sabato, febbraio 15, 2014

MEMORIA A CACCAMO. Vera Pegna e la poltrona del mafioso, don Peppino Panzeca

Vera Pegna con la sua tessera del Pci del 1962
Nel 1962 una giovane comunista, Vera Pegna, riuscì a scalfire il potere politico-mafioso di Caccamo, costringendo il comune a togliere dalla sala consiliare la poltrona simbolo del potere politico-mafioso del boss don Peppino Panzeca
Ero molto curioso di conoscere Vera Pegna. Mi ero imbattuto nel suo nome leggendo del “padrino” storico di Caccamo, quel don Peppino Panzeca che, dal secondo dopoguerra e fino agli anni ’60, esercitava incontrastato il suo dominio mafioso sul termitano e sulle Madonie. Di lei avevo letto negli atti della prima Commissione antimafia che, da giovane e coraggiosa consigliera del P.C.I., era riuscita a far togliere dall’aula consiliare di Caccamo la poltrona riservata abusivamente a don Peppino, simbolo del suo potere mafioso esercitato sulla città del castello. Poi avevo letto il suo “Tempo di lupi e di comunisti” (Editrice La Luna, Palermo 1992), dove questa vicenda e tante altre venivano raccontate con dovizia di particolari. E la curiosità di conoscerla ed incontrarla è diventata sempre più forte. Ci sono riuscito la settimana scorsa, quando Vera, che abita a Marina di Cerveteri, vicino Roma, è tornata a Caccamo. Siamo stati un pomeriggio ed una serata insieme. (GUARDA L'ALBUM FOTOGRAFICO)
E lei, che adesso ha 79 anni (ben portati), mi ha raccontato come mezzo secolo fa una ragazza di “buona famiglia”, nata ad Alessandria d’Egitto e laureatasi in lingue straniere a Ginevra, in Svizzera, abbia sentito forte il bisogno di impegnarsi per una società più libera e più giusta, seguendo dapprima Danilo Dolci a Partinico. «Ben presto, però, la non violenza di Danilo mi è sembrata astratta – mi ha detto Vera - e mi sono avvicinata alle idee comuniste, grazie all’incontro con Angelo Scopelliti, un bracciante comunista, segretario della Camera del lavoro di Palma di Montechiaro, animato da una forte carica umana e ideale». Fu così che nel 1962, a 28 anni, Vera Pegna lasciò l’organizzazione di Danilo Dolci e si presentò alla Federazione comunista di Palermo. «Non so niente di politica – disse al segretario provinciale Napoleone Colajanni – ma sono sinceramente desiderosa di vivere da comunista. Posso essere utile?». Colajanni rimase stupito per quella richiesta, ma le propose di andare a dare una mano a Caccamo, un comune agricolo di 10 mila abitanti a 50 km da Palermo, dove il 10 giugno si sarebbero svolte le elezioni comunali. «A Caccamo – le disse Colajanni - la situazione è chiusa e quasi senza speranza . Dal dopoguerra non riusciamo ad avere una nostra presenza in consiglio perché la mafia regna incontrastata. (…) L’ultima volta che ci siamo presentati è stato nel 1952 e, insieme al Psi, abbiamo preso poco più di 100 voti. Quindi anche se li perdiamo non è grave. Fai del tuo meglio e cerca di costruire il partito». Un discorso che avrebbe scoraggiato chiunque, ma non Vera Pegna, che invece partì con grande entusiasmo e fece “il miracolo”. La lista del Pci, capeggiata da Peppino Miceli, deputato regionale e segretario della Camera del lavoro di Palermo, e dalla giovane Pegna, riuscì ad ottenere circa 800 voti e 4 consiglieri comunali su 30 (i due capilista, Giovanni Macaluso ed Angelo Carbone). «Fu una gioia immensa…», ricorda ancora adesso Vera Pegna. Il consiglio comunale s’insediò il 28 giugno 1962. «Quel giorno – ricorda - il comune era affollatissimo. Entriamo nella sala consiliare. Sono state disposte 22 sedie bianche per la maggioranza e 8 nere per l’opposizione». Una trovata bizzarra e discriminatoria. Ma ancora più grave era ciò che stava di fronte a quelle sedie: «il tavolo del sindaco con a fianco la famosa poltrona di don Peppino». Infatti, a don Peppino Panzeca, pur non avendone alcun diritto, veniva riservato un posto d’onore in consiglio comunale. Con fare “dissacratorio”, la giovane consigliera comunista rifiutò la sedia nera indicata dal commesso comunale e andò a sedersi sulla poltrona del boss, sconvolgendo i suoi stessi compagni. Vi fu una grande agitazione e un gran confabulare tra i consiglieri di maggioranza, che poi uscirono dall’aula per avere “istruzioni” sul da farsi. Poco dopo il commesso tornò e pregò Vera Pegna di alzarsi «perché deve, dice, levare quella poltrona che ormai lì non ci fa più niente». «Mi alzai – racconta - e lui tolse la poltrona tra gli applausi del pubblico». Questa minuta consigliera comunista e i suoi compagni, dunque, avevano incredibilmente  vinto una battaglia che sarebbe passata alla storia: la rimozione della poltrona di don Peppino Panzeca!
A Caccamo Vera Pegna conobbe il gruppo dirigente del Pci e della Cgil. Fu Gaetano Piraino, segretario della Camera del lavoro, ad accoglierla il giorno del suo arrivo. Ma, prima di parlarle, uscì dall’armadio una fascia tricolore con la scritta “il segretario” ricamata in lettere d’oro, la mise a tracolla, sedette dietro la scrivania, sotto i ritratti di Stalin e Togliatti separati da una madonna e da un crocifisso. «Cara compagna – le disse - qui tu sei nella repubblica di Caccamo. Ti parla il compagno Piraino Gaetano che tanto ha fatto per il partito, per la Camera del lavoro e per la difesa dei diritti dei lavoratori… Qui a Caccamo non c’è niente da fare. Qui a Caccamo c’è mafia. Qui a Caccamo c’è don Peppino Panzeca, che è il capo di tutta la mafia. (…) Tu dici che sei venuta a fare la campagna elettorale. La campagna non si può fare, perché noi liste non ne possiamo presentare. Due volte il partito è venuto da Palermo e ci ha fatto presentare la lista. Due volte è finita male. La prima volta il capolista, Pusateri Pino, è stato ricoverato in manicomio, ci è rimasto dieci anni con la moglie e i figli che morivano di fame e poi è uscito e l’hanno fatto emigrare. Il compagno Intile Filippo, capolista la seconda volta, è stato tagliato in due con l’accetta sul monte e nessuno voleva andarci per la paura, che c’era la luna che gli strappava il cervello…». Che Piraino fosse un personaggio singolare ed eccentrico non c’erano dubbi. Come non c’erano dubbi che non volesse turbare la “pax mafiosa” di Caccamo. Ciò non toglie che la situazione della città del castello fosse davvero disperata. In quei giorni Vera Pegna conobbe è apprezzò anche un altro personaggio, Angelino Carbone, un bracciante agricolo poverissimo, sposato, con tre figli, che invece l’accolse con entusiasmo. «Bisogna pure battersi contro questa mafia, bisogna pure che le cose cambino», le diceva. I primi a sorprendersi che a Caccamo si potesse presentare una lista del Pci furono i dirigenti della Federazione di Palermo. Ma la lista fu presentata, elesse 4 consiglieri, che nella prima seduta riuscirono a far togliere la poltrona del potere mafioso in consiglio. Poi lo strapotere democristiano e mafioso prese di nuovo il sopravvento, fino a costringere Angelino Carbone, rimasto vedovo, senza lavoro e con tre figli piccoli da sfamare, a passare con la Dc. «No, Angelino non era un traditore, lo sapevamo tutti e in fondo a noi stessi provavamo una vergogna profonda per non averlo aiutato e soffrivamo con lui la sua umiliazione», mi dice Vera. Dopo qualche tempo, Vera lasciò Caccamo per farvi ritorno solo molti anni dopo. A febbraio e poi la settimana scorsa. Ed è accaduto un altro “miracolo”. La sera del 17 ottobre Vera Pegna è stata accolta con tutti gli onori in consiglio comunale. «È stata consigliere comunale a Caccamo negli anni ’60 – hanno detto il presidente Domenico Porretta e il sindaco Andrea Galbo – e si è impegnata a favore dei lavoratori, ha lottato contro la mafia e la mentalità mafiosa». Se 51 anni fa glielo avessero predetto, non ci avrebbe mai creduto.

