domenica, dicembre 17, 2023

IL PERSONAGGIO. Un corbezzolo per Emanuela prima donna vittima di mafia


di Umberto Santino

Il 27 dicembre 1896 la diciottenne venne assassinata nel negozio di famiglia. Il ricordo del presidente del Centro Impastato. Attraverso un buco nel muro due fucilate colsero di sorpresa madre e figlia, uccidendo la giovane. La mamma, Giuseppa Di Sano, riuscì a ottenere giustizia ma fu isolata dalla società 


Nel Giardino della memoria di Casa Felicia, nei pressi di Cinisi, un caseggiato confiscato al capomafia Badalamenti e diventato spazio di incontro e di iniziative antimafia, è stato piantumato un albero, un corbezzolo. È dedicato a Emanuela Sansone, «diciottenne, uccisa dalla mafia a Palermo il 27 dicembre del 1896, e alla madre, Giuseppa Di Sano, ferita gravemente, che denunciò gli assassini e ottenne giustizia». È una delle iniziative promosse dal Centro Impastato — No mafia Memorial, dalla Biblioteca delle donne — Udi Palermo, dal Museo sociale di Danisinni, con l’adesione del Comitato Addiopizzo, di AddiopizzoTravel, di Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato e dell’Associazione culturale Peppino Impastato, per riportare alla luce un evento che Palermo ha dimenticato, pur essendone lo scenario. 



Altre città hanno dedicato a Emanuela strade, giardini, giornate della memoria, e la pubblicazione, nel 2017, del libro “La mafia dimenticata”, in cui pubblicavo le relazioni del questore Sangiorgi con gli allegati (Salvatore Lupo aveva già pubblicato le relazioni) avrà avuto un ruolo nelfar conoscere lei e la madre, ma nella loro città non c’è un segno che le ricordi. Eppure si tratta di un delitto di mafia, con un mafioso processato e condannato, e la madre è a pieno titolo una pioniera della ribellione alla mafia, e ne ha pagato un altissimo costo. 
Il duplice delitto, un omicidio e un mancato omicidio, viene ricostruito da Sangiorgi nella seconda relazione, del 20 novembre 1898, che comincia facendo riferimento alla prima relazione, in data 8 novembre dello stesso anno, con un incipit che si può definire il compendio delle sue inchieste e delle sue analisi. Ne riporto qualche passo: «L’agro palermitano è purtroppo funestato da una vasta associazione di malfattori, organizzata in sezioni, divisa in gruppi: ogni gruppo è regolato da un capo e, secondo il numero dei componenti e la estensione territoriale su cui debba svolgersi la propria azione, a questo capo viene aggiunto un sottocapo. E a questa compagine di malviventi è preposto un capo supremo». Vengono individuati otto gruppi: Piana del Colli, Acquasanta, Falde, Malaspina, Uditore, Passo di Rigano, Perpignano, Olivuzza, in parte coincidenti con gli otto mandamenti attuali. 
Il questore Sangiorgi ricostruisce una serie di delitti che hanno aspetti comuni, mostrano che hanno alle spalle una strategia e una prassi ricorrente. Gli autori non sono delinquenti fai-da-te, ma membri di un «tenebroso sodalizio». E nel processo celebrato nel 1901, sulla base delle sue inchieste, in cui gli imputati da qualche centinaio si sono ridotti a 51, per 32 di essi viene riconosciuta l’appartenenza all’associazione di malfattori. 
Ma torniamo a Emanuela e alla madre: la relazione parla dettagliatamente del delitto e un allegato riporta il verbale della deposizione di Giuseppa. Si presenta come esercente di un negozio di merci e di vino al minuto, che fornisce commestibile e vinoanche alle guardie di finanza e ai carabinieri, e racconta dei mafiosi della zona (apparterrebbero al gruppo Falde) che tra le altre cose fabbricavano e usavano monete false. Lei l’ha capito e non le accetta in pagamento delle merci. La polizia viene a saperlo e sequestra macchinari, attrezzi e monete già coniate. I mafiosi sospettano che lei abbia fatto la spia. Comincia l’accerchiamento e l’isolamento di Giuseppa, con allusioni esplicite al suo presunto spionaggio, e i mafiosi preparano il delitto. Aprono un buconel muro di fronte al negozio; la ragazza Emanuela lo nota, prima non c’era. E la sera del 27 dicembre, due giorni dopo Natale, attraverso il buco partono due fucilate. La prima colpisce Giuseppa, la seconda uccide Emanuela che è accorsa sull’uscio sentendo il primo sparo. Per i mafiosi la storia finirebbe qui. Giuseppa è in ospedale per le ferite riportate ma, contrariamente a quello che ci si aspettava, denuncia quelli che crede gli esecutori del delitto. Dimessa dall’ospedale, viene insultata, minacciata, subisce un secondo attentato, ma non demorde. 
Riesce ad ottenere la condanna di uno degli esecutori; giustizia in qualche modo è stata fatta, ma le conclusioni che ne trae Giuseppa sono amarissime: «E quasi che io fossi la colpevole, mi sono veduta da allora mal vista e sfuggita da tutti, tanto che sono assai pochi coloro che vengono a fare acquisti nel mio negozio, restringendosi il loro numero agli onesti, che non sentono le influenze della mafia; sicché al danno sofferto, in conseguenza del disastro che mi colpì, e per cui dovetti sostenere ingenti spese, ed alla piaga insanabile che mi produsse nel cuore la disgraziata mortedella diciottenne mia figliuola, si aggiunse ora il danno economico prodotto dalle persecuzioni della mafia, che non mi perdona una colpa che io mai commisi». La stessa sorte toccherà quasi cent’anni dopo a Michela Buscemi, Pietra Lo Verso e Vita Rugnetta, isolate dopo aver denunciato i presunti responsabili degli omicidi dei loro congiunti. 
La campagna in programma per il recupero della memoria non vuole limitarsi a una targa sul luogo del delitto, vorremmo realizzare qualcosa di diverso e più visibile: un’opera temporanea e un’opera di arte pubblica attraverso un bando per coinvolgere artisti, docenti e studenti dell’Accademia e del Liceo artistico. E una pubblicazione che riporti la relazione del questore e il verbale della deposizione, con le riflessioni di Anna Puglisi e di Daniela Dioguardi sull’antimafia al femminile, e i servizi di Mario Genco su un’altra vittima dimenticata. È il giurista Pietro Sampolo, che ha dato nome alla strada (ma negli atti ufficiali la via si chiamerebbe S. Polo). Il giurista e avvocato è stato ucciso il 17 maggio del 1861, per cause non accertate. Era un personaggio con una notevole influenza nel quartiere e in città. E i mafiosi non avrebbero tollerato questa presenza. I mafiosi sono dei sovranisti che non vogliono concorrenti: il territorio è Cosa nostra. 

La Repubblica Palermo, 15/12/2023

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