giovedì, agosto 09, 2012

Il tour in cella dei politici per far pentire i boss delle mafie

Bernardo Provenzano
Colloqui di Alfano (Idv) e Lumia (Pd) con Provenzano. “Binnu” ai due parlamentari: «I MIEI FIGLI NON DEVONO ANDARE AL MACELLO»
Il primo tentativo risale al 26 maggio scorso, tre giorni dopo il ventesimo anniversario della strage di Capaci. I parlamentari del Pd Giuseppe Lumia e dell'Italia dei Valori Sonia Alfano si presentarono al carcere di Parma per proporre a Bernardo Provenzano di collaborare coi magistrati. E l'anziano padrino, nel corso di un colloquio un po' confuso, rispose: «Sì, ma i miei figli non devono andare al macello». Il senatore e l'eurodeputata gli assicurarono che lo Stato avrebbe potuto garantire loro un avvenire, e Provenzano concluse: «Fatemici parlare, e poi sarà la volontà di Dio».
LE REAZIONI. LUMIA E ALFANO: "SI METTONO IN PERICOLO LE NOSTRE VITE"


Invece dei figli, qualche giorno dopo con il vecchio capomafia andarono a parlare i magistrati della Procura antimafia di Palermo. In assenza dell'avvocato, cercarono di capire se potevano emergere elementi utili alle indagini; o almeno qualche disponibilità per il futuro. Non ottennero nulla. Solo un generico «non voglio fare del male a nessuno». Che a volerlo interpretare potrebbe significare che Provenzano non ha intenzione di collaborare accusando altre persone. Niente pentimento in vista, dunque. Ma un mese fa, il 4 luglio, dopo che all'illustre detenuto ristretto al «41 bis» era stato notificato l'avviso di conclusione indagini per l'omicidio Lima e la trattativa Stato-mafia, Lumia e Sonia Alfano sono tornati all'attacco. Provando a scalfire il muro dell'omertà in un nuovo colloquio nel penitenziario emiliano. Al quale hanno assistito, come prevede la legge, i responsabili della polizia penitenziaria, che hanno redatto una relazione inviata dalla direzione generale delle carceri alle Procure di Palermo e Caltanissetta, nonché la Direzione nazionale antimafia.
«Un uomo con la schiena diritta sta con lo Stato e la legge dello Stato» ha provato a stimolarlo Lumia, componente della commissione antimafia di cui in passato è stato presidente. Ottenendo però un'unica e poco promettente risposta: «Sia fatta la volontà di Dio». Il senatore ha insistito sostenendo che «non c'è Dio senza verità», e allora il boss ottantenne è tornato sul discorso dei figli. Chiedendo come avrebbe potuto aiutarli, nella sua condizione di ergastolano sottoposto alle regole del «carcere duro». I parlamentari ne hanno subito approfittato per ricordargli gli «strumenti della legge» utili a mutare le condizioni di vita anche dei figli dei collaboratori di giustizia impegnati a «fare uscire una volta per sempre la verità». A questo punto il padrino corleonese è sembrato mettere le mani avanti, e come se volesse giustificare il suo silenzio ha sostenuto «di non avere più una buona memoria, e quindi di avere paura di fare "malafigura"». Ma il suo problema restano i figli, quasi una fissazione, perciò ha domandato ai due parlamentari in visita se potevano autorizzarlo ad avere colloqui con loro. «No», gli ha risposto ovviamente Lumia. Ricordandogli però che poteva rivolgersi ai «magistrati seri e trasparenti» che indagano sui fatti di mafia e avrebbero potuto ascoltare le sue richieste.
La conversazione con Provenzano s'è interrotta con questo appello, e gli agenti di custodia hanno annotato che buona parte del dialogo tra il padrino e l'eurodeputata Sonia Alfano (presidente della Commissione speciale sulla criminalità organizzata di Strasburgo) si è svolto in dialetto siciliano. Ma la missione nel carcere di Parma dei due parlamentari - impegnati in una sorta di tour delle prigioni che pare finalizzato a sollecitare alcuni boss a collaborare con gli inquirenti, tanto che a maggio avevano provato pure con Filippo Graviano - è proseguita con altri due incontri. Uno con il capo-camorrista del clan dei casalesi Francesco Bidognetti, detto Cicciotto 'e mezzanotte ; l'altro con Antonino Cinà, il medico mafioso anche lui imputato per la presunta trattativa a cavallo delle stragi del '92. Entrambi costretti al «41 bis».
Di norma i «colloqui investigativi» con i detenuti per saggiarne la disponibilità al «pentimento» spettano al procuratore nazionale antimafia, alla polizia giudiziaria o ai magistrati autorizzati dal ministro della Giustizia; i rappresentanti degli organismi elettivi, invece, possono entrare nelle carceri per verificare le condizioni di detenzione. Dal contenuto delle relazioni su questi due colloqui, però, emerge che il senatore e l'eurodeputata hanno parlato di molto altro.
Con Bidognetti, Lumia e la Alfano sono rimasti mezz'ora, ricavandone solo una requisitoria contro i pentiti e la legge che - secondo il Casalese - concede credibilità alle loro dichiarazioni anche quando mancano i riscontri. Sonia Alfano, figlia del giornalista Beppe Alfano ucciso dalla mafia nel 1993, ha provato a far valere le ragioni delle vittime che aspettano la verità sui delitti in cui hanno perso la vita i loro cari, ma Bidognetti ha replicato che certi collaboratori finiscono per offendere pure le persone assassinate. Aggiungendo che certi parlamentari colpevoli di scelte sbagliate andrebbero arrestati.
Anche con Bidognetti Lumia s'è raccomandato di affidarsi ai bravi magistrati, «e nella sua zona ce ne stanno molti», ma con scarse speranze, mentre a Nino Cinà - uno dei presunti intermediari tra le istituzioni e la mafia nei contatti di vent'anni fa - ha ricordato che chi ha avuto un ruolo in Cosa nostra ha una sola alternativa: o sconta la sua condanna o sceglie di collaborare. Risposta di Cinà, che si considera vittima di errori giudiziari: «Io no ho avuto un ruolo in Cosa nostra, ho solo curato dei mafiosi per dovere etico e morale». Quanto alla presunta trattativa, il detenuto ha spiegato che il suo accusatore Massimo Ciancimino ha fornito versioni contrastanti che ne dimostrerebbero l'inattendibilità. Cinà ha poi rivelato di aver già svolto cinque colloqui investigativi (ufficiali, stavolta) tra cui uno con i magistrati palermitani Paci e Ingroia. Che però, evidentemente, non hanno dato frutti.
«Dobbiamo sconfiggere Cosa nostra», ha insistito Lumia, ottenendo ancora una risposta deludente: «Cosa nostra è stata sconfitta già con l'arresto di Riina». Sonia Alfano ha promesso una nuova visita, e Cinà se n'è mostrato lieto: «Sono a sua disposizione, a 360 gradi».
Corriere della sera, 9 agosto 2012 | 10:44

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