mercoledì, aprile 28, 2021

LA VITA DI UN COMUNISTA. E Macaluso finì in galera con la sua Lina

Emanuele Macaluso

di Concetto Vecchio
Arrestati nel 1944 perché lei era sposata, in realtà per colpire lui La storia emerge dalle carte ritrovate e pubblicate nella biografia
Caltanissetta, 18 febbraio 1944. Le dieci del mattino. Due poliziotti irrompono nella locanda Italia,salgono a precipizio le scale e bussano alla porta della stanza numero otto. «Che volete?» chiede il giovane che si presenta sull’uscio, lo studente Emanuele Macaluso, 19 anni. È lì in compagnia di una donna, Lina Di Maria, 22 anni. I poliziotti esigono i documenti. «Lei è sposata», fanno notare gli agenti alla ragazza. «Siete in arresto», annuncia ilmarescialloGiovanniVacirca.«Perché?» chiede Macaluso. «Per adulterio!».

Questa storia del suo arresto per adulterio, Emanuele Macaluso me l’aveva raccontata tante volte. Nei giorni di buonumore imitava con gusto Vacirca, in quelli di tedio se ne indignava, raccontandola per quella che era stata: una carognata,per vendicarsi del suo impegno di sindacalista comunista. La Dc aveva costretto il marito di Lina, un vigile urbano di vent’anni più anziano, che lei aveva sposato a tredici anni, e con cui aveva fatto due figli, a denunciarlo in questura. Lina ed Emanuele si frequentavano in gran segreto da due anni, dopo che si erano conosciuti ad una festa da ballo in casa della donna nel 1941. Macaluso vi era stato introdotto da un amico per svagarsi dopo i mesi trascorsi in sanatorio, ricoverato per una grave forma di tubercolosi. L’arrestoera facoltativo, la polizia procedette per sfregio. Lina ed Emanuele finirono nel carcere del Malaspina, dove rimasero reclusi nove giorni. «Colpevoli solo di amarci!», esplodeva Macaluso, nei giorni di malumore.

Macaluso purtroppo era già morto, quando lo scorso febbraio ho trovato le carte di quell’inchiesta all’Archivio diStatodiCaltanissetta:49documenti, stipati in un fascicolo pieno dipolvere,chesaltaronofuorigrazie alla meritoria tenacia del personale. Macaluso non le aveva. «Non ho mai tenuto nulla, perché un giorno Togliatti mi ammonì: "Chi scrive poiconserva"».Tuttoeranellasuatesta, di memoria prodigiosa, come sannoquellichelohannofrequentato.

Quegliattigiudiziarieranolospecchio morale del fascismo. Un’Italia maschilista in cui la moglie adultera era punita con la reclusione fino a un anno - e con la stessa pena veniva sanzionato in concorso anche il suo amante - mentre l’uomo veniva condannato soltanto per «concubinato stabile e notorio», ovvero nel caso convivesse sotto lo stesso tetto con l’amante. Una legge che sopravvisse alla fine del regime, e che ancora nel 1961 la Consulta giudicò perfettamente compatibile col principio costituzionale dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi. Ci volle il Sessantotto per abrogarla,finalmente.

Quelle carte quindi rivelavano un mondo. Dentro il fascicolo giudiziario spuntarono a sorpresa anche quattro lettere, tre scritte da Macaluso e una di Lina: le aveva intercettate il marito, insiemeauna foto con dedica che Lina intendeva regalare ad Emanuele, e che vennero prodotte come prove della tresca. Il pretore le mise agli atti come corpo del reato.

Dalle lettere, colme di strazio,meraviglia, poesia, quella storia ora emergeva perquellacheerastata: carne e sangue. Un amour fou che sembrava impossibile. Scriveva Lina: «Emanuele, mi devi scusare di tutto quello che è accaduto, sono una povera disgraziata, illusa dalle tue promesse, dai tuoi giuramenti, ma però pensocheun’altraLinanonpuoitrovarla, oppuretroverail’amorelostesso manontipotràdaretuttocomete l’ho datoio,che perte non ho saputo quello che ho fatto. Sono stata cieca completamente, non ho più avuto vergogna della gente, non ho avuto più paura di nessuno, non mi sono mai stancata di essere torturata dalla mattina alla sera e anche la notte nonmisono maicuratadimestessa, sono stata tutta nera, sono stata tutta dolore».

