giovedì, novembre 21, 2019

La Croce delle donne di Benin City come segno di salvezza per le ragazze nigeriane vittime di tratta

L'associazione "Donne di Benin City"
L’associazione "Donne di Benin City" inaugura la casa di accoglienza "Iyobosa" (Dio Aiuta), alla presenza dell'arcivescovo di Monreale Michele Pennisi, che la benedirà. L'iniziativa si terrà giorno domenica 24 novembre, alle 16,00 a San Giuseppe Jato, in via Porta Palermo 178, piano terra.
di NINO ROCCA
Alcune donne nigeriane, giovani mamme, ex vittime di tratta, che avevo conosciute al Pellegrino della terra, una associazione gestita da un pastore nigeriano metodista con l’aiuto dei valdesi a Palermo, mi chiesero aiuto! A causa del turnover con cui assistevano le donne nigeriane vittime di tratta, le suddette donne erano rimaste fuori dall’organizzazione pur avendo maturato tanta esperienza nei confronti delle giovani vittime nigeriane che passavano dallo sportello del Pellegrino della terra. Tra queste una di loro primeggiava per le eccezionali capacità relazionali e per la forte spinta morale che la portava ad interessarsi delle ragazzine nigeriane che sempre più numerose affollavano la favorita e nella notte le strade di Palermo che erano state assegnate a loro dall’organizzazione che gestiva il mestiere più antico del mondo.

