mercoledì, febbraio 15, 2012

Pignatone e Cortese trasferiti a Roma, capitale della violenza

di Alessia Càndito

Insieme hanno vissuto da protagonisti gli ultimi quattro anni della storia e della cronaca di Reggio Calabria. E adesso, a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro hanno ricevuto il trasferimento ad altra sede. Per entrambi, il capo della Mobile di Reggio Calabria, Renato Cortese, e il procuratore Capo, Giuseppe Pignatone, si tratta della capitale. Una sede prestigiosa, quanto complicata, soprattutto oggi che Roma sembra vivere una nuova stagione di violenza, tra gambizzazioni, agguati e omicidi sui quali si allunga l’ombra della criminalità organizzata. Il capo della Mobile, Renato Cortese ha salutato la città di Reggio Calabria “con un misto di felicità e tristezza”, ha dichiarato, “perché sono combattuto fra l’attesa di andare a Roma dove mi aspettano non solo un incarico importante allo Sco ma anche gli affetti familiari, e il dispiacere di lasciare il gruppo di lavoro che mi ha affiancato in questi anni». Pignatone invece non ha ancora fatto dichiarazioni, se non puntualizzare che “ad oggi sono ancora Procuratore Capo di Reggio Calabria e fino a quando lo sarò, continuerò a lavorare per Reggio Calabria”. Del resto, per l’ufficialità manca ancora qualche settimana. La Commissione per gli incarichi direttivi del Consiglio superiore della magistratura l’ha indicato all’unanimità come prossimo procuratore capo di Roma, ma, perché la sua nomina diventi ufficiale, mancano ancora il parere consultivo del Ministro Severino e la ratifica del Plenum. Che non dovrebbe però riservare sorprese. Sul nome di Pignatone convergono i voti di tutti i componenti della Commissione, togati e laici, e sono ben poche le pratiche che arrivano così blindate al Plenum. A breve, il Procuratore Capo Giuseppe Pignatone e Renato Cortese si ritroveranno dunque entrambi a cercare di mettere ordine nella giungla della capitale, che sembra aver iniziato a vivere una nuova stagione di violenza. Non è la prima che i destini del poliziotto e del magistrato si incrociano. In Sicilia, nell’aprile 2006, l’arresto di “Binnu”Provenzano, il cosiddetto capo dei capi della mafia dell’isola, porta la firma di entrambi.

Arrivati a Reggio Calabria a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro, uno, Renato Cortese, a capo della Mobile e l’altro, Giuseppe Pignatone, a capo della Procura, non ci hanno messo molto per mettere a segno colpi decisivi contro le cosche della città. Negli ultimi quattro anni non c’è clan che non sia stato al centro di indagini e inchieste, che hanno iniziato a squarciare il velo non solo sull’ala militare della ndrangheta, ma anche sulla cosiddetta “area grigia”, quel largo strato di professionisti, imprenditori, commercialisti insospettabili, divenuti “cerniera” tra i clan e la società. Ed è in questa borghesia mafiosa che le ndrine hanno spesso trovato politici e tecnici disposti a scendere a patti e fare affari con la ndrangheta. Uomini che la Procura ha saputo individuare e perseguire, come gli imprenditori Pasquale Rappoccio, titolare della ditta farmaceutica Medinex e Gioacchino Campolo, il “re dei videopoker” divenuto noto alle cronache per il patrimonio miliardario che gli è stato confiscato. Ma la Procura ha saputo anche seguire le tracce dei clan in politica, riuscendo a tagliare alcuni dei fili della trama che le ndrine hanno tessuto negli anni. In manette sono finiti così il consigliere regionale del Pdl Santi Zappalà, quello provinciale, Pasquale Inzitari e quello comunale, Giuseppe Plutino, ex assessore del Comune di Reggio Calabria, così come i sindaci di Siderno e Casignana, Alessandro Figliomeni e Pietro Crinò.
Colpi che hanno fatto innervosire non poco i clan, che in questi anni hanno visto finire dietro le sbarre anche membri del gotha della ndrangheta del reggino da tempo latitanti come Giovanni Tegano e Giuseppe e Paolo Rosario De Stefano, ras della ndrangheta in città, o Giovanni Strangio, accusato della strage di Duisburg del 2007, ma soprattutto Pasquale Condello, detto “il supremo”.
Ed è forse a questi come altri colpi pesanti per le ndrine di città e provincia, che si deve la cosiddetta “stagione delle bombe”, il periodo in cui i magistrati reggini sono stati messi sotto pressione da continue minacce e intimidazioni. E che forse non è ancora finito. Dalla bomba esplosa il 2 gennaio del 2010 di fronte alla Procura generale, passando per il bazooka indirizzato allo stesso Pignatone e
 fatto ritrovare il 5 ottobre del 2010 nei pressi del palazzo di giustizia, fino all’ultimo episodio, una bomba carta lasciata a ottobre di quest’anno, nel parcheggio del tribunale accanto a una foto del sostituto procuratore Lombardo, gli ultimi anni per i magistrati della Dda reggina sono stati un rosario di minacce ed intimidazioni. Che però non li hanno fermati.
Pignatone e Cortese lasciano Reggio Calabria con un’eredità pesante e una nuova consapevolezza da cui partire nelle indagini future, che cambia la concezione della natura della ndrangheta: le cosche sono organizzate in una struttura unitaria che le rende capaci di inserirsi in molte regioni del nord, così come all’estero, senza spostare il proprio baricentro direttivo da Reggio Calabria. Una città nella quale la lotta alle ndrine, nonostante i colpi assestati è appena all’inizio: “Non c’è – ha detto il Procuratore capo Pignatone in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario – una sola fetta sociale vergine e i rischi di contagio sono costanti. Ciò è essenzialmente dovuto al crescente ruolo degli enti locali, agli appalti, alle assunzioni, alla fornitura dei servizi, nel quadro del controllo del territorio che le cosche perseguono. Interfacciarsi con i politici, per la ‘ndrangheta, significa governare la clientela che aumenta il suo potere e il suo ‘riconoscimento sociale’” (Narcomafie, 9 feb 2012).

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