mercoledì, novembre 29, 2023

Totò pigliatutto, ascesa e segreti


Salvatore Cuffaro, dopo aver pagato il debito con la giustizia (ammettendo ma non spiegando i propri reati), è tornato il dominus della politica siciliana

di Gioacchino Amato, Miriam Di Peri, Salvo Palazzolo e Giusi Spica 


«Basta così», disse Salvatore Cuffaro appena uscito dal carcere ai giornalisti che gli chiedevano di un suo ritorno in politica. «Basta così. La politica è stata la mia vita per tanto tempo, adesso proseguirò in altro modo. Con l’impegno in favore dei detenuti. In questi anni ho capito quanto sia importante non sentirsi abbandonati e dimenticati». Era il 13 dicembre 2015, appena otto anni fa, eppure sembra davvero un’altra epoca: oggi, Salvatore Cuffaro detto Totò, l’ex governatore della Sicilia che ha scontato una condanna a sette anni per favoreggiamento aggravato alla mafia e rivelazione di notizie riservate, è tornato ad essere uno dei ras della politica siciliana con la sua Democrazia cristiana, in un’ascesa che sembra inarrestabile. 



L’uomo che diceva di volersi occupare solo di volontariato per gli ultimi della società, oggi fa paura sia a destra che a sinistra, la sua campagna acquisti tra sindaci e amministratori locali non ha risparmiato pressoché nessuna forza politica. E persino qualcuno dei suoi alleati ha ammesso a denti stretti di avere sottovalutato la capacità politica e strategica dell’ex governatore condannato e riabilitato. 
Un’ammissione che ha portato pure a reazioni feroci per correre ai ripari: hanno provato a tagliarlo fuori dalle elezioni europee del giugno 2024 e ad imporre l’election day per le Provinciali, che di certo penalizzerebbe chi sarà fuori dall’agone politico nazionale sul rinnovo del Parlamento di Bruxelles. Di più: a tagliarlo fuori è proprio la Forza Italia orfana di Silvio Berlusconi, dilaniata dallo scontro interno. Perché, da una parte, ad aprire le porte delle liste forziste alla Dc è stato proprio Schifani, dall’altra ilniet è arrivato dal segretario nazionale Antonio Tajani, con un segnale inequivocabile: al suo arrivo alla convention di Taormina che ha segnato il tramonto dell’apparentamento con Cuffaro, Tajani è accompagnato dall’eurodeputata uscente Caterina Chinnici, figlia del giudice antimafia ucciso nel 1983, eletta a Bruxelles nelle liste del Pd e successivamente passata al Ppe. Nel suo intervento Tajani cita anche un’altra esponente del partito, Rita Dalla Chiesa, figlia del generale ucciso dai boss nel 1982. Il nuovo corso di Forza Italia, è il non detto fin troppo esplicito, passa da quelle figure iconiche, che non possono convivere nelle stesse liste con un condannato per favoreggiamento alla mafia. 
Ma neanche questa volta Totò Cuffaro fa un passo indietro e annuncia che la sua Democrazia cristiana correrà comunque con la lista Liberi e Forti. Cuffaro in corsa più che mai, Cuffaro che non smette di sorridere, Cuffaro inarrestabile. Ma cosa c’è dietro il suo nuovo (vecchio) potere? Davvero il passato di un tempo è ormai alle spalle? Nel metodo di far politica e di intrecciare relazioni. E, poi, c’è il capitolo dei segreti che non ha mai svelato al processo. Quando contano ancora nel potere di Cuffaro? 
“La mafia fa schifo” 
Il 17 febbraio scorso, il tribunale di sorveglianza di Palermo lo ha riabilitato del tutto, Salvatore Cuffaro potrà anche ricandidarsi. Dopo il primo provvedimento, di qualche tempo prima, i giudici hanno dichiarato estinta pure la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Il collegio, presieduto da Luisa Leone, ha accolto a piene mani la tesi della difesa che sosteneva la « non applicabilità della legge Spazzacorrotti perché ritenuta norma più sfavorevole non ancora vigente al momento della sentenza e dei fatti di reato contestati». Il tribunale di sorveglianza ha ribadito che Cuffaro ha risarcito chi doveva, si è impegnato in opere di volontariato, ha preso soprattutto «le distanze dal fenomeno mafioso, dichiarando “la mafia è una cosa che fa schifo”». 

