giovedì, agosto 30, 2012

ILVA Taranto: la magistratura ribadisce e rilancia

L'Ilva di Taranto
"Un disastro ambientale dannoso e pericoloso per la pubblica incolumità, determinato nel corso degli anni, sino ad oggi, attraverso una costante reiterata attività inquinante posta in essere con coscienza e volontà, per la deliberata scelta della proprietà e dei gruppi dirigenti che si sono avvicendati alla guida dell'Ilva, i quali hanno continuato a produrre massicciamente nella inosservanza delle norme di sicurezza dettate dalla legge e di quelle prescritte, nello specifico dai provvedimenti autorizzativi". Con questa frase sostenuta in un documento di 123 pagine, il Collegio del riesame del Tribunale di Taranto ha, non solo confermato la sentenza del giudice Patrizia Todisco, ma è andato ancora avanti passando da un'ipotesi di reato per disastro ambientale di natura colposa a una dichiarazione di dolosità da parte degli imputati suffragata da un'ampia esegesi di fonti giurisdizionali e tecniche.
A sostegno di questo giudizio è intervenuta, infatti, anche l'ulteriore azione investigativa giudiziaria che ha portato alla denuncia sulla base di intercettazioni ed altri riscontri obiettivi a carico dei tre maggiori imputati e di altri per reati di corruzione e concussione. Da ciò la conferma con nuove motivazioni dei provvedimenti di arresto cautelare a carico dei due Riva, padre e figlio, e del loro principale collaboratore Capogrosso.
È tale la forza probatoria dell'indagine condotta dalla magistratura tarantina che "il Sole 24 Ore" ha avanzato l'ipotesi che si possa arrivare, superando fasi intemedie, direttamente al dibattito conclusivo. Questo documento, a mio avviso, ha il merito di affrontare aspetti decisivi per quanto riguarda la difesa dell'ambiente, lo sviluppo  industriale e la stessa questione meridionale (in nessuno degli altri siti industriali gestiti dai Riva in Italia settentrionale ed in Europa sarebbe stato possibile mantenere talmente a lungo, e persino incrementare, un tipo di lavorazione così inquinante). La differenza, ancora una volta, di tipo neocoloniale tra "nordici e sudici".
Occorrerebbe stampare, con opportune illustrazioni e notazioni, il testo integrale della sentenza in un volumetto da distribuire all'inizio dell'anno scolastico alle scuole superiori della Repubblica per far prendere consapevolezza alle nuove generazioni non solo dei problemi affrontati nella sentenza ma anche del ruolo dell'autonomia della Magistratura rispetto agli altri poteri, legislativo ed esecutivo, che sta alla base dalla nostra Costituzione.
Dopo questa conferma il Ministero dell'Ambiente ed il governo hanno rinunciato al ricorso alla Corte Costituzionale che incautamente, seguendo le orme di Napolitano, avevano annunciato. Il Ferrante, a sua volta, ha rinunciato ai ricorsi giudiziari ed ha confermato la sua disponibilità nei confronti dei sequestratari nominati dal tribunale. Molti operai, infatti, avevano denunciato che, subito dopo la prima sentenza, l'Ilva aveva accelerato il funzionamento degli impianti e quindi la quantità di inquinanti immessi nell'atmosfera; continuare su questa pratica avrebbe portato all'incriminazione di Ferrante assieme ai suoi "mandanti". Ma cosa ancora più importante, la duplice sentenza ha stimolato maggiori mobilitazioni positive. In primo luogo a Taranto con la crescita del movimento dei "cittadini liberi e pensanti", su scala nazionale e a Taranto la rottura dell'unità sindacale a difesa degli interessi dell'Ilva operata dalla Fiom, contro CISL e UIL, con una presa di posizione a favore della magistratura e a sostegno delle forze ambientaliste. Ma il caso Ilva ha avuto effetto ancora più importante a livello nazionale incitando la mobilitazine di forze ambientaliste di sindacati e di amministrazioni comunali delle altre aree meridionali inquinate quali Priolo, Gela, Brindisi, ecc.
Il sequestro così è entrato in funzione ed in questo momento è annunciata una riduzione delle emissioni al 70% nei reparti sequestrati sulla base delle istruzioni dei magistrati e dei sequestratari. Vorrei fare due osservazioni in vista di una modifica nel sistema Ilva.
Come avviare il processo di messa in regola dell'impianto senza arrivare alla sua totale chiusura? Nel giornale "la Sicilia" di Catania del 28 luglio scorso sono stati intervistati Donato Firrao, docente di metallurgia del Politecnico di Torino, secondo cui era sufficiente fermare un solo reparto (la cokeria) e continuare la produzione, e Michele Giuliani, Politecnico di Milano, secondo il quale: "il settore pù inquinante dell'impianto è la cokeria quello cioè dove si trasforma il carbone mentre l'altoforno di Taranto è appena stato rimesso a nuovo? Si poteva tranquillamente chiudere solo la cokeria  e comprare il suo prodotto, il coke, sul mercato, continuando così la produzione. In questo modo si diminuirebbero le emissioni". La cokeria infatti era stata chiusa per diversi mesi per iniziativa dello stesso Riva, dopo una delle sue numerose condanne penali, fino a quando l'allora Presidente della Regione Fitto non intervenne con un provvedimento che permise la ripresa dell'attività. Questa sospensione (e chiusura definitiva) della