mercoledì, dicembre 27, 2023

L’INCHIESTA. Sicilia vendesi, un affare privato

Una foto simbolica: manager in marcia verso l’affare Sicilia

OSPEDALI, AEROPORTI, AUTOLINEE, ACQUEDOTTI, GESTIONE DEI RIFIUTI, MANUTENZIONI: REGIONE E COMUNI RIDUCONO LA SFERA PUBBLICA. ECCO PERCHÉ E CHI CI GUADAGNA

di Gioacchino Amato, Claudia Brunetto, Miriam Di Peri, Tullio Filippone e Giusi Spica 

L’efficienza dell’imprenditoria privata al posto della fallimentare gestione clientelare del pubblico. Un cavallo di battaglia del centrodestra, lanciato in grande stile di pari passo con la nascita del partito-azienda Forza Italia di Silvio Berlusconi, nel 1994, ma contrassegnato negli anni a venire da alterne fortune e da qualche clamoroso flop. Un’idea, quella del privato preferibile per principio al “carrozzone Stato”, che ha affascinato a tratti anche la sinistra e i movimenti populisti. Peccato che “privatizzare” significhi spesso svendere aziende e interi comparti economici a multinazionali estere e lasciar gestire ai privati fiumi di denaro pubblico nei settori più strategici per una nazione, dalla sanità ai trasporti, fino ai rifiuti. Senza contare le incertezze sul futuro dei lavoratori delle società sul mercato. Adesso in Sicilia, dove anche per inefficienze e clientelismi ostinati c’è ancora molto di regionale e comunale, spira sempre più forte il vento delle dismissioni, favorito dalla comune trazione di destra dei governi, da Roma a Palermo.

Una tela di colossi che fiutano affari, politici sensibili alle lobby, amministratori con la necessità di fare cassa che ha messo un’intera regione in vendita. Con il risultato di cedere ai privati le attività più redditizie e i pochi gioielli rimasti, lasciando a Comuni e Regione le “bad company” indebitate. 


Sanità, l’affare è bianco 
Nell’Isola dove i cittadini sono costretti a sborsare in media 372 euro a testa — neonati compresi — per pagarsi le cure, l’ultimo “regalo” ai privati è arrivato alla vigilia di Natale, con due decreti assessoriali: 15,8 milioni di euro per gli specialisti ambulatoriali, oltre ai 466,9 milioni ordinari, e 8,6 milioni in più alle cliniche private convenzionate, che già ricevono 539,3 milioni l’anno. Extrabudget che il governatore Renato Schifani ha riconosciuto «per quelle strutture private accreditate che nel 2023 hanno permesso, da un lato, di rispondere al crescente bisogno di prestazioni specialistiche dei cittadini siciliani e, dall’altro, di ridurre il volume delle liste d’attesa». E pazienza se i fondi per la sanità pubblica sono rimasti inalterati. «La stretta collaborazione tra pubblico e privato — ha ribadito il presidente — è uno degli obiettivi del mio governo perché fondamentale, almeno in questa fase, per garantire a tutti i cittadini le prestazioni richieste in tempi adeguati. Ciò non significa che non lavoriamo contemporaneamente al potenziamento del servizio sanitario pubblico, ma non sarebbe logico privarsi di una sinergia che sta dando ottimi frutti». I frutti, per ora, li vedono i privati: nel 2022 — stando all’ultimo rapporto della Ragioneria generale dello Stato — la Regione ha speso 2,4 miliardi per la spesa da privato, contro i 2,3 dell’anno precedente e i 2,1 del 2020. Una torta che vale il 23,8 per cento della spesa sanitaria regionale, contro il 20,3 per cento della media nazionale. Nel 2023 i costi complessivi della macchina sanitaria regionale sono continuati a salire, passando da 9,9 miliardi a 10,1. Producendo un disavanzo da 39,4 milioni che la Regione ha dovuto colmare di tasca propria. 
Se i convenzionati brindano, la sanità pubblica è sempre più in sofferenza: i pronto soccorso scoppiano, 
gli ospedali di periferia rischiano di chiudere per carenza di personale e i medici fuggono verso il privato accreditato, dove si lavora meno e si guadagna di più.Per “salvare” le strutture periferiche e persino i reparti dei grandi ospedali, la Regione chiama in soccorso i privati. È successo all’Ortopedia e al Trauma center di Villa Sofia a Palermo, punto di riferimento di tutta l’area nord-orientale della città. Dopo le dimissioni a catena del primario e di altri due medici che hanno scelto di lavorare in clinica, sono rimasti in corsia a pieno regime solo due chirurghi. La soluzione dell’assessorato alla Salute, per scongiurare la chiusura, è la staffetta dei chirurghi da altri ospedali e la promozione di un protocollo con la Fondazione Giglio di Cefalù, che presterà i suoi ortopedici a Villa Sofia per coprire otto turni al mese. Non un’operazione a costo zero: Villa Sofia dovrà cedere al Giglio l’85 per cento del rimborso per il ricovero. 

