venerdì, agosto 25, 2023

L’ANNIVERSARIO. Francesco Carbone, l’avanguardia dimenticata

IL DISEGNO. Francesco Carbone

Una mostra a Ficuzza celebra il centenario del fondatore di Godranopoli, un pioniere dell’arte senza frontiere su cui sembra calato l’oblio. La mostra dedicata all’artista è allestita nella reggia di Ficuzza fino al 31 dicembre. Pittore e organizzatore culturale, creò un museo di civiltà contadina
 

di Sergio Troisi 
Difficile dire se si sia trattato di un oblio in parte inevitabile per il mutare del gusto e lo scorrere del tempo, o di un vero e proprio fenomeno di rimozione nei confronti di esperienze culturali probabilmente mai davvero assimilate, percepite come estranee e quindi destinate a scivolar via: uno dei tanti emblemi della nostra modernizzazione incompiuta e irrisolta. Ma di certo, con l’eccezione delle Settimane di Nuova Musica e del convegno che tenne a battesimo il Gruppo 63, ricordati e citati con la giusta enfasi che si deve a episodi di snodo, una parte non piccola della cultura palermitana degli anni Sessanta, in particolare quella relativa alle arti visive, sembra avere pagato con una perdita di memoria (complice anche una musealizzazione a dir poco insufficiente di quei lavori, e il loro essere rimasti confinati in un perimetro espositivo perlopiù locale) il suo generoso slancio di adesione alla modernità sperimentale delle neovanguardie.

Eppure, di quella stagione, le arti visive non erano una componente secondaria, al punto che la rivista “Collage”, ideata da Paolo Emilio Carapezza, Nino Titone e Gaetano Testa prima (dal 1962) in una straordinariamente innovativa forma “parlata” nei locali della libreria Flaccovio, e poi edita a stampa, il richiamo disciplinare compariva accanto a quello della nuova musica ( vi collaborava tra gli altri un giovane Achille Bonito Oliva). 
Forse questo può spiegare perché, senza la mostra a lui dedicata aperta lo scorso 20 luglio nella Reggia di Ficuzza ( a cura di Francesco Scorsone, si visita sino al 31 dicembre), il centenario della nascita di Francesco Carbone, che di quella stagione fu animatore generoso, sarebbe passato sotto silenzio. Nato a Cirene nel 1923 (in Libia quindi, al pari di altri artisti palermitani di ritorno o di adozione quali Tino Signorini e Nicolò D’Alessandro), scomparso nel 1999 dopo gli ultimi anni dolorosi seguiti a un incidente stradale, Carbone si è mosso infatti attraversando gli orizzonti estetici che tra i decenni Sessanta e Settanta avevano dissolto i confini tradizionali delle pratiche artistiche, aprendoli a ambiti diversi come la performance o l’antropologia. Aveva esordito come pittore, rifacendosi agli inizi dei Sessanta all’’informale già declinante - una materia pastosa, trascinata in movimenti a vortice - contaminato tuttavia dagli inserti a collage di carta di giornale o di frammenti di oggetti quotidiani. Si trattava, a quella data, di codici adottati in lieve ritardo rispetto a quanto avveniva altrove, che testimoniavano in ogni caso, in un ambiente generalmente legato a una figurazione spesso di maniera, una curiosità vivace verso i mutamenti in atto, una disponibilità ad accoglierli e a farsene interprete. 
È questo, sino alla fondazione di Godranopoli nel 1980, forse la fase più importante dell’attività di Carbone: la sua ricerca trova così continue sponde nel dibattito politico e nell’azione sociale che caratterizzavano quegli anni (dalle esperienze diTempo Sud e Presenza Sud all’apertura in via Enrico Albanese della libreria Nuova Presenza insieme a Bartolomeo Manno), adotta le strutture modulari e minimali dell’arte ottica e cinetica che Giulio Carlo Argan indicava non senza accese polemiche come l’ultima avanguardia nel binomio tra arte e scienza, tra le altre in un’opera esemplare di quel clima, “Struttura ambientale” del 1968 (presente in mostra), individuando così nella dimensione relazionale con lo spettatore - si incrociano in questo modo design e architettura - il fulcro della propria modalità di intervento. 
È la premessa di quella apertura antropologica che connoterà da qui in avanti gran parte dell’attività di Carbone: inizialmente con interventi di land art, questa volta in tempo reale rispetto al panorama non solo nazionale, come nel caso dell’azione de “Il lago rovesciato” quando, era il 1972, il lago di Godrano, con l’aiuto di pastori e contadini del luogo, venne raddoppiato da grandi fogli di plastica, un materiale industriale quindi per un sito naturale (ne resta una documentazione fotografica). 
E poi con la creazione di Godranopoli, singolare museo - uno dei primi - dedicato alla civiltà contadina, dove i reperti erano presentati privi di didascalie nella loro esemplare e potentemente ambigua, nuda connotazione formale interrogando in questo modo il visitatore, non solo la sua percezione e la sua memoria ma anche la sua disponibilità alla risposta simbolica. Tra Godrano, Ficuzza e la rocca Busambra, tra Mezzojuso, Marineo e Misilmeri (dove troverà un riferimento attento in un altro artista, Giusto Sucato), Carbone aveva così individuato il proprio perimetro di elezione, interfacciando alcuni paradigmi dell’estetica contemporanea con la memoria antica del mondo contadino e pastorale. 
C’è ancora spazio in questa apparentemente zigzagante avventura intellettuale - contestualmente, e non in anni successivi - per la poesia visiva, accanto a altri autori tra cui Ignazio Apolloni, e non a caso, in uno dei testi raccolti nel catalogo della mostra, Tommaso Romano definisce Carbone come “un mediatore di linguaggi” che ha avuto intorno molti interlocutori. 
Piuttosto che in opere specifiche, è forse in questo che si riassume la sua lezione. 
La Repubblica Palermo, 24/8/2023

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