domenica, agosto 11, 2019

Intervista al Manifesto di Emanuele Macaluso: «Una destra pericolosa, nessuno ora indebolisca il centrosinistra»


DANIELA PREZIOSI
Per orientarsi nella crisi di governo di questi giorni non si può trovare una traccia in una delle altre della storia repubblicana. Questo spiega Emanuele Macaluso, che pure di crisi di governo ne ha viste e vissute tante: da dirigente comunista, da sindacale, da direttore dell’Unità. A marzo ha festeggiato - anche qui sul manifesto - i suoi 95 anni. Ma, «una crisi così prima non poteva succedere», ragiona. E il motivo è semplice: prima «c’erano i partiti, le personalità politiche».
Di Maio, Conte e Salvini. Ecco le personalità di questi tempi. Che opinione ne hai?

Di Maio sembra uno che ha vinto la lotteria: vicepresidente del consiglio e due ministeri. E crede di sapere i numeri. Diciamo le cose come stanno: è un ignorantello, non ha cultura, né generale né politica, non ha storia, non esiste al mondo una persona che passa da quello che ha fatto, cioè niente, a vicepresidente del consiglio. Già questo dice cosa è stato questo governo. Non ha mai letto un libro, non so neanche se prima leggeva i giornali.
Inadeguato.
Diciamo le cose come stanno: sono stati loro. È stato Di Maio a costruire le fortune di Salvini. Che è arrivato al 36 per cento grazie a Di Maio. E a Conte. Gli hanno fatto fare quello che voleva. Gli hanno approvato tutte le leggi. Il cosiddetto ministro dei trasporti (Toninelli, ndr) gli ha chiuso i porti. Il presidente del consiglio, che costituzionalmente è il responsabile della politica del governo, non ha detto mai una parola su questo. Come se non ci fosse. Ha consentito che Salvini non facesse il ministro: non andava al Viminale, cambiava casacche, un giorno poliziotto, poi pompiere, poi finanziere. E Conte muto. Salvini è stato costruito dall’impotenza, dall’incapacità, dalla miseria politica dei grillini. Solo oggi che Salvini li messi fuori se ne sono accorti.
Conte in queste ore rivendica il suo ruolo. I 5 stelle sono emendabili, redimibili?
Conte si è accorto di essere presidente del consiglio da poco. Sono emendabili? Bisogna vedere come andrà il voto. Se diventano un partito marginale forse si innescherà un processo politico. Il Pd, con altre forze di centrosinistra - +Europa, Leu, altre - tutti insieme potrebbero superare il 30 per cento. A quel punto il sistema tornerà ad essere destra, estrema, contro centrosinistra. Anche con quelli che oggi pensano che ci voglia un partito centrista: ma un partito non si inventa a tavolino, o c’è o non c’è.
In quel caso c’è qualcosa da recuperare nei 5 stelle?
C’è una destra estrema molto pericolosa. Il problema centrale è la battaglia per la democrazia e le libertà, perché oggi questo è in discussione. E la questione sociale si è innervata con quella della libertà e della democrazia. Dunque i 5 stelle sono emendabili? Non lo so, se saranno un partito minore, se sparisce Di Maio e torna a fare quello che faceva - cioè niente -, se si sganciano da Rousseau e dalla dipendenza da Casaleggio. Forse la sconfitta può innescare processi che ora non possiamo rivedere.
Dicevi che la destra nazionalista è pericolosa. Questa legislatura ci lascia istituzioni indebolite, come ha detto Rino Formica a questo giornale?
In questa legislatura il parlamento non ha contato niente, tranne che per fare le leggi che servivano a Salvini. L’occupazione dell’informazione pubblica è sfacciata, basta guardare il Tg2. Ci sono le minacce ai giornalisti. Davanti al cronista di Repubblica (Lo Muzio, che ha ripreso il figlio di Salvini su una moto d’acqua della polizia, ndr) Salvini poteva chiedere scusa. E invece no, ha voluto dare un segnale: per i giornalisti che non sono servi c’è il disprezzo, il tentativo di ammutolirli. Questi miserabili dei grillini hanno tentato di uccidere Radio Radicale, il manifesto, l’Avvenire, i giornali locali. Quello che è avvenuto in questa legislatura è la premessa a possibili sviluppi peggiori.
Ora Salvini chiede agli elettori: «Datemi pieni poteri». Cosa vuol dire questa frase?
Ecco, l’altro problema, che per me è il principale del sistema democratico italiano, è un pauroso abbassamento della cultura politica di massa. Un bracciante siciliano dei miei tempi aveva più cultura politica di quanta ne abbia Conte o Di Maio. La tanto criticata educazione politica dei vecchi partiti non erano le Frattocchie, era il rapporto con le masse popolari, che ora si chiama ‘il territorio’. C’erano i giornali delle forze politiche, le riviste, le sezioni, si parlava con le persone. Tutto questo è finito, non da oggi, da trent’anni. Oggi i politici parlano alla pancia perché alla testa non parla nessuno. Oggi non si conosce e non si riflette su cosa succede nel resto mondo.
Sulla «situazione internazionale», come si diceva ai tempi del Pci?
