giovedì, novembre 09, 2023

Il figlio di Boris Giuliano riporta in cella il padrino che il padre inseguì tra Palermo e New York


DI SALVO PALAZZOLO

PALERMO — Ogni mattina, prima di iniziare il turno nella sala intercettazioni, qualcuno dei ragazzi della squadra mobile si infila sempre nella stanza accanto, la stanza di Boris come la chiamano qui: è l’ufficio museo dedicato al capo della Mobile Boris Giuliano e agli altri poliziotti massacrati dalla mafia. Sorridono tutti in quelle vecchie foto alle pareti, come se non avessero paura della mattanza che insanguinava Palermo. 

Il sorriso più grande è però quello del piccolo Alessandro Giuliano che una mattina di metà anni Settanta venne a trovare il suo papà in ufficio: è una foto bellissima, che l’attuale capo della squadra mobile Marco Basile ha fatto sistemare accanto ai rapporti giudiziari di Boris Giuliano, che sono ormai un pezzo di storia dell’antimafia, gli studenti e gli insegnanti che visitano il museo si fermano sempre davanti a questa scrivania. 

Una mattina di qualche mese fa, all’improvviso, uno dei ragazzi della sala intercettazioni è corso nella stanza di Boris. Come se lui fosse ancora il capo della Mobile, come se quella stanza non fosse un museo, ma un ufficio operativo. In cuffia, il poliziotto aveva sentito un nome,dalle viscere della provincia di Palermo era riemersa la voce di un vecchio padrino, Francesco Rappa, nato a Borgetto il 2 settembre 1942. Voce di mafioso

autorevole che negli ultimi giorni veniva ossequiato anche a New York mentre dava consigli e tracciava strategie. Doveva esserci una ragione per tanto ossequio. La risposta era nella stanza di Boris. 
Il nome di Francesco Rappa è in uno di quei rapporti giudiziari firmati da Giuliano. Il 7 maggio 1979, l’investigatore delineava una mappa dei rapporti fra la mafia siciliana e quella americana, sottolineando che Rappa era stato arrestato a New York mentre prendeva in consegna una Cadillac imbarcata a Genova con 82 chili di eroina. 
Così, le indagini di Boris Giuliano sono tornate di grande attualità. Ed è toccato a suo figlio Alessandro, oggi poliziotto pure lui, capo della direzione centrale anticrimine, coordinare con il procuratore di Palermo Maurizio de Lucia le indagini del Servizio centrale operativo e della squadra mobile: ieri mattina, è scattato un blitz fra Palermo e New York. In Italia, sono stati fermati Rappa e altri cinque presunti mafiosi, negli Stati Uniti il figlio del vecchio boss — Vito Gabriele — e altre nove persone accusate di far parte del clan Gambino e di avere imposto estorsioni ad alcuni ristoratori italo americani. La storia di un altro padre e di un altro figlio, su un versante del tutto diverso. Mentre passato e presente continuano a intrecciarsi a Palermo, questo racconta l’inchiesta coordinata dal sostituto Giovanni Antoci e dalla procuratrice aggiunta Marzia Sabella. In una città ormai cambiata, senza più i killer di Totò Riina per le strade, stanno però tornando alcuni vecchi mafiosi dall’esilio americano che i Corleonesi avevano imposto durante la guerra di mafia del 1981. Tornano con i loro capitali mai sequestrati, tornano con la voglia di riprendersi Palermo attraverso nuovi investimenti. «La polizia di St ato e l’Fbi continuano a tenere sotto controllo i continui contatti fra la mafia siciliana e quella americana »¸ dice Vincenzo Nicolì, il capo del servizio centrale operativo della polizia, articolazione della direzione centrale anticrimine diretta da Alessandro Giuliano. «Siamo di fronte a rapporti criminali consolidati nel tempo e riattualizzati»,spiega il questore di Palermo Vito Calvino. Per potenziare le indagini contro la riorganizzazione mafiosa, lo Sco mette in campo sezioni investigative specializzate che operano sui territori, si chiamano “Sisco”, a Palermo e a Catania sono dirette da due funzionarie, Valentina Crispi e Marzia Giustolisi. 
Ieri mattina, c’era un gran via vai alla squadra mobile, in Sicilia sono arrivati anche alcuni investigatori dell’Fbi per la conferenza stampa sul blitz Palermo-New York. Nella stanza di Boris, invece, un gran silenzio. Il capo della Mobile Marco Basile ricorda che nel 1975 Giuliano fu il primo italiano a frequentare il corso all’Fbi national Academy di Quantico. Quattro anni dopo, il boss Leoluca Bagarella gli sparò. Fu l’estate più buia per Alessandro, per le sue sorelle, Emanuela e Selima, per mamma Ines. «Oggi Palermo è davvero cambiata — sussurra un investigatore — ma noi continuiamo a tenere gli occhi aperti. I soldi della vecchia mafia scorrono nelle vene di Palermo, Giuliano l’aveva capito. Sono i soldi della droga, che è tornata a inondare la città». 
La Repubblica, 9/11/2023

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