Uno schema ripetuto dall’Asp di Palermo per l’ospedale madonita di Petralia Sottana e per quello di Termini Imerese, dove gli specialisti del Giglio vanno in trasferta per garantire una serie di prestazioni sanitarie. «Facciamo quel che possiamo per aiutare la sanità pubblica in difficoltà», ha detto a più riprese il presidente della fondazione, Giovanni Albano, fratello dell’assessora dc alla Famiglia Nuccia Albano. Anche il precedente presidente Stefano Cirillo è un uomo di fiducia di Totò Cuffaro: recentemente è stato nominato segretario regionale del nuovo Scudo crociato. 
Il Giglio riceve dalla Regione un budget di 74,4 milioni di euro annui, ma grazie ai protocolli la cifra è lievitata. Dopo l’addio di uno dei partner fondatori, il San Raffaele di Milano, la fondazione è rimasta in mano agli altri soci: Regione, Asp di Palermo e Comune di Cefalù. Un ente a totale partecipazione pubblica che però gestisce la struttura in maniera privatistica, applicando ai medici i contratti dell’ospedalità privata. In questo modo ha più margini di manovra rispetto al pubblico, dove gli stipendi sono stabiliti dai contratti collettivi nazionali. Un “vantaggio” che ha consentito al Giglio di diventare attrattivo per tanti camici bianchi in fuga dai ritmi insostenibili (e dai rischi) del pubblico. Ora il governo regionale di centrodestra prova a riprivatizzare anche la fondazione: una norma della Finanziaria in discussione all’Ars prevede infatti la ricerca di un partner privato. «Lo stabilisce lo statuto», insistono alcuni deputati democristiani. 
Un’operazione analoga — anche se con altre modalità — a quella realizzata all’ospedale Civico di Palermo per la riapertura della Cardiochirurgia pediatrica. Tredici anni fa, durante il governo Lombardo, il reparto fu chiuso e l’attività spostata all’ospedale di Taormina, in base a una convenzione milionaria tra la Regione e il Bambino Gesù di Roma. 




A Catania scontro politico sull’ingresso di nuovi soci alla Sac di Fontanarossa. A Punta Raisi fra i colossi in corsa spunta anche l’Enav. Aeroporti sul mercato. L’aerostazione del “Falcone e Borsellino” di Punta Raisi per il quale la Camera di commercio ha già messo in vendita il 22,87 per cento delle quote di Gesap


