domenica, maggio 15, 2022

IL LIBRO. Il frate archeologo che raccontò la Sicilia del ’500


di SERGIO TROISI

Il domenicano Tommaso Fazello compì il periplo dell’Isola per tracciarne la topografia. Un saggio fa riemergere i suoi studi

Bisognerebbe immaginarlo in viaggio, il domenicano Tommaso Fazello, incamminato per le strade non certo agevoli della Sicilia del tempo, impegnato a studiare i resti allora visibili delle architetture antiche e a interrogare la morfologia del territorio dell’Isola, pronto a riscontrare quanto aveva letto e riletto nelle fonti, Tucidide, Polibio o Diodoro Siculo. Figura fondamentale per la storiografia siciliana, Fazello ( Sciacca, 1498 — Palermo, 1570) raramente si era allontanato dalla Sicilia, e quasi esclusivamente per soggiorni romani; ma la sua partecipazione alla cultura del rinascimento italiano e alla riscoperta del mondo classico era alimentata dai contatti epistolari che l’ordine rendeva possibile, e alle ricche biblioteche domenicane dei maggiori conventi siciliani. Da questa passione erudita scaturì uno dei testi più importanti per l’intera storia della archeologia isolana, “De Rebus Siculis decades duae”, pubblicato la prima volta a Palermo nel 1558 con dedica all’imperatore Carlo V (il “ signor Carlo d’Aragona”, recita il frontespizio) e poi trasposto in lingua italiana da un altro domenicano, Remigio Fiorentino e stampato nel 1574 nella città allora all’avanguardia per l’industria tipografica, Venezia. 

A Fazello e alla sua opera principale ha dedicato ora un libro Ferdinando Maurici, attuale soprintendente del mare e archeologo anch’egli, “La Sicilia archeologica di Tommaso Fazello” ( Kalòs, pagine 130, euro 20, con numerose fotografie e stampe d’epoca), in cui ripercorre alla luce delle successive verifiche storiche le principali traiettorie di ricerca del domenicano. 

Come recita il titolo, “De Rebus Siculis decades duae” è organizzato in due parti, o decadi. La seconda è dedicata alla storia della Sicilia, alterna le rievocazioni fantastiche proprie del suo tempo — l’isola anticamente abitata da un popolo di giganti — a specifiche puntualizzazioni delle vicende storiche. La prima Decade, dedicata alla topografia dell’Isola, è invece la sezione più importante del libro. Fazello compie il periplo della Sicilia, iniziando dal Capo Peloro e quindi da Messina, proseguendo lungo la costa meridionale e infine quella settentrionale, trattando poi le zone interne secondo la consueta divisione di tradizione islamica in Val Demone, Val di Mazara e Val di Noto; è armato di una ampia conoscenza delle fontiantiche e medievali, di una intelligenza vivida e di una formidabile capacità di analisi e di osservazione che gli permettono di cercare riscontri ai testi (le fonti, si sa, è necessario saperle leggere e interpretare), confermando o meno le indicazioni note o, in alcuni casi correggendole così da individuare i siti delle città antiche anche se, altre volte, inevitabilmente si sbaglia, perpetrando gli errori del suo tempo). 

L’esempio più noto riguarda Selinunte, di cui Fazello fornisce la localizzazione esatta rispetto alla tradizione degli storici locali che la identificavano in continuità topografica con la città di Mazara. Il domenicano infatti — è una delle ragioni che rendono il suo testo di importanza tuttora fondamentale — compara la descrizione dello stato presente dei luoghi con le tracce degli antichi insediamenti, deplorando l’incuria degli uomini nei confronti del loro passato ( un tratto che ne rivela una volta di più la modernità di pensiero) e lamentando, ad esempio per Palermo, la dismissione delle mura interne e lo spianamento di quella era stata l’Aula verde della reggia di Ruggero. 

Si devono così a Fazello i primi passi di una archeologia medievale che avrebbe impiegato molto tempo prima di affermarsi, e non a caso lo studioso Maurici ha organizzato il suo libro in capitoli che, dal tempo mitico dei giganti e dei troiani, trascorrono quindi alla Sicilia greca, a quella romana e infine a quella medievale, facendosi strada tra toponimi e stratificazioni che ingarbugliavano la storia siciliana e che “ De Rebus Siculis...” provvede, almeno in parte, per la prima volta a dipanare. 

La Repubblica Palermo, 15/5/2022

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