mercoledì, agosto 07, 2019

I silenzi di Salvini sulla Russia: le domande che il potere non tollera

Marco Damilano
di Marco Damilano*
Nel 1989 pensavamo che l’Europa fosse il nostro avvenire. Oggi pensiamo di essere noi l’avvenire dell’Europa», ha rivendicato il premier ungherese Viktor Orbán, citato da Jacques Rupnik in Senza il muro (Donzelli). Trent’anni fa si immaginava in Europa e in Occidente che la liberal-democrazia fosse il destino dei Paesi dell’Est usciti dal muro.
Oggi, invece, l’ha detto Vladimir Putin, avanza chi vorrebbe la democrazia senza liberalismo, senza il contrappeso del Parlamento e dell’opposizione, con le istituzioni di controllo esistenti nella forma ma asservite nei fatti: la magistratura indipendente, la stampa libera. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella il 25 luglio, ricevendo i giornalisti al Quirinale, ha ricordato la sentenza del giudice Hugo Black della Corte Suprema Usa del 1971: «La stampa è fatta per servire i governati, non i governanti. La stampa è protetta affinché possa mettere allo scoperto i segreti del Governo e informare il popolo».

Oggi, però, quei principi sono sotto attacco. I sovranisti in maggioranza in alcuni Paesi europei e in Italia predicano l’identità assoluta tra governo e popolo. Il governo deriva dal popolo, non può essere controllato né giudicato. E chi esprime una critica va trattato così: come un nemico del popolo.
Il ministro Matteo Salvini sfugge al Parlamento, sogna un Paese che assomigli ai suoi ossessivi monologhi sui social e sguinzaglia il branco dei cacciatori in rete contro i (pochi) giornali non ancora sdraiati sulla spiaggia del Papeete. I nostri, soprattutto, allergici al conformismo di qualunque colore, per dna e per storia. Repubblica con il videomaker Valerio Lo Muzio, insultato dal ministro per avere documentato il figlio a bordo della moto d’acqua della Polizia. E L’Espresso , sotto tiro per l’inchiesta di Giovanni Tizian e Stefano Vergine sulle trattative d’affari tra la Lega e la Russia.
Dopo la nostra pubblicazione, il 24 febbraio, la procura di Milano ha aperto un’inchiesta per corruzione internazionale e indaga su Gianluca Savoini, l’uomo chiave, intimo di Salvini.
Il sito americano BuzzFeed ha pubblicato l’11 luglio l’audio dell’incontro all’hotel Metropol che confermava quanto scritto cinque mesi prima. Il premier Giuseppe Conte ha ammesso di fronte al Senato (24 luglio) che il suo ministro dell’Interno ha mentito sulla presenza di Savoini nelle delegazioni ufficiali. Di fronte a tutto questo chi fa il nostro mestiere ha il dovere di rilanciare. Salvini era informato della trattativa di Savoini al Metropol di Mosca con i russi il 18 ottobre 2018? Cosa ha fatto Salvini la sera prima nella capitale russa, dopo aver parlato per soli dodici minuti in pubblico nel pomeriggio all’incontro di Confindustria Russia? Si è incontrato con il vice-premier con delega all’Energia Dmitry Kozak? Perché l’incontro non figura nell’agenda del ministro? E soprattutto: che grado di autonomia da una potenza straniera ha l’Italia governata dai sovranisti? Nessuna risposta, solo qualche battuta infastidita, il coraggiosissimo Capitano scappa. E nessuna smentita, nessuna querela. Negli ultimi giorni, invece, alcuni squadristi di Salvini a mezzo stampa hanno provato a imbastire una inchiesta sull’inchiesta. Reclamano di sapere come mai non abbiamo pubblicato l’audio dell’incontro al Metropol, poi consegnato alla procura di Milano, quali sono le nostre fonti e i nostri metodi. Eppure dovrebbero sapere bene che la riservatezza di una fonte per un giornalista è sacra, tutelata in sede legale, e che le altre sono decisioni editoriali.
Nessun segreto sulla mancata pubblicazione dell’audio: lo abbiamo usato per confermare gli elementi che ci servivano, considerandolo uno strumento importante che non esaurisce un’inchiesta molto più vasta e complessa. Ogni documento, anche un audio ai tempi della Rete, non è il punto di arrivo, è il punto di partenza di una inchiesta giornalistica, che richiede verifiche, analisi, contesto, racconto. E capacità di reggere l’assalto di un potere che non si limita a mentire o a non rispondere alle domande, come in passato, ma vuole delegittimare, isolare, infangare chi le fa.
Un atteggiamento che dice molto degli obiettivi dei neo-governanti. «La tranquilla superficie della menzogna», come la chiamava Vaclav Havel, il dissidente cecoslovacco diventato presidente dopo il 1989: «Per sua natura la vita tende al pluralismo, alla varietà, a realizzare la propria libertà, il sistema invece esige monolitismo, uniformità, disciplina». Cancellare la possibilità di esistere di quello strumento parziale, fallibile, mite, ma molto determinato, chiamato giornalismo. Che non può terminare mai la sua ricerca, per tutti i cittadini, la tensione continua della democrazia.
*Marco Damilano è il direttore dell’Espresso
La Repubblica, 5 agosto 2019

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