Le rispondeva Macaluso: «La mia vita mi diventa insopportabile, comincio a non credere più nel mio avvenire, vedo un buio pesto, e non so più trovare la strada, sento di essermi sperduto nella vita, tanti pensieri colpiscono violentemente il mio cervello, a volte vorrei tanto gridare aiuto: ma chi potrebbe soccorrermi? Nessuno! Oggi lasciandoti ho rivisto molti episodi del nostro passato, e una grande commozione ha invaso il mio cuore, e ho sentito bruciarmi gli occhi per le lacrime, ho sentito stringermi forte il cuore, e per tutto ilgiorno sonorimasto così».

Nell’autunno del 2019 avevo proposto a Macalusodi scrivere unabiografia sentimentale. «Sentimentale? »chiese.«Meno comunismoepiù Emanuele», dissi. «E allora va bene», rispose. Cominciammo a vederci assiduamente. Mi aspettava nella penombra del suo salottinoaTestaccio con lo sguardo rivolto alla finestra. «Ciao», gli dicevo. «Ciao», rispondeva e alzava la magra mano. «Come stai?» gli chiedevo. «Eh», faceva lui. Tiravofuori iltaccuinoinsilenzio, avvicinavo la poltrona, accendevo il registratore. «Iniziamo?» gli chiedevo. Macaluso annuiva. Avvertiva acutamente cheiltempoglistavasfuggendo di mano, c’era in lui una segreta impazienza, l’urgenza di stendere per l’ultima volta il resoconto della sua vita.

Macaluso era il grande libro del Novecento. L’antifascismo nella cellula clandestina di Luziu Boccadutri a Caltanissetta. L’epopea dell’occupazione delle terre, con Pio La Torre, accantoaicontadiniacuiavevainsegnato a non togliersi più il cappello dinanzi ai baroni. La Sicilia feroce delle zolfare, con i carusi costretti a una vita disumana. Quella volta che andò a Villalba con Girolamo Li Causi e il capomafia Calogero Vizzini gli fece sparare addosso. Il Pci che gli fece laguerraperlastoriaconLina.L’amicizia conLeonardoSciascia,Renato Guttuso, Sandro Pertini, Giorgio Napolitano. La collaborazione con Palmiro Togliatti ed Enrico Berlinguer. Una donna, delusa dal suo abbandono, si era uccisa per amore. NellungoSessantottosuofiglioPompeo sieraribellatoalpadre,venne arrestato dopo un comizio del movimento Servire il popolo e trascorse dei mesi all’Ucciardone. La figlia di una compagna era diventata terrorista proprio mentre il Pci di Macaluso sposavaleleggispeciali.Infinedivenne direttore dell’Unità. Fu lui a fare i titoli della prima pagina nel giorno dell’addio a Enrico Berlinguer.

Macaluso era stato dentro e fuori la chiesa comunista, aveva disubbidito, equestomipiacevainlui.Eppure, fino alla fine, era sempre stato coerente con i suoi ideali di ragazzo umanissimo. «La questione sociale! Il lavoro!» s’inalberava, «di cos’altro dovrebbe occuparsi la sinistra anche oggi?».

Emanuele e Lina uscirono dal carcere, si misero insieme, fecero due figli, Antonio e Pompeo. Quando finii di leggere tutte le carte e le missive delfascicolo giudiziariocapiichetutto era molto più complicato, ma anche più avvincente. La sua vicenda era stata così ricca di contraddizioni, cosìintessutadisfumaturepsicologiche, morali, sociali, che a un certo punto ho capito che si era trasposto nelromanzesco:Macalusoeradiventato un personaggio letterario. Le portai al figlio Antonio e rimanemmo in silenzio. C’erano stati gli onori del partito, certo, molta generale considerazione, una vita pubblica trapuntata di medaglie, ma erano in fondo povera cosa in confronto al fuoco che quelle lettere ingiallite rivelavano. Niente,m’illudevo, era stato all’altezza di quei sentimenti.

Il libro non racconta solo la vicenda dell’intellettuale del Pci, ma è una cavalcata nel Novecento italiano

La Repubblica, 28 aprile 2021

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