“Nino dobbiamo fare qualcosa per togliere dalla strada queste ragazzine costrette a prostituirsi! “ Non mi sottrassi al grido di aiuto che mi veniva da donne che avevano sofferto le stesse umiliazioni e che con rabbia e forte volontà sapevano che potevano strappare dalla strada le loro sorelle, la maggior parte delle quali provenienti, come loro,  dalla città di Benin City capitale dello Stato di Edo, uno degli Stati confederati della Nigeria.
 Nel 2016, secondo i dati dell’OIM a Palermo sono arrivati 11.000 profughi per lo più nigeriane minorenni avviate, poi, alla prostituzione. Ballarò era diventato il quartiere generale della mafia nigeriana la Black Axe che gestiva sia la prostituzione che  il traffico di stupefacenti con il bene stare del capo della mafia locale. La prostituzione avveniva e ancora avviene, non solo per strada, ma anche nelle connection house, nelle case chiuse frequentate, soprattutto all’inizio, soltanto da gente di colore e poi aperte anche ai bianchi e ai locali.
La rete dell’organizzazione si cominciò a estendere non solo a Ballarò ma anche nelle strade limitrofe …
Le donne non si scoraggiano ma, animate da buona volontà, costituiscono l’associazione “donne di Benin City” e ben presto aprono uno sportello al Montevergini.
Non hanno bisogno di andare per strada a cercare le ragazze ma è sufficiente che si inoltrino nelle strade di Ballarò per incontrarne quante ne vogliono.
Ben presto allo sportello, tramite il volantino divulgato nella loro lingua e  nell’inglese pig e il numero di telefono a questo scopo dedicato, vengono numerose.
Le vedi venire allo sportello in gruppo e si sentono a casa loro accolte dalle donne di Benin City con le quali parlano nella loro lingua e con facilità espongono speranzose il loro dramma. Esse sanno che le donne hanno vissuto il loro stesso dramma e di esse si possono fidare.
Le donne, dalle ragazze sono chiamate mamme, nel loro uso africano, in cui la mamma è una donna che va rispettata perché ha un suo importante ruolo sociale. Le ragazze smarrite e sofferenti, capiscono di trovarsi nel luogo giusto per riprendere il loro cammino interrotto da orrori, violenze, e umiliazioni di cui loro stesse sono state vittime!
Osas, la presidentessa dell’associazione, mamma di due bambini, è materna e rassicurante, con loro. Le ragazze si sfogano, vogliono uscire dalla strada o dalle connection house ma hanno paura del voodoo a cui sono state sottoposte e delle rappresaglie della maman contro di loro e contro la loro famiglia in Nigeria.  E’ Osas e le altre donne che danno loro sostegno e noi uomini e donne italiani facciamo da supporto, creiamo una rete di sostegno mettendo in campo tutte le strutture a cui siamo collegati.
La questura fa la sua parte mettendosi in opera a seguito delle denunce delle ragazze, accompagnate da Osas, le strutture convenzionate accolgono le ragazze dando loro ospitalità.
Il punto di forza sono comunque loro, le donne di Benin City !
Ho ascoltato diversi racconti delle ragazze arrivate con i barconi a Lampedusa, dopo avere attraversato il mediterraneo e dopo aver subito violenze e soprusi di ogni genere nei lager della Libia. Una di loro, nonostante il sostegno psicologico di Osas, ci mise più di un mese prima di raccontare la terribile esperienza del suo viaggio dalla Nigeria, attraverso il Niger, il deserto, la Libia, e il terrore di morire nelle profonde acque del mediterraneo.
Voleva dimenticare, si rifiutava di raccontare ciò che avrebbe voluto rimuovere per sempre.
L’aiuto e la vicinanza di Osas la convinsero e le diedero il coraggio di raccontare gli orrori che si portava dentro, gli orribili fantasmi della violenza subita tante volte, la morte vista in faccia quando attraversò a piedi , assieme ad altre compagne il deserto, dove vide morire alcune sue compagne di viaggio,  e poi ancora nei lager e nella orribile attraversata di notte dell’immenso mare con un gommone mezzo sgonfio, la morte che spesso ha invocato quando è stata più volte brutalmente violentata, l’umiliazione di prostituirsi per strada in Italia, costretta a vendere il suo corpo ai clienti, e ancora il terrore delle conseguenze del voodoo a cui era stata sottoposta prima di partire, le botte della maman quando ritornava a casa dopo una notte in strada con pochi soldi, la sua dignità di donna calpestata per venti euro, la sua identità smantellata, i suoi sogni da ragazza frantumati…
Più di 60 ragazze sono state accolte dallo sportello negli ultimi due anni e le terribili storie da loro raccontate sono la fiera dell’orrore a cui sono state sottoposte spesso ancora minorenni…
Osas e le altre donne hanno saputo accoglierle e piangere con loro e al tempo stesso hanno offerto loro la speranza, di cui loro stesse sono la testimonianza vivente che si può voltare pagina e che la loro sofferenza le ha rese più sensibili al dolore delle altre ragazze e che una vita diversa è possibile!
Ma lo sportello non è più sufficiente, adesso è arrivato il momento di aprire per loro una casa di accoglienza, da loro chiamata Yobosa, Dio aiuta, gestita dalle stesse donne nigeriane, una casa all’africana, una di quelle case in cui le mamme accudiscono alla casa assieme alle loro ragazze e nella quali ritrovano lo spirito autentico della familiarità delle loro dimore di origine. Una casa nella quale si parla la loro lingua e nella quale possano ritrovare la loro autentica identità, con i valori e le simbologie della loro cultura, una casa nella quale loro stesse possano cucinare le loro pietanze e gustare gli odori e i sapori a loro familiari.
Questa casa, che si trova a San Giuseppe Jato, è stata offerta in comodato d’uso da una generosa professoressa, per le ragazze nigeriane perché possa servire come trampolino di lancio per cominciare una nuova vita. In questa casa che si aprirà a novembre, le ragazze, accompagnate dalle loro mamme, dovrebbero programmare il loro futuro sostenute dalle donne di Benin City e da una rete sociale di sostegno a livello locale e a livello nazionale.
L’associazione donne di Benin City è, infatti sostenuta dal vescovo di Monreale Mons. Pennisi e da una rete di ong, tra cui “differenza donna” che si occupa di sostenere, a livello nazionale, le donne vittime di violenza, comprese le donne vittime di tratta.
Le sofferenze, le umiliazioni di Osas e delle donne di Benin City sono diventate la Croce che esse portano, nel loro cuore, come segno di salvezza per tante ragazze che adesso hanno bisogno del loro coraggio e della loro forza!

Nessun commento: