sabato, ottobre 14, 2023

Mafia, antimafia & fiction. Il problema non è raccontare di più l’una o di più l’altra, ma raccontare tutto e meglio, senza inutili orpelli retorici


di FRANCESCO PALAZZO


Il dibattito, interessante, lo ammettiamo, non è nuovo. Al contrario. Quando si parla di mafia può capitare di ascoltare il parere, ovviamente rispettabilissimo e con alcune ragioni al suo arco, che i film, le fiction o altri prodotti di questo tipo che parlano di mafiosi possono rischiare di esaltare figure che magari i giovani potrebbero prendere ad esempio positivo. 

Ultimamente si è chiesto di esaltare piuttosto e soprattutto le vittime del disonore mafioso. Cosa giustissima e preziosa, che per la verità si è fatto e non da ora. Infatti, la vita di molti eroi morti sotto il piombo mafioso è stata trasportata in prodotti cinematografici e televisivi che hanno avuto largo e duraturo successo. L'elenco sarebbe molto lungo. Su Don Puglisi possiamo contare film, documentari e tanti libri. La stessa cosa vale per i giudici Livatino, Falcone, Borsellino, Chinnici e altri magistrati. Per l'imprenditore Libero Grassi. Per Peppino Impastato,  Piersanti Matterella o Pio La Torre.

Ma sono state raccontate e comunque sono molto conosciute anche storie di giornalisti, di un altro prete come don Beppe Diana, di ragazze come Rita Atria e Graziella Campagna. Poi il prefetto Dalla Chiesa. E la lista potrebbe proseguire. Ed è chiaro che le vite di tutte le vittime di cosa nostra si dovrebbero raccontare. Tanto sono preziose e fondamentali al fine di liberarci dalle mafie. Così come è necessario, questo il punto, che si raccontino le azioni delle cosche mafiose e degli esseri umani che le hanno perpetrate. Direttamente in quanto punciuti. O indirettamente, ma non meno colpevolmente, nelle vesti di collusi e conniventi. E qua la lista si potrebbe allungare a dismisura. Perché prima o poi, liberandoci da ideologismi novecenteschi di varia natura, per i quali esiste soltanto la borghesia mafiosa, si dovrebbero portare al cinema, in televisione e sui libri le motivazioni per cui tanta parte di popolo da più di 160 anni, se vogliamo partire dall'Unità d'Italia, accorda colpevoli compiacenze alle mafie. E qua peraltro sorge una domanda. Come mai, se il pericolo sarebbe l'emulazione per via delle storie dei boss raccontate sul piccolo schermo, la mafia ha attecchito quando la televisione, il mezzo più impattante sulla pubblica opinione, con il suo contorno di prodotti più o meno buoni, era ben lontana dall'essere un oggetto presentissimo nelle nostre case? Forse, direi che possiamo esserne certi, il problema non è allora questo. Dobbiamo semmai augurarci, senza imbrigliare la creatività di nessuno, che si racconti tutto e sempre meglio. Da questo punto di vista, l'unica critica che si può porre a chi vuole raccontare mafia e antimafia, è quella che gira attorno ai singoli prodotti. Caso per caso. Tenendo presente che si possono raccontare male la mafia e I mafiosi, certo, ma anche l'antimafia e i suoi, nostri, eroi. In quest'ultimo caso non è infrequente vedere e ascoltare sceneggiature improbabili o ricostruzioni storiche molto discutibili, dove si nota più il vuoto della retorica che la pienezza di storie raccontate con maestria. Andando al fondo senza limitarsi alla superfice. Noi dovremmo sentire l'esigenza di sapere cosa hanno fatto e fanno i mafiosi e una larga parte di popolo, borghese e popolare, che li sostiene. E cosa hanno fatto e fanno coloro che alle mafie si sono opposti e si oppongono. Sia le figure dei mafiosi sia le riproduzioni degli ambienti che li producono devono essere fatte bene. Stessa cosa vale per gli antimafiosi. Arriverà il giorno in cui le mafie non ci saranno più. Quel momento sarà il frutto di tante circostanze strutturali. Una parte, possiamo esserne certi, ce l'avranno i tanti modi in cui mafia e antimafia saranno raccontate bene, e non soltanto per quanto accaduto in passato, al grande pubblico.

Francesco Palazzo

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