Il governo Musumeci ha deciso poi di riportare l’attività a Palermo e il Civico ha indetto una gara per l’affidamento triennale del servizio di assistenza medica, infermieristica e consulenza specialistica. Sul finire del 2022 è stata aggiudicata per 8 milioni di euro all’unica struttura che si è fatta avanti: il Policlinico San Donato di Milano, ammiraglia dell’omonima holding presieduta dall’ex ministro Angelino Alfano, che con Schifani condivide una lunga militanza in Forza Italia e una breve parentesi nell’Ncd (Nuovo centrodestra). Il contratto è stato siglato nell’aprile scorso a Palazzo d’Orleans, con una conferenza stampa in pompa magna, e il reparto ha aperto i battenti a luglio. Nel frattempo a Taormina la convenzione con il Bambino Gesù è stata temporaneamente rinnovata, nella speranza di ottenere da Roma la deroga al limite di un solo reparto di Cardiochirurgia pediatrica ogni cinque milioni di abitanti. 
Anche i medici argentini che alcune Asp siciliane hanno reclutato per sopperire alla fuga degli specialisti “autoctoni” dalla prima linea dell’emergenza, in alcuni casi hanno scelto di licenziarsi per accettare contratti libero-professionali. È accaduto all’ospedale di Castelvetrano, dove due ortopedici stranieri neo-assunti si sono dimessi per lavorare in una struttura accreditata palermitana: così il reparto si è fermato per diverse settimane in attesa che arrivassero rinforzi da Marsala. 
A farne le spese sono i pazienti, costretti sempre più spesso a mettere mano al portafogli per curarsi o a rinunciare alle cure. Nel 2021 (ultimo dato disponibile della Ragioneria dello Stato) la spesa — ovvero quella pagata direttamente dai siciliani — è stata di 1,79 miliardi di euro. Significa che ogni siciliano ha pagato in media 372,6 euro. L’ultimo rapporto Istat parla addirittura di 2,3 miliardi sborsati dai cittadini dell’Isola per la spesa in sanità. Chi non può permetterselo, rischia di restare indietro. E il processo di privatizzazione produrrà ancora più diseguaglianze. Per Nino Cartabellotta, presidente della fondazione indipendente Gimbe «o si avvia una stagione di coraggiose riforme e investimenti in grado di restituire al servizio sanitario nazionale la sua missione originale, oppure si ammetta apertamente che il nostro Paese non può più permettersi quel modello». 