Eppure, l’ex governatore continua a mantenere un segreto grande, quel segreto di cui parlavano i giudici della terza sezione del tribunale (presidente Vittorio Alcamo) che il 18 gennaio 2008 condannarono l’ex presidente della Regione: « Altre talpe sono rimaste ignote per la complice omertà di Cuffaro». Una in particolare: « In contatto con Roma o che operava direttamente nella capitale ». È una storia che emerge dalle intercettazioni dei carabinieri. 
«Lui è stato tutto il fine settimana a Roma e ha attinto queste notizie lì», sussurrava al telefono Michele Aiello, il re Mida della sanità privata siciliana, il prestanome del boss Bernardo Provenzano, all’amico Aldo Carcione. Le notizie sulla delicatissima indagine che i magistrati di Palermo stavano conducendo sulle talpe nell’antimafia. Qualche giorno dopo, Cuffaro corse ad incontrare Aiello, nel retrobottega di un negozio di abbigliamento di Bagheria, dove andò senza scorta. La sera Aiello parlava ancora con Carcione, facendo cenno a un «diretto collegamento con Roma». 
Chi è la talpa romana di Cuffaro? Disse l’allora procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone nel corso della requisitoria: «Non è stato possibile ricostruire l’intera catena degli autori delle rivelazioni e non è stato possibile accertare chi fosse la fonte che ha rivelato a Salvatore Cuffaro l’esistenza dell’attività d’indagine e di intercettazione a carico dei marescialli Giuseppe Ciuro e Giorgio Riolo, e chi era quella persona, “in diretto collegamento con Roma” — testuale dell’intercettazione — con cui Cuffaro aveva commentato l’andamento delle indagini». Il pool di magistrati, di cui faceva parte anche l’attuale procuratore di Palermo, Maurizio de Lucia, sospettava di alcuni nomi all’interno del centrodestra. 
Cuffaro, dal canto suo, ha sempre negato di avere mai avuto una talpa romana. E dopo il provvedimento di riabilitazione l’avvocato di Cuffaro, Marcello Montalbano, ha ribadito: « Questo argomento della presunta talpa romana non è stato proprio introdotto dalla procura generale nel giudizio per la riabilitazione » . Ma resta comunque un tema centrale nella sentenza di condanna ormai passata in giudicato. Dopo il tribunale, anche i giudici della corte d’appello scrissero: « Ulteriore riscontro a detta ricostruzione proveniva dalle dichiarazioni rese da Michele Aiello nel corso dell’esame dibattimentale quando confermava che nell’incontro del 31 ottobre 2003 Salvatore Cuffaro gli aveva confermato che c’erano delle indagini in corso nei confronti di Riolo e Ciuro, notizia che aveva ricevuto da Roma». 
Eccolo il segreto più grande di Cuffaro, che si porta dietro una suggestione inquietante: forse, custodire quel nome importante — probabilmente il nome di un politico di rilievo — consente all’ex governatore condannato e riabilitato di essere ancora un potente all’interno del centrodestra? Per questo è determinante tornare a ripercorrere i passi di Salvatore Cuffaro dal giorno in cui è tornato in libertà. « Ho consapevolezza degli errori che ho commesso», ripete spesso Cuffaro riferendosi ai suoi guai giudiziari. Ma non ha mai voluto spiegare fino in fondo quali sono stati questi errori. 
vasa vasa immortalato sorridente davanti a un vassoio di cannoli il giorno dopo la sentenza. Ai giornalisti accalcati per raccontare quella che allora sembra la parabola discendente dell’ex uomo più potente di Sicilia, dice innanzitutto di voler andare a salutare sua madre. Parla della luce differente che si avverte lontano dalle sbarre, dell’aria da respirare a pieni polmoni, del valore della libertà («per comprenderlo, bisogna pagare un prezzo alto »). Redento? Dice: «Ho pagato i miei errori, a differenza di altri». 
