domenica, agosto 11, 2019

Se i vescovi armassero una nave per soccorrere i migranti


di Rosario Giuè*
La Conferenza episcopale italiana finora si è limitata ad accogliere, più volte, alcune decine di migranti nelle proprie strutture, per esempio a Rocca di Papa. I vescovi siciliani hanno dato un contributo negli stessi termini.
Tutto ciò è importante ma rimane nel campo dell’assistenza. Certo, così agendo, i vescovi hanno esercitato la diaconia dell’accoglienza. Hanno messo al primo posto, nell’immediato, il bene delle persone in difficoltà, già salvate dal naufragio grazie all’intervento di imbarcazioni delle organizzazioni non governative italiane o straniere, viste come demoni dal governo attuale.
Ma sul piano politico, di fatto, i vescovi così agendo hanno in qualche modo tolto le castagne dal fuoco al governo, in particolare al ministro dell’Interno leghista Salvini sotto i riflettori critici dell’opinione pubblica europea. Al ministro Salvini fa comodo che qualcuno acceleri l’accoglienza e non lo faccia apparire “cattivo” per molto tempo. Così agendo i vescovi, senza volerlo, hanno assecondato la sua politica “rigorista”: un programma sull’immigrazione infarcito di menzogne sul presunto traffico di esseri umani ad opera di scafisti alleati delle Ong. Alleanza che tre procure non hanno potuto accertare nonostante accurate indagini. Salvini è quel ministro che si è detto felice che l’approvazione del decreto sicurezza bis «cada il 5 agosto, che per chi è stato a Medjugorje rappresenta il compleanno della Vergine Maria». Com’è bravo questo ministro ad agitare madonne, rosari e crocifissi come arma di menzogna politica per catturare l’anima dei cattolici più semplici! Ora è stato approvato il decreto sicurezza bis che è ampiamente incostituzionale, più del primo. Esso viola in più punti la nostra Carte costituzionale. Ma solo don Luigi Ciotti, in ambito cattolico e a livello nazionale, ha elevato pubblicamente la voce appellandosi alla coscienza dei senatori a non votare quelle norme. La Cei e la Cesi sono rimaste in silenzio. Allora sorge spontanea una domanda: può la Conferenza episcopale, come espressione massima della Chiesa italiana, può la Cesi come espressione della Chiesa siciliana, limitarsi a fare assistenza, senza uno sguardo politico, senza parole e gesti profetico-politici su ciò che sta avvenendo e avverrà ancora vicino alle coste siciliane?
Mi permetto di indicare una proposta semplice: perché non “armare” un’imbarcazione alle proprie dipendenze, con propri fondi (non dell’8 per mille legato ai privilegi del Concordato) per esercitare in mare il dovere evangelico di solidarietà, sotto le insegne dei vescovi? Sarebbe un gesto di disobbedienza civile e un parlare evangelico. Così si metterebbe a nudo, pubblicamente e non nelle sagrestie, la disumanità e l’intollerabilità delle sanzioni previste dal decreto: sanzioni sproporzionate, oltre che assurde, previste nei confronti di chi compie atti doverosi come il soccorso in mare. Esponenti dell’episcopato nazionale e siciliano hanno plaudito alla comandante Carola Rackete per il coraggio mostrato. Ma lodare Carola non basta. Riceverla, casomai, per benedirla non basterà. Occorre che la Conferenza episcopale italiana o siciliana, e la Chiesa che rappresenta, ora faccia qualcosa che vada oltre l’assistenza, qualcosa di simile a ciò che ha saputo essere e fare quella piccola donna. Carola, certo, non ha compiuto solo un gesto di assistenza e di solidarietà, ma un atto politico. Il Vangelo non è scegliere da che parte stare?
* sacerdote
La Repubblica Palermo, 10 agosto 2019

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