A.A.A. Aeroporti vendonsi 
Fanno gola a tutti i colossi del settore da almeno vent’anni, adesso ancora di più, dopo essere rimasti i soli in Italia saldamente in mano pubblica e fra quelli che crescono in misura maggiore. Sono gli aeroporti di Palermo e Catania con la loro costellazione di altri quattro scali: Comiso, da qualche anno acquisito dalla Sac che gestisce Fontanarossa, Trapani Birgi per il quale il matrimonio con Palermo appare più problematico e i due piccoli ma strategici aeroporti di Pantelleria e Lampedusa. Un sistema che quest’anno potrebbe sfondare quota 20 milioni di passeggeri, con il “Falcone e Borsellino” di Palermo che chiuderà col record assoluto di oltre 8 milioni di viaggiatori e il “Vincenzo Bellini” che supererà i 10 milioni malgrado l’incendio nel terminal dello scorso luglio. In più, le previsioni per i prossimi anni li indicano, insieme agli altri scali del Mezzogiorno d’Italia, fra quelli pronti alle performance migliori. 
Così la politica, che fra piste e aerei in Sicilia ha sempre recitato un ruolo da protagonista per gestire affari e assunzioni, torna a guardare a questo settore. Fiutando anche la possibilità di rimpinguare le casse sempre più vuote di Regione, Comuni e Camere di commercio che sono ancora i “proprietari” degli aeroporti. Perché i calcoli più ottimistici parlano di un valore di oltre un miliardo e mezzo di euro per i due scali di Palermo e Catania. Un affare che vede il governatore Renato Schifani grande protagonista, non solo a Trapani dove la Regione è azionista unico, ma anche a Palermo dove ha piazzato come amministratore delegato l’ex presidente Enac (l’aviazione civile) Vito Riggio, e a Catania dove l’ad è il suo fedelissimo Nico Torrisi e la maggioranza è gestita da commissari di sua nomina. Un saldo controllo che si aggiunge a un inedito feeling con il presidente dell’Enac, Pierluigi Di Palma, che ha fatto storcere il naso a Fratelli d’Italia e allo stesso sindaco di Palermo, Roberto Lagalla. Ma nelle ultime settimane sembra perdere smalto l’altalenante rapporto con il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, e raffreddarsi l’entusiasmo di Riggio, pronto a lasciare l’incarico all’inizio dell’anno prossimo. 
L’iter tecnico per un ingresso di soci privati è già partito da tempo alla Sac, la società che gestisce Catania e Comiso, per la quale i più ottimisti parlano di un valore di oltre 700 milioni di euro (ma sarà il mercato a stabilirlo). A decidere di far partire la vendita dovranno essere i soci che per il momento hanno preso tempo e che dopo l’incendio della scorsa estate si sono platealmente spaccati. Contro Torrisi il sindaco meloniano di Catania, Enrico Trantino, che ha in mano il 14 per cento delle azioni. Con l’ad, e soprattutto con Schifani, il commissario della Camera di commercio Sud-Est che da sola ha oltre il 60 per cento delle azioni, Antonio Belcuore, quello dell’Irsap, Marcello Gualdani, e quello del Libero consorzio di Siracusa, Domenico Percolla, tutti nominati dalla Regione. Una decisione che potrebbe sbloccarsi se dovesse andare sul mercato lo scalo di Palermo. 
A Punta Raisi la maggioranza delle azioni Gesap le ha il sindaco Roberto Lagalla con la fedelissima della premier, la vicesindaca Carolina Varchi con la delega alle società partecipate. Controllano le azioni della Città metropolitana ( 41,33 per cento) e Comune di Palermo ( 31,54), cui si aggiungono quelle della Camera di commercio di Palermo e Enna (22,87 per cento), oltre alle briciole del Comune di Cinisi, di Sicindustria e altri. A novembre, a smuovere le acque, è anzitutto il report sui conti Gesap firmato da Vito Riggio, da sempre fra i più ostinati sostenitori dell’ingresso di soci privati negli scali. Il documento viene presentato nella sede della Camera di commercio il cui presidente