Della vita dietro le sbarre racconta gli studi e l’impegno nella scrittura: il primo libro scritto durante la detenzione, “Il candore delle cornacchie”, va in stampa mentre lui è ancora in cella. Ne seguiranno altri tre, ma per le presentazioni bisognerà attendere il fine pena. È il gennaio 2016, esattamente un mese dopo il termine della detenzione, quando Cuffaro presenta il suo “ L’uomo è un mendicante che crede di essere un re”, nella libreria romana di fronte alla Camera dei deputati. Ad assistere all’incontro ci sono Marco Follini, l’ex ministro Mario Mauro e Renato Schifani, che sei anni dopo grazie anche al sostegno della rinata Dc di Cuffaro verrà eletto presidente della Regione. 
Il peso politico dell’ex governatore è ancora lì, lui dice di non voler avere più niente a che fare con la politica, promuove iniziative di volontariato in Burundi, si spende per i diritti dei detenuti e con questo spirito si iscrive al Partito radicale transnazionale. Le carte saranno svelate soltanto a fine ottobre 2020, quando quasi in sordina lancia sui social la pagina Democrazia Cristiana di Sicilia. La prima prova elettorale arriverà l’anno successivo, con le amministrative del 2021, quando spopolerà a Favara eleggendo tre consiglieri comunali che ottengono l’11,5 per cento dei consensi tra gli elettori. Ma è anche l’occasione per mostrare il suo potenziale oltre i confini dell’Agrigentino, a Giarre e Caltagirone (Catania) dove piazza una bandierina in ciascun Consiglio comunale. 
Per l’exploit bisognerà attendere le Regionali 2022, quando con oltre 6,5 punti percentuali elegge cinque deputati al parlamento regionale e conquista due posti nella giunta guidata da Renato Schifani. Da allora, il primo anno di legislatura è segnato dall’agguerritissima campagna acquisti della Dc. A Naro incassa l’ok dell’ex candidato sindaco dei 5 Stelle Stefano Barbieri, ma anche dell’ex consigliere comunale Giuseppe Cibella. E così anche a Montallegro, dove apre le porte alla consigliera comunale Simona Garufo, che aveva sostenuto il candidato sindaco meloniano Giovanni Cirillo. 
E c’è anche il vicepresidente del consiglio comunale di Favara Ignazio Sorce, che era stato eletto in una lista civica vicina a Forza Italia. Senza contare l’operazione che ha spalancato le porte del partito all’ex leghista Carmelo Pullara, già commissario del Civico di Palermo per quattro anni, nonché il più votato nell’Agrigentino alle ultime Regionali sebbene in una lista — quella della Lega — che non ha superato lo sbarramento, lasciando il ras dei voti fuori dall’Assemblearegionale. E ancora l’adesione di Salvatore Di Maggio, consigliere comunale di Palermo primo dei non eletti nella lista della Lega alle ultime amministrative e subentrato alla ex consigliera Marianna Caronia appena qualche mese fa, che a fine luglio ha ufficializzato il passaggio nel gruppo dello Scudocrociato guidato da Domenico Bonanno. A Palma di Montechiaro gli inquilini del Consiglio comunale ad essere stati folgorati sulla via di Cuffaro sono tre: Salvatore Acri, Calogero Castronovo e Tiziana Salamone. Ma a fare clamore all’ombra dei Templi è anche l’ingresso di Angela Galvano, già presidente provinciale dell’Arci e oggi vicecommissaria della Dc di Agrigento. Porte aperte anche alla sindaca di Realmonte Sabrina Lattuca, insieme ai consiglieri comunali Assuntina Infurna e Roberto Iacono. En plein, invece, a Lucca Sicula, dove dei dieci componenti del consiglio comunale, in quattro insieme a una componente della giunta sono passati alla Dc: Rosaria Mulè Cascio, Francesco Giannetto, Orietta Silvio, Mario Cortese e l’assessora comunale Mariella Pagano. Due i consiglieri di Agrigento che hanno ufficializzato il passaggio a distanza di poche settimane: Pasquale Spataro e Alessia Bongiovì, ai quali si è aggiunta poco dopo l’ex meloniana Roberta Zicari. 
