stato a lungo a fianco proprio di Mauro De Mauro. I due avevano lavorato insieme sulla morte del commissario di polizia Cataldo Tandoj, ucciso dalla mafia ad Agrigento il 30 marzo del 1960. De Mauro era l’inviato di punta dell’Ora, Calaciura il corrispondente dello stesso giornale dalla città dei templi. Per settimane avevano diviso il giorno e la notte per seguire le indagini sulla uccisione del poliziotto. E avevano continuato a collaborare, intrecciando le loro inchieste anche sulla sciagura aerea di Buscapè in cui era morto il presidente dell’EniI Enrico Mattei, anche questa rivelatasi poi un attentato organizzato dalla mafia siciliana. 
A quel punto Maria Bellomo decide di parlare e il 14 febbraio del 2001 rilascia una lunga e dettagliata intervista alTgr della Sicilia in cui racconta quel misterioso episodio avvenuto dopo l’incidente che era costato la vita al marito. 
« Qualche settimana dopo la morte di Ezio — disse al microfono della Rai — due uomini vennero a casa per offrirmi una grossa somma di denaro in cambio del rottame dell’auto che era stata distrutta nell’incidente. Provai a indagare sul motivo, su tanta generosità nell’offerta che quei due uomini avevano fatto, ma presto fui fermata. Qualcuno mi disse quelli erano dei mafiosi e che era meglio lasciare perdere. Altrimenti avrei messo a rischio anche la vita della mia bambina di sette anni». 
Un po’ troppo per una donna rimasta vedova, e con una piccola da crescere in una realtà che anziché incoraggiarla a parlare la invitava all’omertà. Da qui la ragione di quel lungo periodo di silenzio. 
Una cosa, però, era chiara, molto evidente: qualcuno voleva far sparire quei rottami, quello che restava dell’auto che nella notte del 21 marzo del 1973 si era scontrata sul ponte Petrace, in una zona a doppio senso dell’autostrada Reggio Calabria-Salerno, contro un camion condotto da Domenico Scaglione, un calabrese di Nicastro. L’inchiesta su quell’incidente dura poche ore e nessuno avanza dei sospetti. Ezio Calaciura che ha 39 anni e da 15 fa il giornalista tra Agrigento, Catania e Roma, muore dopo essere stato trasportato all’ospedale di Palmiintorno alle tre di notte. Il suo cadavere arriverà pochi giorni dopo ad Agrigento per il funerale che raduna tanti colleghi. Sulle cronache si racconta la sua vita, ma nessuno approfondisce dinamica e cause dell’incidente: l’inchiesta è chiusa prima di iniziare. 
Ad Agrigento Calaciura era molto conosciuto. Qui aveva mosso i primi passi nella sua attività giornalistica, occupandosi oltre che dell’inchiesta sull’omicidio del commissario Tandoj, anche delle indagini sulla mafia agrigentina che andava acquistando sempre più potere all’interno della geografia delle cosche siciliane. Il suo lavoro si allarga sino a lambire la famiglia di Natale Rimini — una di quelle particolarmente in ascesa all’inizio degli anni Settanta all’interno del Gotha di Cosa nostra — per poi dilatare il suo interesse alle propaggini della mafia siciliana che stanno mettendo radici a Roma. E Calaciura va a lavorare proprio a Roma per qualche mese, altri li trascorre anche a Malta, prima di tornare in Sicilia ed esattamente a Catania dove la redazione del quotidiano La Sicilia gli ha offerto un contratto di collaborazione stabile. Per lui è una svolta importante, che lo fa uscire dalla condizione di precariato, difree lance, di corrispondente sempre in prima linea ma mai con un posto fisso all’interno di una redazione. 
Prima di prendere servizio però, Calaciura deve tornare a Roma per « sbrigare alcune cose » non meglio precisate e da un collega con il quale prende un aperitivo, alla vigilia della partenza, prende il commiato con una frase inquietante: «Quando uno parte non sa se si ritorna » . Un semplice luogo comune? O invece parole che, alla luce di quello che avviene nella nottesuccessiva in Calabria, giustificano dubbi sulla reale casualità di quell’incidente? C’entra davvero la pista indicata la Francesco De Carlo per spiegare la scomparsa di Mauro De Mauro, e cioè il golpe Borghese? 