Alessandro Albanese, che è anche il vicepresidente della Gesap che gestisce lo scalo di Punta Raisi, da anni spinge per vendere le azioni per dare una boccata d’ossigeno alle esauste casse dell’ente camerale. Lì nel 2015 era partito un tentativo di privatizzazione bloccato dall’arresto del predecessore di Albanese, Roberto Helg. Allora il prezzo, messo nero su bianco dall’advisor Kpmg, era di 110 milioni di euro e Gesap restò pubblica. Otto anni dopo, Riggio valuta il valore dello scalo fra un minimo di 340 milioni a un massimo di 510 milioni di euro. E butta lì una proposta: «Non dico di vendere tutto ai privati, come è accaduto a Roma con Adr, ma almeno cedere a loro il 49 per cento e la gestione consentirebbe di aumentare gli investimenti». Passano appena 24 ore e il consiglio camerale della Camera di commercio di Palermo e Enna decide all’unanimità la cessione del 22,87 delle quote di Gesap. Una mossa che riapre la partita nella quale fino a quel momento il freno era tirato da Fratelli d’Italia, che attraverso Varchi apre a una cessione «del 12 per cento ciascuno di Comune e Città metropolitana per arrivare al 49 per cento complessivo. In ogni caso, noi soci di Gesap ci siamo mossi insieme fino a oggi e continueremo a farlo». Chi acquista Palermo potrebbe poi guardare a Trapani, di cui la Regione sta cercando di arricchire la dote in vista delle nozze con Punta Raisi. Nel corredo il potenziamento e l’elettrificazione della ferrovia Palermo-Trapani via Milo con il collegamento diretto fra i due scali e la costruzione della stazione di Birgi aeroporto. I pretendenti, nel frattempo, sono tutti presenti a intrecciare conversazioni informali con i vertici degli aeroporti e gli interlocutori politici, anche quelli nazionali, da Matteo Salvini al viceministro con delega agli aeroporti, meloniano di ferro, Galeazzo Bignami. È il viceministro a portare avanti l’idea che a rilevare la Gesap possa essere l’Enav, la società quotata in Borsa che si occupa del traffico aereo e il cui ad è il presidente dell’Autorità portuale di Palermo, Pasqualino Monti. Ma i colossi del settore sono tutti lì, a cominciare dagli argentini di Corporacion America che vent’anni fa avevano già tentato lo sbarco a Palermo acquisendo la maggioranza di Airgest che gestisce Trapani Birgi. Un tentativo che si scontrò con il no alla privatizzazione dell’allora sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, e che li fece orientare, con i buoni auspici di Matteo Renzi, sugli aeroporti di Pisa e Firenze. Con loro gli eterni rivali di F2i Sgr, il fondo partecipato fra gli altri da Cassa depositi e prestiti che da anni fa shopping di partecipazioni negli scali italiani. Suo il 45 per cento di Sea (Milano Linate e Malpensa), l’83 della Gesac di Napoli, il 100 per cento della Sagat di Torino, il 79,8 dello scalo di Olbia e il 71,25 di Alghero, oltre all’ 85 per cento di Trieste e al 10 di Bologna. A bussare alla Gesap e alla Sac anche la Save di Venezia, partecipata da due fondi di investimento, uno di Deutsche Bank, e anche da Atlantia che possiede Adr (Roma Fiumicino e Ciampino). I veneti, che possiedono anche gli scali di Treviso, Verona e Brescia, hanno sempre accarezzato l’idea di sbarcare in Sicilia tanto che un piedino lo avevano messo nel piccolo scalo di Pantelleria per gestire i servizi a terra. Gli altri pretendenti storici sono i romani di Adr, che puntano ancor di più sulla Sac che gestisce lo scalo di Catania. Il nome nuovo è il gruppo Royal Schiphol che gestisce l’aeroporto di Amsterdam e molti altri, non solo in Olanda, e che tra i soci ha anche Adp, Aeroports de Paris, altro pretendente storico di Fontanarossa. C’è da scommettere che dopo le elezioni europee la politica tornerà a sfogliare più attentamente il miliardario dossier aeroporti siciliani. 