Un paio anche gli inquilini del palazzo comunale di Camastra, dove le porte del partito democristiano in espansione si sono aperte per Biagio Allegro e Salvatore Collì; mentre sono in tre ad avere abbandonato altri lidi per approdare alla Dc a Santa Margherita Belice: si tratta di Antonio Guirreri, Giusi Bavetta e Giacomo Abruzzo. Cuffaro apre le porte anche a un consigliere comunale di Alessandria della Rocca (Pasquale Aliotta) e uno di Licata (Francesco Moscato). Una lista non esaustiva alla quale si aggiungono in ordine cronologico gli ultimi acquisti: l’ex deputata nazionale del Movimento 5Stelle (poi passata con il gruppo di Luigi Di Maio) Caterina Livatini, all’inizio della scorsa settimana, e Matilde Prinzi, vicesindaca di Campofelice di Roccella, in provincia di Palermo, insieme a un consigliere dello stesso Comune, Giovanni Venturella. In una febbre da “ black friday” politico che non abbandona i democristiani di Sicilia. E contribuisce a rendere i nervi delle altre forze politiche di maggioranza ogni giorno più tesi. 
Non solo politica, gli investimenti nel vino 
Nella nuova vita di Cuffaro riabilitato non c’è solo la politica. A metà aprile del 2018, ha esordito nella veste di imprenditore agricolo in una vetrina d’eccezione: fra le 200 cantine siciliane in mostra al Vinitaly di Verona c’era anche la “ Tenuta Cuffaro — Casale Santa Ida”. « Nella mia nuova vita di agricoltore coltivo la terra e il mio sorriso, coltivo un amore unico, quello per la meravigliosa terra di Sicilia » , dichiarò annunciando in quei giorni. Diverse le tipologie di vino, un enologo di fama come Donato Lanati e la moglie Giacoma Chiarelli ad affiancarlo nell’avventura. Ma questa è una storia che inizia molto prima, come lo stesso Cuffaro racconta ai vari giornalisti specializzati che lo intervistano nello stand di Verona Fiera e che nei mesi successivi gli dedicano numerosi servizi nelle principali testate del settore. La tenuta di circa 100 ettari in contrada Consorto a San Michele di Ganzeria in provincia di Catania, è una distesa di fichidindia semi abbandonata dove sorge anche un baglio risalente al 1860 e che dominava all’epoca le case dei fattori che curavano i campi. Alla fine degli anni ’90 era stata lasciata al suo destino ma nel 1999 la rileva Salvatore Cuffaro che in quel momento, con in tasca la tessera dell’Udeur di Clemente Mastella, era l’assessore all’Agricoltura dei due governi di centrosinistra guidati da Angelo Capodicasa, prima nel Partito Comunista, fino al 1996 segretario regionale del Pds, i democratici di sinistra. 
Dopo l’acquisto accade poco, la tenuta produce soprattutto fichidindia e il lavoro per trasformarla si annuncia lungo, come lo stesso Cuffaro ricorda. Dei terreni se ne occupa la moglie: nel 2002 fonda l’azienda agricola Giacoma Chiarelli, che inizia ad operare nella tenuta. Ancora oggi attiva con 8 dipendenti assunti, l’azienda è specializzata da subito nella coltivazione di uva, ma anche in coltivazione e trasformazione di frutta tropicale e subtropicale, coltura di spezie e prima lavorazione e conservazione di prodotti agricoli, successivamente si aggiunge la ristorazione e nel 2017 la certificazione per produzioni biologiche. Con investimenti consistenti viene ristrutturato il baglio, sempre a cura della signora Chiarelli, che lo trasforma in resort. 
Proprio sui fondi utilizzati per far crescere l’azienda non mancano le polemiche politiche alle quali risponde a muso duro lo stesso Cuffaro in una dichiarazione dettata all’agenzia di stampa Italpress, l’11 gennaio del 2011. «Mia moglie è proprietaria di un’azienda agricola ben prima che io divenissi presidente della Regione Siciliana. Per tutto il tempo nel quale sono stato deputato regionale, assessore regionale e infine presidente, benché perfettamente legale, l’azienda agricola Giacoma Chiarelli non ha ritenuto opportuno partecipare ad alcun bando pubblico per ottenere finanziamenti dalla Regione. Solo nell’agosto del 2010, dopo tre anni che il sottoscritto non ha alcuno contatto con l’amministrazione anzi è osteggiato apertamente dal suo governo l’azienda ha partecipato a un bando che prevede un contributo con fondi europei del 40% sulle spese di investimento per la costruzione di una cantina vinicola a esclusivo uso aziendale» . Dieci giorni dopo Cuffaro entra nel carcere di Rebibbia per scontare la sua condanna, uscirà nel dicembre del 2015 e a quel punto l’agricoltura, racconterà al Vinitaly, «serve anche per assicurarmi un sostegno economico». 
