domenica, giugno 26, 2022

«Il Padrino» festeggia cinquant’anni, a Coppola le chiavi della città di Savoca. Il regista americano oggi inaugurerà il «Taormina Film Fest»


Antonella Filippi

Savoca - Nel bar di Maria D’Arrigo, a Savoca, almeno 21 granite al limone, erano destinate a Francis Ford Coppola e Al Pacino: per la precisione, 14 al primo e 7 al secondo, ogni giorno, tutti i santi giorni di quel mese e mezzo in cui in quel borgo stretto tra il mare e l’Etna, si sono girate le scene de «Il padrino», mezzo secolo fa e spiccioli. 

Scene rimaste nella memoria collettiva: quelle in cui il figlio di Don Vito Corleone, Michael (Al Pacino), con tanto di lupara d’ordinanza, gilet nero e camicia bianca da mafia d’antan, si ferma a parlare con il padre (Saro Urzì) di Apollonia (Simonetta Stefanelli), sua futura prima moglie. E dove si balla il giorno del matrimonio. Al bar Vitelli, all’interno del quattrocentesco Palazzo Trimarchi, in piazza Fossia: di fronte la scultura di Nino Ucchino in acciaio, omaggio a Coppola «fermato» alla sua cinepresa. Più su c’è la chiesa di san Nicolò, dove si celebrò il matrimonio tra i due.

Il bar, anche in una torrida giornata di giugno, è affollato di turisti, soprattutto stranieri, con la loro granita al limone e zibibbo (specialità della casa), piuttosto inconsapevoli del ritorno in Sicilia di Francis Ford Coppola ma incuriositi e divertiti dai cimeli esposti all’interno del locale: foto, attrezzi e perfino la sedia su cui poggiò il suo nobile didietro Al Pacino. Il regista americano sarà ospite stasera, al Teatro Antico, della giornata inaugurale del Taormina Film Festival per i cinquant’anni del suo film: qui il sindaco di Savoca, Massimo Stracuzzi, con la giunta, alcuni interpreti locali e il proprietario del bar Vitelli, gli consegnerà la chiave della città e una pergamena: «Non ero nato all’epoca del film ma lo vedo almeno una volta all’anno. Ed è sempre un’emozione», dice. Lorenzo Motta è il marito della nipote della signora Maria D’Arrigo «un’eroina che pur di aprire questo bar nel 1963, litigò con tutta la famiglia e andò via di casa, portandosi dietro il materasso. La zia Maria era una donna caparbia, determinata, intelligente, lungimirante». Il nome del bar, Vitelli, è eredità del film: «L’ho scoperto – continua Motta - un paio d’anni fa, quando vennero qui due signore lucane e mi dissero che si trattava di un cognome molto comune dalle loro parti. E Coppola è di origine lucana… La scritta è ancora quella originale, mentre la pubblicità della birra “Itala Pilsen”, accanto all’ingresso, è del 1920 ma l’ho ricomprata su internet: quella che si vede nel film mi è stata rubata quattro anni fa. Credo su commissione, da due irlandesi. Oggi, al posto dei due tendoni immortalati nel film, abbiamo preferito un fitto pergolato che protegge dalla calura. Da poco, infine, abbiamo avviato un boutique hotel». È curiosa la storia di come quel giovane regista finì per girare a Savoca, puntino sconosciuto sulla carta geografica tra Messina e Taormina: «Quattro mesi prima di partire per la Sicilia, durante un party a San Francisco, Coppola conobbe un cugino della zia Maria, personalità di alto livello, esponente della Corte suprema americana che, saputo dell’imminente viaggio, gli chiese di portare personalmente i suoi saluti alla zia Maria. Una volta in Sicilia, la prima tappa fu Corleone dove per motivi «ambientali» – leggi intollerabili richieste della mafia - non si trovò un accordo per le riprese. Nell’attesa di una nuova sistemazione, Coppola si fa accompagnare a Savoca, per i saluti promessi. Il posto gli piacque subito e chiese alla signora Maria l’autorizzazione a girare. E Maria che parlava benissimo… inglese, rispose a mo’ di lasciapassare: «Aviti vogghia». La zia era una donna di cuore, spesso non faceva pagare i clienti del suo bar, dove preparava solo caffè e granite di limone, e molti per sdebitarsi la omaggiavano di vini, noci e formaggi che lei condivideva con la troupe per la felicità degli americani. Alla fine delle riprese strappò l’assegno in bianco che la produzione le aveva firmato». Vittorio Moschella, oggi proprietario di Borgo San Rocco, quando uscì «Il Padrino», nel 1972, viveva già a Milano dove si era trasferito da Savoca. Del film conosce ogni fotogramma: «Andai a vederlo in un cinema milanese e, a un tratto, incrociai sul grande schermo i capelli bianchi di mia zia Agata, seduta alla festa per il matrimonio di Michael e Apollonia. Ma che ci fa lei a Corleone? pensai. Poi intravidi mio cugino, e poi perfino la mia casa. Capii che era stato girato a Savoca e mi sentii un po’ protagonista anch’io». (*ANFI*)

GdS, 26/6/2022


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LA MAFIA DI CORLEONE HA IMPEDITO DI GIRARE “IL PADRINO” A CORLEONE?

Sia nell’articolo di ieri su Repubblica, sia in questo articolo sul Giornale di Sicilia di oggi, lèggiamo che Francis Ford Coppola e la produzione de “Il Padrino” volevano girare il film a Corleone. Addirittura pare che Coppola venne a Corleone (nel 1971?), ma scappò via perché (“per motivi «ambientali» – leggi intollerabili richieste della mafia”) non volle piegarsi alle sue pretese. E girò il film a Savoca, in provincia di Messina. É vero? È falso? Per ovvi motivi non possiamo chiederlo alla mafia. Magari potrebbero dirci se hanno intuito qualcosa gli amministratori comunali dell’epoca (sindaco era Michele La Torre). Almeno potrebbero dirci se effettivamente la produzione del film con Coppola in testa venne a Corleone. In ogni caso, sia se il fatto è accaduto veramente, sia se la produzione de “Il Padrino” nemmeno tentò di mettere piede nel nostro paese per prevenire condizionamenti, del risultato negativo per la nostra comunità ancora una volta “dobbiamo ringraziare” la mafia, la mafia di casa nostra... (dp)

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