La Regione scende dal pullman 
Non va meglio guardando al trasporto pubblico urbano ed extraurbano. Il piano della Regione è chiaro e ormai alla luce del sole: l’obiettivo del governo Schifani è quello di privatizzare le tratte più redditizie di Ast, la partecipata del trasporto pubblico su gomma, per lasciare nelle mani dell’amministrazione regionale soltanto le tratte non convenienti per i privati, ma di pubblica utilità. Per farlo, si sta trasformando intanto la partecipata in una società 
in house providing, mentre il consiglio d’amministrazione ha già fatto partire le lettere ai Comuni preannunciando dal 1° gennaio la dismissione delle tratte urbane. La comunicazione della partecipata regionale che gestisce il trasporto su gomma è stata notificata a numerosi sindaci, tra cui quelli di Gela, Augusta, Caltagirone. Il servizio all’interno dei Comuni è in perdita — si legge nelle missive — dunque i sindaci dovranno attrezzarsi per conto proprio mettendo a bando le tratte che Ast lascia scoperte. Tra le motivazioni messe nero su bianco, la partecipata invita le amministrazioni a saldare le somme ancora insolute per l’erogazione del servizio. Insomma, i Comuni da una parte non pagano, l’Ast dall’altra non garantisce più il servizio, e a farne le spese rischiano di essere i pendolari siciliani che finora hanno confidato nel trasporto pubblico, con tutti i suoi limiti. 
In questo quadro, il futuro dei 525 dipendenti di Ast, insieme ai 176 lavoratori interinali, è ancora tutto da chiarire. Uno stato di crisi che colpisce soprattutto le reti interne e che è finito in un’interrogazione parlamentare a firma del dem Fabio Venezia. Ma per salvare la partecipata servirebbero, intanto, 20 milioni di euro che al momento non ci sono e che dalla Finanziaria in discussione all’Ars sono stati stralciati, con l’impegno di compensare la stessa somma nel “collegato” cui gli uffici del bilancio stanno lavorando. Nel frattempo, la fase di transizione tra la gestione pubblica e quella privata del servizio produce disservizi che si registrano pressoché su tutti i fronti, mentre la Regione non ha ancora messo a bando le gare. E se la scadenza di inizio gennaio è ormai prossima, molti sindaci non hanno ancora avviato i bandi per l’affidamento del servizio ai privati. «I Comuni si stanno organizzando — osserva il presidente dell’Anci Sicilia Paolo Amenta — ma ancora stiamo cercando di capire cosa la Regione voglia fare dell’Ast, perché non è chiaro. Il rischio è che, venendo meno il servizio pubblico, necessariamente i costi possano lievitare» . Dello stesso avviso il sindaco di Caltagirone, Fabio Roccuzzo: «Stiamo dialogando con la Regione per cercare una soluzione, intanto abbiamo chiesto ad Ast di dare continuità al servizio». Situazione analoga a Gela, dove l’avviso per i privati non è ancora stato avviato. Controcorrente, infine, Siracusa, dove il servizio è stato affidato a Sais. «Dopo le naturali difficoltà di primo avvio — racconta il sindaco Francesco Italia — oggi abbiamo un sistema di trasporti che sta raggiungendo gli obiettivi posti e che soddisfa gli utenti e permette una maggiore trasparenza dell’attività svolta grazie ai sistemi di controllo». 
Se il servizio di trasporto su gomma è già meno pubblico di ieri, anche la gestione delle reti idriche colabrodo nell’Isola galoppa verso la privatizzazione, mentre la politica regionale punta sostanzialmente al turnover della governance per piazzare i propri fedelissimi. Tutto questo mentre prosegue il percorso di privatizzazione dopo la vendita — la scorsa estate — del 75 per cento di quote di Siciliacque di proprietà dell’ex socio Veolia a Italgas e la Regione invia commissari nei Comuni che non scelgono il percorso di privatizzazione. Da Trapani a Messina, passando per Enna, Caltanissetta, Siracusa, le reti colabrodo rischiano di essere il nuovo terreno di scontro su cui il centrodestra è pronto alla prova muscolare. Il referendum sull’acqua pubblica del 2011 parla chiaro: l’acqua è un bene comune e va gestito da società pubbliche. Ma nell’Isola l’attuazione di quel referendum è tutt’altro che scontata e la linea del governo Schifani è indirizzata verso società miste tra pubblico e privato. È così a Messina, dove si sta consumando uno scontro ferocissimo tra la cordata di amministratori locali capitanata da Cateno De Luca che punta al consolidamento di Amam, la municipalizzata del capoluogo sullo Stretto che gestisce le reti idriche, e il gruppo di sindaci che fanno capo al leghista Pippo Laccoto e che sono a favore della privatizzazione del servizio attraverso la società Messinacque. Per il gruppo che fa capo a De Luca, l’operazione più solida poteva essere la stessa che ha portato Amap, la municipalizzata di Palermo, a gestire anche le reti idriche di buona parte dei Comuni della provincia. Così ecco che sono «più che fondate» , secondo il coordinamento provinciale del Pd di Messina, «le preoccupazioni che una privatizzazione mascherata della gestione possa comportare un incremento esponenziale delle tariffe». 
Perché a insistere sulla costituzione di società miste pubblico-privato è proprio l’amministrazione regionale. La dimostrazione è arrivata in piena estate, quando il Consiglio comunale di Milazzo ha bocciato la delibera che avrebbe consentito il passaggio della gestione del servizio dal pubblico a Messinacque. E così la Regione ha inviato un commissario a inizio settembre, che potesse dare seguito agli atti necessari per l’adesione del Comune alla nuova società mista e dare mandato al Comune di impegnare 51mila euro per la quota societaria. Ma anche laddove i Comuni scelgono la via del pubblico, il quadro generale non migliora. È così nell’Agrigentino, dove circa 30 Comuni hanno costituito l’ente gestore Aica, dopo il naufragio di Girgenti Acque, nel 2021. Ma dei 10 milioni iniziali che gli enti locali avrebbero dovuto versare complessivamente nella fase di start-up del nuovo ente, se ne registrano all’appello meno della metà, mentre a mancare ancora dalle casse di Aica sono oltre cinque milioni di euro. Sostanzialmente la stessa società nata come forma di riscatto dal processo di privatizzazione rischia di diventare l’ennesimo carrozzone pubblico. E mentre a Caltanissetta, proprio in questi giorni, è partita una nuova raccolta di firme, promossa dal Forum siciliano per l’acqua e i beni comuni, per chiedere il ripristino della gestione pubblica, non va bene neanche nella vicina Enna, dove i disservizi nella gestione delle reti sono moltissimi e il costo delle tariffe è tra i più alti dell’Isola. 