L’anno successivo alla sua scarcerazione, nella gestione dei 100 ettari per i quali arriva il nome di Tenuta Cuffaro Casale Santa Ida (il nome della madre e della figlia) si aggiunge a settembre del 2016 la società “ Santa Ida” che appartiene, per il 50 per cento ciascuno, ai figli Raffaele e Ida. L’impresa si occupa di promozione e tutela delle zone rurali ma anche di comunicazione. È, in pratica, la società di servizi per una tenuta che ha cambiato negli anni volto in modo radicale. 
I 100 ettari di terreno ne ospitano 24 di vigneti dai quali si producono circa centomila bottiglie di vino l’anno, sette di uliveti, trecento piante di finger lime e una distesa di piante aromatiche: origano, rosmarino, timo, basilico e ancora i capperi, le mandorle e i pistacchi, lo zafferano e naturalmente quaranta ettari di fichidindia Etna Dop che vengono esportati in Italia e in numerosi Paesi europei. C’è anche il resort con dodici camere, piscina e spa dove i turisti possono provare la wine therapy. I vini Cuffaro spaziano da Chardonnay a Grillo, Merlot, Nero d’Avola, Petit Verdot, Traimer e Viognier. C’è anche il vitigno spagnolo “Tempranillo”, «mi fu regalato da una famiglia spagnola che aveva prodotto vino in Sicilia nell’Ottocento — racconta Cuffaro alla rivista Club del Vino — mi ha regalato 10mila piante di quest’uva che proviene proprio dalla Sicilia » . Dalla tenuta escono anche le bottiglie dell’olio Consorto extra vergine d’oliva biologico nato da olive Nocellara dell’Etna e Tonda Iblea e commercializzate soltanto nel circuito della ristorazione. 
Non manca una fattoria didattica aperta alle visite delle scuole dove la regina è la capra Girgentana insieme agli asinelli di Gerusalemme che non sono originari dell’Isola come invece i cani di mannara, i cani da pastore autoctoni della Sicilia e ormai rari. Nel baglio c’è anche una cappella: «La prima cosa che ho costruito quando comprai questo luogo — spiega Cuffaro — . Perché prima bisogna costruire la casa del Signore che è la casa di tutti e poi la nostra. Mi gratifica moltissimo sapere che posso prendere l’Eucarestia nella mia chiesetta con quelle persone che vengono qui a trovarmi e con i ragazzi delle scuole in visita». 
Un piccolo paradiso che è anche un’impresa ormai diversificata e ben avviata che ha superato il nuovo scoglio giudiziario dell’interdittiva antimafia emessa nel 2021 dal prefetto di Catania. Un provvedimento che aveva portato l’Agea, l’agenzia per le erogazioni in agricoltura, a revocare i contributi per le coltivazioni biologiche e intimare all’azienda di Giacoma Chiarelli la restituzione delle somme. 
Nel febbraio di quest’anno il Tar di Catania ha, però, accolto il ricorso degli avvocati dell’azienda che chiedevano l’annullamento dell’interdittiva e della nota all’Autorità nazionale anticorruzione. I contributi e le sovvenzioni dovranno essere tutti erogati all’azienda della famiglia Cuffaro Chiarelli. 
Allora come oggi, però, è soprattutto uno l’ambito la chiave del suo potere di sempre: la sanità. È stato il suo trampolino di lancio verso la presidenza della Regione, nel 2001. La garanzia per mantenere potere e consensi per la rielezione nel 2006. Ma anche il motivo della “caduta” che gli ha spalancato le porte di Rebibbia nel 2010. La sanità è un “ vizio” al quale l’ex governatore Cuffaro non riesce proprio a rinunciare. 
Tornato in politica dopo la riabilitazione, è proprio dalla sanità che è ripartito per rimettere in moto la macchina elettorale, forte delle relazioni costruite negli anni d’oro della sua ascesa politica. 
