venerdì, dicembre 22, 2023

IL LIBRO DI ATTILIO BOLZONI. Reporter di frontiera da Kabul a Palermo

DI LUCIO LUCA

Cinquant’anni di storia di un giornalista in prima linea sono inevitabil-mente cinquant’anni di storia di un Paese. E non solo, se nel corso della tua lunga carriera ti è capitato anche di raccontare guerre e massacri in Afghanistan, in Iraq, in Messico solo per fare qualche esempio. Raccogliere mezzo secolo di articoli e reportage da ogni parte del mondo è dunque un’occasione per passeggiare nel tempo riscoprendo storie che avevamo dimenticato e capendo, con il senno di poi, quello che stava per accadere. 

Perché la cifra giornalistica di Attilio Bolzoni, giornalista siciliano de L’Ora e 
Repubblica prima e del Domani adesso, è proprio questa: aver intuito prima di tutti gli altri – e raccontato con una scrittura di altissimo livello – alcuni passaggi fondamentali della storia degli ultimi decenni che possiamo finalmente rileggere in “Controvento, racconti di frontiera”, appena uscito per Zolfo Editore. 


«Non ho avuto grandi difficoltà a individuare i reportage o le interviste da scegliere, direi che si sono scelti da soli, con naturalezza» spiega Bolzoni nell’introduzione del libro. «Anno dopo anno, argomento per argomento, di luogo in luogo. È la strada che ho fatto, controvento in più di un’occasione». 
E dunque c’è anzitutto Palermo, dove da giovanissimo il giornalista ha vissuto la stagione più spaventosa. E poi lo Stretto con i suoi miti e i suoi miraggi, il Sud «che ho esplorato nelle incoerenze e negli incarognimenti», la Puglia, la Calabria – Bolzoni è stato uno dei primi a capire che la ‘ndrangheta stava diventando l’organizzazione criminale più potente al mondo sostituendosi a Cosa nostra – una terra attraversata da quello che il giornalista chiama «il corpo del reato più lungo del mondo», i 443 chilometri dell’autostrada Salerno-Reggio. 
Pur non essendo mai stato un esperto di Esteri, Controvento ospita una serie di vicende incredibili raccolte da Bolzoni tra Kabul e Baghdad dopo lo spartiacque delle Torri gemelle, e poi in Marocco, Tunisia e nei Balcani martoriati dalla guerra. Anche in questi casi con l’obiettivo di decifrare ciò che sta nascosto tra le parole, spesso scontate, delle fonti: «Dietro alla cattura di ogni grande latitante – non importa se si chiami Totò Riina o Pablo Escobar, se l’operazione di polizia o militare avvenga a Corleone o nel deserto di Tikrit – c’è sempre qualcosa di indicibile, un mistero che deve restare tale» spiega Bolzoni. 
E poi il cimitero-Mediterraneo e gli scafisti che spolpano i migranti e poi, troppo spesso, li lasciano morire in mare. La dolce vita dei contrabbandieri latitanti in Montenegro, gli zingari amici di Vito Ciancimino che difendono alla periferia di Bucarest la pattumiera più grande d’Europa, la coraggiosa denuncia dei reporteros messicani sulle rive del Rio Bravo o Rio Grande. E due interviste che, per ragioni facilmente intuibili, sono quelle a cui Attilio tiene di più: la prima a Paolo Borsellino, quando era procuratore capo a Marsala, datata luglio 1988, che diede vita con le sue denunce a uno dei tanti “casi Palermo” all’interno del tribunale più infido d’Italia. L’altra a Giovanni Falcone nel suo ultimo giorno siciliano, inverno 1991, prima di trasferirsi al ministero della Giustizia come direttore generale degli Affari Penali. E infine le collaborazioni con miti del giornalismo come Peppe D’Avanzo e Francesco Viviano, firme storiche di Repubblica che con Bolzoni hanno condiviso passioni e talento. 
L’ultima annotazione per la splendida copertina. Una foto di Tony Gentile, un cane sperduto nelle campagne di Gibellina in una strada che sembra uscire dal Cretto di Burri. È ispirata dalla rubrica di Diego Enrique Osorno, un cronista messicano diventato amico di Bolzoni: «Gli ho chiesto perché l’avesse intitolata Los perros románticos, i cani romantici. Mi ha detto che i giornalisti non dovrebbero mai mollare la presa, proprio come certi cani. Ma, mi ha assicurato che denti e mascelle non bastano. Perché ci vuole anche il cuore». Ecco, i giornalisti devono essere cani romantici. Bolzoni, nei suoi cinquant’anni di carriera, lo è stato sicuramente.

La Repubblica, 21/12/2023

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