Il caso Palermo: non solo municipalizzate 
Nell’ottobre scorso, durante l’ennesima crisi della Rap innescata dall’inchiesta sull’assenteismo di un centinaio di dipendenti, il sindaco Roberto Lagalla ha lanciato la bomba sulla privatizzazione dell’azienda partecipata della nettezza urbana: «Come può essere competitiva un’azienda che costa 120 milioni e dal riciclo riesce a recuperare meno di 1,9 milioni? — aveva detto in Consiglio comunale — O c’è una inversione di tendenza oppure dovremmo ripensare la natura pubblica di Rap e di altre partecipate». In Italia l’unico riferimento di gestione privata dei rifiuti in una grande città è Amsa spa, la società del gruppo A2A cui è stato affidato il servizio a Milano. Ma l’ultimatum di Lagalla non ha avuto ancora seguito, anche se è stato al centro di polemiche con i sindacati, sul piede di guerra per il rinnovo degli accordi sugli straordinari e doppi turni su cui si reggono i fragili equilibri della raccolta. 
Eppure, di fatto, in tutte le aziende municipalizzate a corto di personale e con le assunzioni bloccate si stanno inserendo sempre più esternalizzazioni e affidamenti ai privati. Partendo proprio dalla Rap, ormai da due anni la raccolta di carta e vetro è stata affidata a ditte private. È stata la scelta di fine 2021 dell’azienda allora guidata da Girolamo Caruso, con due bandi da circa 1,3 milioni di euro. Ma la scelta più forte è stato il progetto di finanza per la costruzione di un impianto di biometano a Bellolampo da 30 milioni. A costruirlo sarà l’azienda Asja ambiente di Torino, che poi lo gestirà con una concessione quasi ventennale. 
L’ultimo caso aperto sulla privatizzazione di alcuni servizi riguarda invece Amg, che in queste settimane ha avuto un braccio di ferro con il Comune per il rinnovo del contratto di servizio per i prossimi sei anni. Alla base della divergenza che ha contrapposto i vertici dell’azienda e i sindacati da una parte e il Comune dall’altra c’è un nuovo patto con lo stesso corrispettivo di soldi e alcune mansioni in più. Nelle scorse settimane il sindaco Lagalla aveva paventato il ricorso “a forme di partenariato pubblico-privato”, con riferimento particolare al ramo in perdita dell’azienda, cioè l’illuminazione. Un’idea che si riferisce a un progetto ben preciso: una manifestazione di interesse per affidare a un privato il rinnovo e l’ampliamento dell’illuminazione pubblica. «Sia chiaro — dice il presidente di Amg, Francesco Scoma — si tratta di un progetto in cui Amg resta stazione appaltante e quindi è diverso dall’esternalizzazione. La città ha bisogno di rinnovare un sistema di illuminazione in alcuni casi vecchio più di 40 anni, dove su 45mila pali solo 11mila sono nuovi. Ammodernare tutto il sistema costerebbe qualcosa come 27 milioni di euro. A Milano ha avviato questo tipo di servizi A2A, a Roma c’è Acea che è quotata in Borsa» . Al netto di questo piano, negli ultimi mesi un’azienda privata che ha vinto un appalto del Comune si sta occupando della sostituzione di pali e torri faro in molti quartieri della città, con il progetto Agenda Urbana. 
Anche l’Amat da anni cerca di cedere ai privati servizi che ritiene in perdita: il car e il bike sharing, la segnaletica stradale e la rimozione delle auto. Dovrebbe essere questa una delle novità del piano industriale in fase di redazione. Mentre è già stato fatto per la pulizia delle strisce pedonali. Un altro esempio arriva dall’Amap, che la scorsa estate ha siglato con i privati un maxi-contratto da circa 35 milioni per gestire i servizi di conduzione, sorveglianza, controllo e lavori di manutenzione straordinaria degli impianti di depurazione di 32 comuni del Palermitano. Anche Sispi, la società che gestisce i servizi informatici del Comune, ricorre come stazione appaltante ai privati, cui ad esempio ha affidato lo sviluppo e la gestione dei sistemi informatici a supporto dell’edilizia privata o ancora le app di mobilità. «Ci sono casi in cui le esternalizzazioni sono più costose della gestione pubblica — dice il consigliere comunale di Progetto Palermo Massimo Giaconia — Per quanto riguarda i rinnovi dei contratti di servizio di Sispi e Amg, la sensazione è che questa amministrazione voglia imporre delle condizioni che la mettano in difficoltà, per indurre poi l’opinione pubblica a convincersi che la gestione privata sia la soluzione migliore». 