Dino Paternostro 

3 commenti:

mimmo lizza ha detto...

Una donna eccezionale per quei tempi ,il PCI di allora aveva molti militanti che diedero il meglio di se stessi per una società giusta e democratica,devo dire purtroppo che pochi di quei compagni sono arrivati ai vertici del partito,figure sbiadite e mediocri hanno preso in mano il partito estromettendo i compagni piu spassionati, con i risultati odierni, la "nomenclatura" di pseudo comunisti da tempo ha dimenticato la lotta politica per far progredire in tutti i sensi la societa italiana,sono avanzati solo loro e gli amici degli amici, i parenti dei parenti,sono sempre gli stessi a tirare le file del gioco e non accettano chi voglia tentare di cambiare e migliorare le cose.

mimmo lizza ha detto...

Una donna eccezionale per quei tempi ,il PCI di allora aveva molti militanti che diedero il meglio di se stessi per una società giusta e democratica,devo dire purtroppo che pochi di quei compagni sono arrivati ai vertici del partito,figure sbiadite e mediocri hanno preso in mano il partito estromettendo i compagni piu spassionati, con i risultati odierni, la "nomenclatura" di pseudo comunisti da tempo ha dimenticato la lotta politica per far progredire in tutti i sensi la societa italiana,sono avanzati solo loro e gli amici degli amici, i parenti dei parenti,sono sempre gli stessi a tirare le file del gioco e non accettano chi voglia tentare di cambiare e migliorare le cose.

mimmo lizza. ha detto...

Una donna eccezionale per quei tempi ,il PCI di allora aveva molti militanti che diedero il meglio di se stessi per una società giusta e democratica,devo dire purtroppo che pochi di quei compagni sono arrivati ai vertici del partito,figure sbiadite e mediocri hanno preso in mano il partito estromettendo i compagni piu spassionati, con i risultati odierni, la "nomenclatura" di pseudo comunisti da tempo ha dimenticato la lotta politica per far progredire in tutti i sensi la societa italiana,sono avanzati solo loro e gli amici degli amici, i parenti dei parenti,sono sempre gli stessi a tirare le file del gioco e non accettano chi voglia tentare di cambiare e migliorare le cose.