martedì, dicembre 26, 2023

L’INCHIESTA. Le foto di Messina Denaro e Graviano in platea al Costanzo Show per ucciderlo


I due boss latitanti al Parioli per preparare l’omicidio. L’attentato fu rinviato al ’93 e fallì. 

DI LIRIO ABBATE


ROMA — Vedere i boss Matteo Messina Denaro e Giuseppe Graviano, l’uno accanto all’altro, seduti fra il pubblico del teatro Parioli a Roma mentre assistono al Maurizio Costanzo Show fa rabbrividire. Accadeva trentuno anni fa e all’epoca i due corleonesi erano, da latitanti, in missione a Roma per conto di Salvatore Riina. In queste foto inedite sembrano spettatori comuni che si godono lo spettacolo. E nessuno in platea, né tantomeno gli ospiti sul palco, può immaginare che fra il pubblico, a osservarli, ci siano i protagonisti della stagione di terrore che metterà a ferro e fuoco il Paese e le istituzioni. Al Parioli nell’inverno del 1992 i due boss studiano uno degli obiettivi da colpire, Maurizio Costanzo: uno dei punti del loro programma di morte, dopo l’assassinio dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e delle loro scorte. Il 13 maggio 1993 un’autobomba esplode in via Fauro a Roma. Costanzo e Maria De Filippi ne escono miracolosamente illesi. 


La squadra, inviata da Riina, che doveva insanguinare la capitale nel 1992, però, come prima cosa decise di andare a fare compere. Messina Denaro aveva guardato i suoi picciotti ed evidentemente decise che con quelle facce lì non potevano andare da nessuna parte: spiccavano troppo. Non potevano fare molta strada se l’idea era di infiltrarsi nella società patinata dei vip, come avrebbero voluto. E quindi via per negozi. Possiamo immaginare che Giuseppe Graviano abbia acconsentito con gioia alla proposta. In ogni caso, la comitiva di killer sfilava per le vie della moda di Roma. E organizzavano serate nei più rinomati locali notturni della città. In quel periodo, insomma, omicidi zero e divertimenti molti. Ma il punto essenziale era anche quello di fare un paio di sopralluoghi al Parioli. 
A individuare i fotogrammi sono stati gli investigatori che hanno esaminato migliaia di ore di filmati dello show di Costanzo. Un’analisi meticolosa che ha portato a individuare Graviano e Messina Denaro in due serate: il 13 novembre e il 30 dicembre 1992. Le foto fanno parte dell’inchiesta sulle stragi al Nord in cui è indagato l’ex senatore Marcello Dell’Utri e lo era pure Silvio Berlusconi, morto a giugno. L’inchiesta è coordinata dai procuratori aggiunti di Firenze Luca Turco e Luca Tescaroli e dal pm Lorenzo Gestri. A riconoscere in queste immagini “u Siccu” sono stati diversi collaboratori di giustizia ai quali sono stati mostrati i filmati. Lo spunto investigativo è statodato da Giuseppe Graviano: a sua insaputa, intercettato in carcere, rivela a un detenuto di essere stato nel 1992 a Roma in compagnia di Messina Denaro. «Ero con lui», dice Graviano, e svela di essere stato, sempre con “u Siccu”, anche nel teatro in cui si registrava il Maurizio Costanzo Show: «Ci siamo seduti accanto». Costanzo era vittima designata sin dall’anno prima, quando, in tandem con Michele Santoro, conduceva memorabili programmi durissimi contro la criminalità organizzata. E i due boss si possono considerare, per le affinità criminali, per le passioni e le complicità che avevano, come “gemelli diversi”. Il mafioso Giovanni Brusca ricorda ai pm che, durante un incontro con Riina, il capo dei capi si era lasciato andare ad alcune confidenze: «Se dovessi essere arrestato o se mi dovesse succedere qualche cosa, i picciotti sanno tutto». E, come spiega Brusca, «i picciotti a cui faceva riferimento sono Matteo Messina Denaro e Giuseppe Graviano, loro sapevano tutto». Ma cosa sapevano i “figliocci” di Riina, questi picciotti, in più rispetto a Brusca? Evidentemente erano a conoscenza di segreti talmente importanti che, a oggi, sono rimasti tali. Morto “u Siccu” lo scorso settembre, è rimasto solo Graviano, detto “madre natura”, a conservarli. E, forse, pure a gestirli. Messina Denaro, arrestato lo scorso gennaio, rispondendo ai magistrati ha però negato di conoscere Giuseppe Graviano. Ha tagliato corto, come fanno i boss quando non vogliono ammettere responsabilità. E, chiudendo la conversazione, ha detto che lui «non infama» le persone. «Morirò senza infamare». E così è stato. 
La Repubblica, 23/12/2023

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