Perché si sapeva che c’era un rapporto con la realtà che vivevi. Ecco, un’altra istituzione in pericolo è in Europa. Non so se Salvini pensa all’uscita dell’Italia dall’Unione, ma ha già annunciato che la conflittualità antieuropea sarà durissima. Ho letto sul Corriere l’intervista a Bannon. Rivela i rapporti con l’estrema destra americana e con Putin. Tutte forze antieuropee.
Salvini è eterodiretto?
Non dico questo, ma ha un’ispirazione politica nelle forze di estrema destra in America. E con Putin, che vuole fottere l’Europa.
Tu sei amico di un presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, considerato molto interventista. L’attuale presidente Mattarella ha un altro stile. Ma credi che ci sia bisogno di una sua azione più esplicita?
Conosco bene Mattarella. È un democratico, uno su cui il paese può fare affidamento. Forse non è riuscito ad avere uno staff all’altezza. E in una situazione del genere, glielo dico con grande amicizia, il presidente della Repubblica deve usare le sue competenze costituzionali fino in fondo. Se è vero quello che penso sui pericoli che corre il paese, certo al presiedente si pongono problemi seri e nuovi. La garanzia di alcune istituzioni, compreso ruolo del parlamento, si porrà in maniera più acuta. Ma ho fiducia che lui possa affrontare questi temi con energia. Non è un pavido, nel 1990 non esitò a dimettersi da ministro (contro la legge Mammì, ndr).
E siamo arrivati al Pd.
Ma la storia comincia con il Pds e i Ds. L’obiettivo del governo era un problema importante per gli eredi di un partito, il Pci, che era stato sempre fuori dal governo, tranne che subito dopo la Liberazione e poi con Moro, nell’area di governo. Ma non poteva essere l’unico obiettivo: quei dirigenti non hanno più posto attenzione ai processi sociali, culturali e sociali. Altrimenti non si spiega che sia avanzata questa destra, anche nel Mezzogiorno dove la Lega tifava per l’Etna e il Vesuvio. È avvenuto un processo in cui le generazioni che c’erano e quelle che sono venute dopo hanno perso le fondamenta di una forza democratica di sinistra. È stata spazzata via la presenza nel territorio, il rapporto personale, nei quartieri, nelle fabbriche, nella scuola. Oggi c’è la rete, ma non basta. Obama faceva comizi, anche piccoli. Così Sanders e i democratici. Comizi in camicia come li facevamo noi negli anni 50 e 60. Salvini l’ha capito, infatti è l’unico che fa ancora comizi.
Il segretario Zingaretti intanto fa appello all’unità del partito. Renzi riuscirà ad accettarlo?
 Lo spero. Con lui non ho mai parlato. Non nego che abbia delle qualità. Ma da come interviene si capisce che non ha esaminato autocriticamente le ragioni della sua caduta. Continua a dare le responsabilità agli altri, non vede il suo eccessivo personalismo. Da questo punto di vista non ha riflettuto. Invece dovrebbe. Potrebbe avere un avvenire politico, ma dentro una forza politica. Così si faceva nella Dc, visto che viene da lì. I ‘cavalli di razza’ si alternavano, Moro, Fanfani, De Mita. Fra loro c’è stata competizione, a momenti anche molto dura, ma avevano capito che se si spaccavano finivano. Dopo il ’ 68 Moro, che era stato presidente del consiglio, fu messo fuori dai dorotei; lui fece una corrente e al congresso prese il 7 per cento. Poi però diventò presidente del consiglio e capo del partito fino a quando fu rapito e ucciso. Questa è la dialettica. Non so se l’ha capito Renzi: se spacca, darà certo un colpo al Pd ma anche lui conterà niente. Se ne è capace, deve reggere una dialettica: competa, il futuro non lo sa nessuno.
Zingaretti ha i numeri per questa fase così delicata?
Oggi in tutto il mondo politico non c’è più il meglio: i grandi partiti, i Togliatti, i De Gasperi, i Moro e i Nenni. Siamo in piena crisi della politica, altrimenti non avremmo i Di Maio e i Salvini. E la sinistra vive in questa crisi. Quindi bisogna stare attenti a quello che c’è, valutare quello che è possibile. Zingaretti è il meno peggio che oggi il Pd possa esprimere. Ha equilibro, sensibilità, un minimo di cultura politica, ha fatto il parlamentare europeo, ha fatto bene presidente di regione. Io non sono iscritto al Pd, ho scritto un libro che si intitola «Al capolinea» e per me il Pd soffre il modo com’è nato. Ma siccome ora non c’è altro - ripeto: non c’è altro - dico a tutti che demolirlo significa rafforzare la destra. Quindi bisogna semmai dare argomenti, suggerire temi, mettere in campo questioni, anche fuori dal partito. E bisogna avere la capacità di cogliere quello che di positivo c’è fuori dal partito. Avere molta attenzione a l mondo sindacale: il Pd, e non solo Renzi, ha la responsabilità di non averlo capito. E in Italia la questione sociale si intreccia alla questione dell’immigrazione. Perché la questione sociale resta sempre essenziale per una forza di sinistra.
Il Manifesto, 10 agosto 2019

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