Erano gli anni della “ mafia è bianca”, dell’abbraccio fatale tra Cosa nostra e sanità. Per il giovane studente di Medicina di Raffadali, “Totò pizzetta” — come lo chiamavano i suoi amici per quella sua passione per il cibo — l’università fu palestra politica: nel 1978 si candidò per il rinnovo degli organismi universitari. «Fu un successo clamoroso», raccontò ricordando i primi passi nel movimento giovanile della Dc. A lanciarlo nell’arena politica che contava fu Calogero Mannino, il potente ministro democristiano. 
Nel 1990 Cuffaro entra a Palazzo delle Aquile con 20mila preferenze: un autentico ciclone alle spalle dell’allora sindaco Dc, Leoluca Orlando. L’anno dopo eccolo all’Assemblea regionale siciliana, con 80 mila consensi. Nel 96 si tornò a votare e Cuffaro, sull’onda dei suoi 16mila votati incassati nelle liste del Cdu, andò a guidare l’assessorato all’Agricoltura, restando in sella anche dopo il ribaltone che portò per la prima volta alla guida della Regione un esponente del Pci, Angelo Capodicasa. Rimase al governo anche negli anni della presidenza di Vincenzo Leanza. Nel 2002 ecco la candidatura alla presidenza della Regione contro Leoluca Orlando. L’uomo venuto da Raffadali diventò il primo presidente regionale eletto direttamente dal popolo, un successo bissato nel 2006 contro Rita Borsellino. 
Un’ascesa inarrestabile che si intreccia però con i guai giudiziari, in cui affiorano i suoi rapporti con l’imprenditore mafioso della sanità Michele Aiello. Villa Santa Teresa, l’ex hotel Zabara trasformato in una lussuosa clinica a indirizzo oncologico, in quegli anni fa incetta di fondi da parte della Regione, dalla quale ottiene il convenzionamento. 
Scriveva in “Amici come prima” nel 2003 l’allora presidente della commissione parlamentare Antimafia, Francesco Forgione: «In Sicilia si sono registrati 1.502 rapporti convenzionati contro i 52 della Toscana e i 60 dell’Emilia Romagna, per citare due regioni rosse, o i 30 del Veneto, per avere come riferimento una regione bianca». A fare la parte del leone fu la clinica bagherese, al centrodi relazioni tra Aiello e Cuffaro anche per concordare il tariffario delle prestazioni sanitarie. 
«In un solo giorno, l’8 ottobre del 2002 — scriveva Forgione — la clinica riceve oltre 15 miliardi di vecchie lire in liquidazione di delibere proposte dal distretto sanitario di Bagheria». A Villa Santa Teresa una cura del tumore alla prostata costava alla Regione 136.349 euro di oggi contro gli 8.093 pagati a Milano. E venti volte di più venivano sganciati dalla sanità regionale per una terapia tradizionale per il tumore alla mammella: 46.480 invece di 2.320. La clinica andava col vento in poppa, finché appunto non intervennero i magistrati. 
Eppure è proprio dalle macerie e dai debiti lasciati in sanità che Cuffaro, tornato in politica dopo la condanna, è riemerso. E nel 2022 ha ricostruito la sua macchina elettorale, piazzando assessori e consiglieri ovunque. La sua candidata di punta è stata Nuccia Albano, prima donna medico legale in Sicilia, una delle professioniste incaricate dalla procura di Palermo di eseguire l’autopsia sul corpo del giudice Giovanni Falcone. Al Comune di Palermo Albano non centra l’elezione, ma qualche mese dopo è nominata assessora alla Famiglia nella giunta regionale targata Schifani. Il suo assessorato, assieme a quello alla Salute, gestirà anche l’istituzione di duemila posti letto di lungoassistenza in Sicilia. Albano è sorella di Giovanni Albano, presidente della fondazione Giglio che gestisce l’ospedale di Cefalù. Un vero e proprio fortino elettorale di Cuffaro: il predecessore di Albano è stato Stefano Cirillo, medico e attuale segretario regionale della Dc nuova. 
Nell’ultimo anno, da quando è in sella il nuovo governo regionale di cui fa parte la Dc, il Giglio ha fatto incetta di convenzioni con ospedali pubblici in difficoltà per carenza di medici. L’ultima, con l’ospedale di Petralia Soprana, è stata annunciata dal presidente della Regione Renato Schifani in persona, dopo la manifestazione che ha portato in piazza centinaia di cittadini a difesa del presidio madonita a rischio chiusura. Qualche settimana prima, era arrivata la firma di un protocollo con l’Asp di Palermo: il Giglio si impegna a “prestare” ortopedici all’ospedale di Termini Imerese, in cambio della cessione dell’ 
85 per cento dei rimborsi sui ricoveri. 