Verde, buche, sport: il Comune non fa da sé 
E se società partecipate in affanno esternalizzano quello che possono per provare a mantenere uno standard ancora lontano, però, da servizi all’altezza della quinta città d’Italia, sono tanti gli interventi delle manutenzioni ordinarie su cui l’amministrazione ha alzato bandiera bianca affidando a terzi il compito. Nel “tesoretto” da 19 milioni di euro ricavato qualche settimana fa dalle variazioni di bilancio ci sono tante voci che lo dimostrano. Dentro, infatti, ci sono 300mila euro per le potature degli alberi affidate a privati, visto che il personale del settore Ville e giardini è ridotto all’osso, ce ne sono altrettanti per la pulizia e la manutenzione delle vasche monumentali della città all’asciutto da anni, a cominciare dalla fontana Pretoria davanti a Palazzo delle Aquile e dalle vasche dei Quattro Canti. E poi 1,6 milioni per la manutenzione di strade e marciapiedi che a Palermo sono condannati a voragini e buche mai sanate. La cura del verde è trascurata da tempo perché mancano uomini e mezzi. Anche su questo fronte il sindaco ha voluto dare un segnale aprendo ai privati. «Per le potature non abbiamo potuto fare altrimenti — dice l’assessore comunale Pietro Alongi — Ci sono troppe emergenze in ogni zona della città e troppi arretrati». Anche la gestione di ville e giardini ha bisogno di un cambio di passo. Con l’affidamento della Città dei ragazzi a “Le vie dei tesori”, il Comune ha lanciato un modello che potrebbe essere riproposto. Ma non c’è soltanto il verde che il pubblico non riesce a curare, ci sono anche le manutenzioni di diversi impianti. Anche del vecchio forno crematorio del cimitero dei Rotoli affidato a una ditta esterna. Per non parlare delle consulenze. Sempre per i cimiteri, l’amministrazione ha scelto la multinazionale Pwc, con sede a Milano e in 156 Paesi, per supportare l’ufficio del commissario e dei responsabili del procedimento per gli interventi infrastrutturali relativi a Rotoli, Santa Maria di Gesù e Cappuccini. Supporto tecnico e gestionale, legale, giuridico, amministrativo e contabile. 
L’altro versante dell’apertura ai privati della gestione della cosa pubblica riguarda la gestione degli impianti sportivi. Già nella parte finale dell’amministrazione Orlando l’allora assessore allo Sport Paolo Petralia con una direttiva aveva aperto all’affidamento ai privati dei maggiori impianti sportivi della città. Adesso la giunta di centrodestra ha deciso di esternalizzare lo Stadio delle Palme, la palestra di Borgo Nuovo, le piste di pattinaggio del Giardino Inglese e di via Mulè, la palestra di Borgo Ulivia, quella Renda e quella di Bonagia. Il primo passo, per cui è pronta la convenzione, è l’affidamento alla Fiap — Federazione dell’atletica pesante — della palestra di Borgo Nuovo. Anche sul Velodromo il Comune ragiona sull’affidamento alle federazioni. «L’idea è quella di coinvolgere società e federazioni, che possono creare centri federali — dice l’assessore allo Sport Alessandro Anello — L’affidatario si occuperà della manutenzione ordinaria e piccoli interventi, il Comune degli interventi straordinari, con la logica della compensazione sul canone qualora intervenissero i privati». 
La Repubblica Palermo, 27/12/2023

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