martedì, dicembre 21, 2021

L’ISOLA CHE VEDREMO IN ONDA. Da “L’Ora” a Letizia Battaglia l’altra Sicilia possibile della tv

di Mario Di Caro 

C’è Claudio Santamaria col cappello Borsalino e il cappotto grigio nei panni di un direttore di giornale deciso a rivoltare la Sicilia come un calzino, e c’è Isabella Ragonese col caschetto rosso- arancio e una Leica al collo pronta a mangiarsi il mondo e a fotografarlo. 

Ma ci sono anche Claudio Gioè e Domenico Centamore impelagati in qualche nuovo groviglio appresso a unmorto ammazzato. 

Insomma, dietro Ficarra e Picone che sentono il bisogno di raccontare la mafia invisibile c’è un pozzo di storie siciliane che rimbalzeranno sulle serie tv. E che rischiano di svelare una Sicilia non solo capace di sorridere ma anche ribelle, puntigliosa, appassionata. Sarà, insomma, la Sicilia de “L’Ora” che pubblica il primo reportage sulla mafia e subisce un attentato, quella di “ Inchiostro contro piombo” prodotta daMediaset, ancora priva di una data di programmazione, sarà la Sicilia di Letizia Battaglia, dei suoi amori e delle sue lotte, diretta da Roberto Andò per la Rai (in onda in primavera) e quella dei “ gialli leggeri” di “ Makari”, su RaiUno tra febbraio e marzo.

E se nel “ motore” della serie su “L’Ora” ci sono le firme di Piero Messina, uno dei tre registi, e di Claudio Fava, uno degli sceneggiatori, nel cast del film sulla Battaglia, oltre alla protagonista Ragonese, ci sono, tra gli altri, Paolo Briguglia e Romina Caruana. 

Se le serie tv quest’anno parlano siciliano è in parte merito di un apripista come Camilleri, secondo Gaetano Savatteri, l’autore dei gialli Sellerio che hanno dato vita a “ Makari”, ma prima ancora di una narrazione diversa dell’Isola finalmente possibile. «La Sicilia di una volta non c’è più e allora adesso qui si possono raccontare storie di resistenza civile,commedie, gialli, passioni — ragiona Savatteri — Questo è stato possibile perché è saltato il tappo della mafia: negli anni Ottanta era impensabile raccontare la storia dei Florio, qualcosa che non parlasse di mafia, perché sarebbe potuta sembrare una mossa depistante, voler parlare d’altro mentre qui esplodevano le bombe e si ammazzavano prefetti e poliziotti. Non c’era lo spazio di ascolto, in Sicilia, per qualcosa di diverso dalla mafia. Poi, dopo le stragi, nel ’94 arriva Camilleri e nasce il giallo “ normale” con la mafia che agisce solo sullo sfondo: il resto d’Italia si rende conto che in Sicilia ci può essere un commissario che arresta gli assassini, che il delitto è commesso per gelosia o per avidità, si appassiona a storie che intrecciano amore, omidicio e sorriso. Era il momento giusto per un cambio di passo in tv: abbiamo recuperato la possibilità di un’Isola che sorride che avevamo perso dai tempi di Franchi e Ingrassia». 

La mafia resta comunque una convitata di pietra, come minimo, delle serie ambientate in Sicilia: è il nemico dichiarato de “ L’Ora” che all’indomani della storica inchiesta del 1958 piazza una bomba in redazione, è il fantasma che insegue Letizia Battaglia nella sua carriera di fotografa e nel suo impegno di militante ed è il buco nero nel quale cadono gli sprovveduti riparatori Salvo e Valentino, ovvero gli “ Incastrati” Ficarra e Picone. Ma è cambiato il punto di vista, s’è allargata la visuale del racconto, capace di recuperare vite da romanzo come quella della fotografa- pasionaria o storie esemplari come quella del quotidiano del pomeriggio e della sua formidabile scuola di cronisti. Personaggi ribelli a modo loro rispetto al cliché di una Sicilia inchiodata al lutto perpetuo, all’immutabilità di un giogo crudele, quello mafioso, appunto, e all’ineluttabilità di una vita senza amore e senza sogni. Eccola, allora, l’altra narrazione finalmente possibile di una Sicilia autentica, senza ignorare la sua convinvenza con la tragedia. Come la morte di Piersanti Mattarella, presidente della Regione, ricostruita da Andò nella scena forse più emozionante del suo film. Il commissario Montalbano, primo artefice del nuovo look televisivo della Sicilia non indaga più, ma dietro i suoi “arancini” c’è una miniera da scavare. 

La Repubblica Palermo, 21/12/2021

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