Di certo c’è che in quello stesso periodo i movimenti neofascisti legati alla destra estrema, sono molto attivi. È in pieno corso un processo per la strage di Peteano in cui sono morti tre carabinieri ma soprattutto c’è una lista abbastanza lunga di omicidi mascherati da falsi incidenti. Come quello in cui era morto l’ingegner Giovanni Romano o quell’altro, avvenuto il 26 settembre 1970 fra Alatri e Ferentino, in cui persero la vita cinque giovani anarchici investiti da un autocarro dei fratelli Aniello che lavoravano in un’azienda di Junio Valerio Borghese. Un episodio che nel 1971 era stato archiviato come disgrazia. 
Maria Bellone — come hanno ricostruito in un libro uscito pochi mesi fa Sergio Buonadonna e Massimo Novelli, L’imbroglio,che mette insieme le storie di Calaciura e De Mauro in relazione proprio all’omicidio del commissario Tandoj — si era confidata subito con un avvocato di Agrigento. Ed era stato lo stesso legale a consigliarle di lasciare perdere, perché sarebbe stato pericoloso per lei mettersi contro “ quelli” che avevano cercato di comprare il relitto dell’auto di suo marito. Lei ricorda ancora molto bene quelle parole: « Ezio non c’è più e lei adesso deve pensare soltanto alla sua bambina». 
Ma alla donna quel periodo di attività del marito è rimasto perfettamente impresso nella memoria. E lo ricostruisce nell’intervista con la Rai, aggiungendo che oltre a lavorare sulla morte del commissario Tandoj, Ezio Calaciura aveva cominciato a indagare anche sulla scomparsa di Mauro De Mauro, al quale era molto legato. A tutto questo aggiunge un ulteriore particolare inquietante: rivela che dopo la morte di Ezio, qualcuno era entrato a casa sua senza rubare nulla di prezioso ma portandosi via parte dell’archivio del marito. Una sorte analoga toccata ai documenti che il commissario Tandoj aveva intenzione di portarsi a Roma dove era stato trasferito prima di essere assassinato in pieno centro ad Agrigento. Documenti raccolti in sei anni di inchieste sulla mafia della provincia, la stessa sulla quale aveva lavorato Ezio Calaciura. 
Da Agrigento a Roma, lo stesso percorso iniziato dal poliziotto e dal giornalista, ed interrotto per tutti e due da una morte violenta: un omicidio eclatante quello di Cataldo Tandoj assassinato a colpi di pistola in viale Atenea; una morte misteriosa, subito archiviata come incidente stradale, quella di Ezio Calaciura. 
Non a caso, a distanza di tempo, in molti hanno individuato nelle indagini sull’omicidio delcommissario, all’inizio depistate verso la tesi del delitto passionale, la prima “ trattativa” stato- mafia. Un intreccio di interessi da occultare che celano, per la prima volta, un passaggio di poteri dal recinto dell’Isola al centro della politica romana. 
Insomma, la morte misteriosa di Ezio Calaciura, insieme alla scomparsa di Mauro De Mauro, avvalorerebbero, come ha scritto Michele Pantaleone in “ Antimafia occasione mancata”, la tesi che il delitto politico era entrato a pieno titolo nel sistema di Cosa nostra. E anche il delitto mascherato faceva parte di quel sistema, come ha ricordato poche settimane fa l’ex procuratore della Repubblica di Palermo Gian Carlo Caselli alla presentazione dell’Imbroglio al Salone del libro di Torino: «La morte di Calaciura può far benissimo ipotizzare un delitto. Sarebbe bastato manomettere i freni della sua auto » . E Caselli ha citato un acuto passaggio di un articolo scritto da Calaciura già nel 1971: « Nel momento in cui il commissario Tandoj cadeva sotto i colpi di un killer su misura, nasceva la nuova mafia siciliana. Da questo momento la mafia non parla più solo siciliano. I suoi nuovi capi hanno deciso la conquista della nazione passando da Roma». 

La vittima. Ezio Calaciura giornalista morto il 21 marzo 1973 sulla Reggio Calabria Salerno

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