Che Cuffaro abbia un debole per i medici impegnati in politica lo dimostra pure il suo legame con Agostino Genova, dipendente dell’Asp di Palermo di recente arrestato dalla Guardia di finanza con l’accusa di aver gestito pratiche di invalidità in cambio di mazzette. Genova era stato nominato responsabile della Dc per i rapporti con i partiti e le forze sociali e candidato, senza successo, al Consiglio comunale di Palermo. Nei ranghi del partito è stato inquadrato anche Carmelo Pullara, ex manager del Civico di Palermo nell’era Lombardo, poi eletto deputato regionale nelle liste Mpa, transitato nella Lega e di recente approdato alla Dc con il ruolo di presidente regionale. 
Cuffaro gode di buone entrature pure a piazza Ottavio Ziino, quartier generale dell’assessorato alla Salute. Anche in virtù del suo rapporto di lungo corso con l’assessora Giovanna Volo, medico igienista con una lunga carriera di direttore sanitario. Cresciuta — come l’ex governatore — all’ombra di Mannino. Quando nel 2006 il politico di Raffadali viene riconfermato nella poltrona più alta di Palazzo d’Orleans, Volo passa all’azienda più ambita, il Civico di Palermo. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti, ma tra Cuffaro e Volo i rapporti non si sono deteriorati. 
E adesso che si avvicinano le nomine dei nuovi vertici di Asp e ospedali, l’ex governatore non vuole essere tagliato fuori dal giro che conta. Punta a incassare almeno due aziende, tra cui l’Asp di Agrigento, ma gli alleati — che temono la sua ascesa — frenano: «Gli spetta al massimo una casella», filtra tra le file di FdI e Forza Italia. 
Già oggi, Cuffaro può contare su una folta pattuglia di fedelissimi ai vertici delle aziende. Oltre al presidente del Giglio, sono ritenuti vicini a lui anche l’attuale commissario straordinario del Policlinico di Palermo, Maurizio Montalbano, Fabrizio Russo, commissario all’Asp di Ragusa, e Roberto Colletti, manager del Civico di Palermo. In avvicinamento verso lo Scudo Crociato sarebbe pure Mario Zappia, commissario straordinario all’Asp di Agrigento nominato in quota Mpa e in cerca di riconferma alla prossima tornata di nomine. I rumors parlano di un rapporto di vicinanza tra Zappia e il deputato agrigentino Dc Carmelo Pace. Un legame che — assieme alle esternazioni di Pace sull’esistenza di una “ cabina di regia ristretta sulla sanità” — avrebbe mandato su tutte le furie i deputati forzisti di Agrigento, che con Cuffaro si contendono la supremazia in quel collegio elettorale. 
«Non si torni a parlare di sanità nei retrobottega», ha tuonato appena qualche settimana fa la deputata agrigentina Margherita La Rocca Ruvolo, ex presidente della commissione Sanità all’Assemblea regionale. Una battuta al vetriolo, indirizzata anche al governatore forzista Renato Schifani, che con la Democrazia cristiana ha stretto un asse di ferro nel primo anno di governo. Cuffaro, dal canto suo, ha rilanciato con una provocazione: « I manager della sanità si scelgano tra i migliori tramite sorteggio » . Una proposta accolta dagli alleati tra risatine e battute velenose. La più lapidaria arriva da un esponente meloniano: «Evidentemente i bussolotti con i nomi da estrarre vuole metterceli lui». a partita dei nuovi manager della sanità è stata rimandata a dopo l’approvazione della Finanziaria, perché la maggioranza non ha ancora trovato la quadra. E c’è da scommettere che questa partita Cuffaro vorrà giocarla da protagonista. Sì, perché la sanità è la vera “gallina dalle uova d’oro” della Regione. Un moloch che assorbe oltre la metà del bilancio regionale, gestisce appalti miliardari e drena consensi. 

La Repubblica Palermo, 28/11/2023

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