cokeria diminuirebbe l'immissione di polveri e di fumi che contengono, assieme ad altri inquinanti, il tremendo benzopirene che è causa di gran parte delle malattie tra i bambini e le popolazioni delle zone confinanti e tra gli stessi operai del complesso. Per il resto bisogna però prevedere come realizzare effettivamente l'adozione B.A.T (best available technology) che oggi è offerto ad es. su scala mondiale dalla Siemens tedesca, adottata, in impianti analoghi a quelli a caldo di Taranto, in Cina che ha enormi problemi di inquinamento che però vengono affrontati con forza nei vari Piani Quinquennali. Si può cominciare subito ad introdurre questa tecnologia a partire dagli altiforni che sono chiusi in modo da avviare un processo che in pochi anni potrebbe rendere, forse, sopportabile l'esistenza di una parte della lavorazione a caldo a Taranto.
Ma la conferma, anzi l'aggravamento dell' incriminazione dei Riva apre un'altra prospettiva di mobilitazione degli interessi colpiti, a cominciare  dal comune e dalla regione che potrebbero e dovrebbero costituirsi come parte civile nel procedimento penale. Potrebbero farlo anche i singoli cittadini e gli operai danneggiati, colpiti da malattie legate all'inquinamento, i familiari delle vittime, i genitori dei bambini i cui bronchi sono già oggi invasi da patologie analoghe a quelle dei fumatori e direi tutti gli operai e i cittadini di Taranto sulla cui salute grava la minaccia dell'inquinamento anche per i prossimi decenni della loro vita. 
Queste legittime richieste di risarcimento potrebbero superare il valore attuale degli impianti dell'Ilva e quindi rappresentare lo stimolo a richiedere provvedimenti cautelari in sede civile a carico di Riva in aggiunta a quelli già stabiliti dal decreto di sequestro. Si apre perciò la possibilità di una larga mobilitazione che sarebbe anche un'azione di sostegno alla meritoria attività della magistratura.
Il caso Riva infine ha suscitato, rafforzato e reso più attuale un dibattito sugli obiettivi immediati e sulle prospettive di lunga durata che possono porsi per il movimento ambientalista e di sinistra, come gli articoli pubblicati dal Manifesto, ed ora con ritardo gli altri giornali, stanno dimostrando. La proposta recente di "Italia dei Valori" di affrontare con quattro referendum del governo Monti l'attacco all'art. 18 ed altri problemi sociali e di costume riprende l'esperienza positiva degli ultimi referendum sull'acqua pubblica e contro il nucleare. I 27 milioni di cittadini che l'11 e il 12 giugno dello scorso anno hanno condannato la politiche di privatizzazione dell'acqua e dei servizi sociali, e di reintroduzione dell'energia atomica in Italia, volute da Berlusconi, al posto dello sviluppo delle energie rinnovabili, contribuirono a farlo uscire di scena.
Una nuova stagione referendaria che sottoponga al voto dei cittadini italiani le nefaste iniziative legislative del governo Monti, anche in materia ambientale ed energetica, possono aprire la strada ad una nuova stagione politica nel nostro paese. Lo testimonia anche l'ultimo lunghissimo Consiglio dei Ministri del governo Monti. Nelle settimane precedenti la stampa cosiddetta "indipendente" aveva popolarizzato come uno degli elementi qualificanti del programma di crescita l'adozione di un piano energetico nazionale basato sulla ricerca di idrocarburi anche all'interno dei mari territoriali sull'incremento delle infrastrutture metanifere e petrolifere in gran parte collocate all'estero, di gasdotti e sulla realizzazione di rigassificatori in modo da valorizzare nell'arco dei prossimi 20/30 anni ed ancora di più l'utilizzazione delle energie fossili. In terzo luogo la adozione delle misure di blocco del solare fotovoltaico (e dell'eolico) dopo che finalmente l'Italia che ha condizioni più favorevoli del resto dell'Europa nel 2011 aveva raggiunto una potenzialità di impianti di circa 6mila megawatt l'anno. Mantenere questo ritmo di installazione significava da un lato raggiungere l'autonomia energetica in campo elettrico entro 10/15 anni chiudendo tutti i mostri a carbone, ad olio combustibile e a metano e dall'altro moltiplicare per 10 o 12 volte gli impianti tipo SMT di Catania e relative occupazioni per potere garantire, con prodotti nazionali, questa storica trasformazione energetica. Il programma di Clini e Passera bloccava questo sviluppo. Nel Consiglio dei Ministri questo progetto non è stato approvato e sarà sottoposto ad una consultazione di tutte le parti interessate e successivamente, nel mese di dicembre, ad una nuova riunione del Consiglio dei Ministri a solo due mesi di distanza dalla conclusione della legislatura. Diventa perciò di grande rilievo sottoporre anche al popolo italiano la questione energetica.  I 27 milioni che hanno detto no alla privatizzazione dell'acqua ed all'energia nucleare, costituiscono la vera piattaforma elettorale da cui partire per realizzare un progetto politico di alternativa non solo al governo Berlusconi ma anche a tutte le forze neoliberiste che hanno sostenute e sostengono il governo Monti.
Nicola Cipolla
Presidente del Cepes - Palermo
ex senatore della Repubblica Italiana

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