domenica, novembre 03, 2019

Enrico Rossi: «Pd di sinistra, non si vergogni. Tranquilli, l’Emilia non andrà a Salvini»

Enrico Rossi, presidente della
Regione Toscana
DANIELA PREZIOSI 
Il presidente della regione Toscana: «Bonaccini ha fatto bene. Simona Bonafè al mio posto sarebbe un bel segnale. Renzi rifletta, riempire i teatri non è riempire le urne»
Rossi: «Pd di sinistra, non si vergogni. L’Emilia non andrà a Salvini»
Enrico Rossi (presidente della Toscana), dopo il tonfo umbro, le prossime regionali saranno la prova del nove della sinistra, e forse anche del governo.
Innanzitutto l’Emilia Romagna. Ma anche la sua Toscana. Vincerete?
Ogni tornata elettorale è a sé. All’origine della sconfitta in Umbria, al di là degli errori politici, è il declino di quella regione. La crisi non inizia da oggi. Sarebbe stato utile lavorare per far crescere quella regione. Con questa lettura, che mi sembra l’unica possibile, credo che l’Emilia Romagna possa restare nelle mani della sinistra: Bonaccini ha lavorato bene, e non è una regione in crisi.


Pensa lo stesso della sua Toscana?
Sì, fra l’altro qui si registra una tenuta della sinistra anche dal punto di vista elettorale. In questi anni la Toscana ha tenuto, nonostante le situazioni di crisi sulla costa su cui siamo intervenuti con forza. L’ondata salviniana si può fermare.

Salvini si trasferisce nelle regioni al voto, e vince. I leader del centrosinistra dovrebbero fare altrettanto o è meglio stiano alla larga?
In queste due regioni se Salvini esagera ci darà una mano. Il governo deve fare la sua parte con investimenti, infrastrutture, politiche sociali. Devono venire, sì. Magari evitino le foto di gruppo che sviluppano un mare di polemiche e non sono neanche utili.

Meglio allearsi con i 5 stelle? Bersani dice che in Emilia hanno una grande responsabilità.
Ogni situazione è specifica. Per l’Emilia Romagna mi fido di quello che dice Bersani. Che è poi lo stesso che dice Bonaccini. In Toscana fra noi e loro ci sono molte differenze, il tema sarebbe metterci d’accordo sulle questioni dello sviluppo sostenibile, che non è cavalcare tutti i comitati e sposare la decrescita felice. Se non c’è produzione di ricchezza, certo cambiando modello di sviluppo, i ceti popolari impoveriti diventano facile preda della retorica leghista.

Lei è tornato nel Pd. Senza Renzi l’ha trovato migliorato?
Sono tornato dopo una campagna elettorale molto convinta per Leu. Il risultato dimostra che la gran parte della nostra gente o è uscita, e noi non l’abbiamo convinta, o resta nel Pd. Magari non soddisfatta ma resta.

Sostiene ancora che il Pd dovrebbe tornare al socialismo?
La cultura della sinistra non può essere cancellata. È singolare che i ragazzi cileni in piazza si rifacciano ad Allende e per noi il socialismo è innominabile. Il generico democraticismo non è più attuale.

Ma questo non spingerebbe nelle braccia di Renzi quelli che non vengono dal Pci-Pds-Ds?
Ma no, nel Pd ha prevalso per un lungo periodo una cultura moderata, io credo in un partito che non nasconda le sue origini di sinistra. Quanto a Renzi, il mio auspicio è che davvero riesca a coprire una posizione di centro.

Dovrebbe diventare una sorta di Mastella 4.0?
Sì, ma la vedo difficile. Renzi sta provando una scissione a rate, anche in Toscana. Ma non mi pare che abbia una grande spinta. Lo dico per esperienza: anche noi di Leu riempivamo i teatri, ma nelle urne è andata diversamente. Auguri. Ma con una raccomandazione: che combatta la sua natura di spaccare tutto.

Lunedì nascerà il gruppo renziano in Toscana. Al governo nazionale la start up di Italia viva ha creato fibrillazioni. Non è che finisce come l’Unione, cioè male?
Il rischio c’è. E c’è anche il rischio che lo faccia sempre di più perché, nonostante lo spazio sui media, i consensi non arrivano.

Tornare nel Pd è il destino anche di Bersani e Art.1?
Me lo auguro. Spero che una fase costituente e un congresso per tesi consenta a tutti di rientrare in un grande partito della sinistra. Senza infilarci in una ridotta, ho fatto Leu e so quanto è tragico quest’errore. Ma sono convinto che un Pd come partito della sinistra oggi avrebbe molto spazio. Un partito riformista e di governo. Essere di sinistra non significa non considerare le ragioni dei ceti produttivi, del mondo delle imprese.

Non sarebbe più lineare un congresso con l’elezione, o la rielezione se vuole, del segretario, visto un cambio di linea così forte dal congresso scorso?
Nicola è stato votato da poco. Ha dimostrato sapienza politica, saggezza, spirito unitario, doti che fanno il carisma di un segretario. I gazebo ci farebbero ricadere nella girandola dei personalismi.

In Toscana la legge non le consente una terza candidatura a presidente. Come sarà scelto il candidato del centrosinistra?
Per fortuna che c’è quella legge. Abbiamo bisogno di rivendicare una continuità di fondo. Un giorno vorrei fare il bilancio di questi nostri anni alla regione sull’ambiente, il paesaggio, i rifiuti. Se dovessi pensare a un segnale di cambiamento però direi che la Toscana non ha mai avuto una donna presidente. Contro la destra machista, sarebbe un bel segnale.

Sta pensando a Simona Bonafé, renziana nel Pd, eurodeputata?
Ce ne sono altre ma sì, potrebbe essere lei. Una donna competente, sono certo che sarebbe apprezzata.

Il Manifesto, 2 novembre 2019

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