domenica, agosto 18, 2019

Emanuele Macaluso all'Huffpost: "Compagni, non abbiate paura del popolo"

Emanuele Macaluso

Intervista allo storico esponente della sinistra, che a 95 anni invita i dem alla battaglia senza accordi con M5S: "Il Pd è malato di governismo, non si ferma questa destra con una manovra di palazzo... ma chi l'ha detto che l'Italia sceglierà Salvini?"
·       Novantacinque primavere di lucidità e coraggio. Eccolo Emanuele Macaluso, grande vecchio della sinistra, anzi diciamoci la verità, il più giovane di tutti, per energia, lucidità, passione politica. Eccolo, nel corso di questa lunga conversazione, pronunciare più volte la parola “battaglia politica”, “popolo”, invitando la sinistra ad “avere coraggio e non paura del voto”. Lui che nella lotta, in anni duri e novecenteschi, si è formato: la Sicilia dei braccianti, il Migliore che lo chiamò a Roma, la Guerra Fredda, la direzione dell’Unità ai tempi di Enrico Berlinguer, una vita assieme a Giorgio Napolitano nella corrente migliorista. Insomma, un comunista italiano che di quella lezione ricorda l’essenziale: “La manovra politica e parlamentare non può prevalere o essere un surrogato del consenso. Lasciamo stare Togliatti e quella tradizione. Il Pci era per il consenso, da conquistare attraverso la battaglia nella società, e per la manovra”. 

È quello che sta accadendo oggi. Un pezzo di Pd vuole l’accordo con i Cinque Stelle. Soprattutto quelli che vengono dalla sua tradizione, da Bettini a D’Alema. Come se lo spiega?
La grande tradizione del realismo comunista non c’entra. La verità è che questo gruppo, che è stato attorno ad Achille Occhetto ai tempi della svolta, ha ritenuto che portare quella storia al Governo era un grande successo. Non ne faccio una questione di moralismo: un partito deve tendere a governare un paese, altrimenti non è un partito. Insomma, è giusto, ma se questo obiettivo diventa il tutto, e finisce come è finito in questi anni ogni rapporto con la società, diventa un errore. E questo dimostra che anche il Pd sta dentro la crisi, ammalato di governismo. È incapace di concepire se stesso fuori dal Governo. 
Anticipo l’obiezione: se si vota, Salvini prende tutto: Governo, Quirinale, Corte Costituzionale.
E l’alternativa sarebbe fargli prendere di più tra qualche mese, dopo una devastante campagna contro quelli che “hanno paura del popolo”, “il Governo degli sconfitti”, “i perdenti attaccati alle poltrone”?
Dice Bettini, e non solo lui: non dura qualche mese, ma va fatto un patto politico di legislatura.
Amico mio, qui non stiamo mica al Consiglio comunale di Roma. Hai mai sentito che, quando nasce un Governo, si dice che “nasce per tre mesi”? Tutti dicono che durerà una legislatura. Poi arrivano le pene quotidiane. Ricordo che Di Maio e Salvini, dieci giorni fa, dicevano “dureremo quattro anni”. Dopo tre giorni c’era la crisi di Governo…
Cosa la colpisce di più di questa discussione?
La sua povertà culturale. Manca l’analisi di fondo della crisi italiana, per come si sta manifestando. La crisi di Governo è solo un pezzo di una crisi più ampia della politica. Basta guardare il personale: Conte sarà anche civile e perbene, ma ha rivelato la sua inadeguatezza in questo anno, in cui di fatto è stato governato dal suo addetto stampa. Come si chiama lo spogliarellista?
Si riferisce a Casalino? Non è proprio uno spogliarellista...
Vabbé, stava mezzo nudo in televisione, comunque ci siamo capiti. Si è vista l’assenza di esperienza, formazione, cultura politica. Ma domando: il presidente del Consiglio si è accorto solo l’altro giorno con la Open Arms che Salvini ha imposto una linea oltranzista su navi e porti? Per un anno non ha detto una parola su questa regressione politica e civile. Anzi, diciamoci la verità fino in fondo.
Prego.
In questo anno Lega e Cinque stelle hanno approvato leggi infami come quelle sulla sicurezza. E insieme hanno creato un clima in cui sono cresciute paura e razzismo ed è stata creata tolleranza e spesso complicità su episodi che richiamano il fascismo. In questo contesto, tra i due tronconi populisti è prevalso quello leghista di Salvini che ha eroso l’altro troncone che si è rivelato, con Di Maio e Conte, una forza ausiliaria senza storia e identità, non proprio un argine democratico. Questo è il punto di fondo: adesso che tutti dicono parole in libertà sull’alleanza con i Cinque stelle. Il presidente del Consiglio non ha detto una parola e di Maio andava in tv a dire “bene, evviva”.
Torniamo al ragionamento sulla crisi della politica.
Anche Salvini, che ha costruito un’egemonia populista grazie all’esperienza di Governo, è figlio di questa crisi della politica. Ricordi quando il suo partito nordista diceva che il problema della Sicilia era l’Etna che doveva spazzarla via e quello della Campania il Vesuvio? O l’antimeridionalismo più vergognoso? Ora è diventato sovranista, nazionalista, insomma il rovescio, col consenso di una parte importante dell’elettorato. Questo che cosa significa?
È il populismo, che nasce dalla crisi dei partiti. E che anzi esprime, una profonda rivolta verso i partiti tradizionali, dopo gli anni della grande crisi.
Esattamente. E qui sta anche la responsabilità della sinistra. Anziché guardare a cosa avveniva nella società, quali problemi maturavano nel profondo, quali rabbie, quali aspettative, ha teso ad andare al Governo attraverso manovre politiche e parlamentari, come ha scritto oggi Paolo Mieli, analisi che condivido. Aggiungo: rinunciando a stabilire una connessione sentimentale col popolo, ha anch’essa navigato dentro la crisi della politica. Anche Renzi è stato espressione di questa crisi. È stata un’altra faccia del populismo: il disprezzo per i sindacati e l’amore per il padrone della Fiat, l’antieuropeismo di quando tolse la bandiera dell’Europa della presidenza del Consiglio, la gestione plebiscitaria del referendum, la cultura del capo. Populismo, appunto.
Se questa è l’analisi, come giudica la reazione del Pd di fronte alla crisi?
Ho visto che il segretario sta tenendo la barra, ma è evidente che è scattato un riflesso governista che impedisce di cogliere appieno la portata della crisi verticale del grillismo che apre spazi alla sinistra nel paese. E si colloca ancora dentro la crisi della politica, dimostrando di non essere un partito, ma un aggregato elettorale a servizio del leader ai tempi di Renzi, e ora di un insieme di personalità.
Una decina d’anni fa, quando nacque il Pd, lei scrisse un libro, dal titolo “Al Capolinea”. La tesi era, sintetizzo, che quel partito nasceva senz’anima e con un rapporto debole con la società.
Certo, un partito è tale se ha un suo asse politico culturale, ideale che produce politiche e tiene assieme anche chi è di opinione diversa dentro quell’asse. Oggi è allucinante. Calenda dice: “O così o me ne vado”, Renzi voleva fare un partito per conto suo e ora è rientrato per oscurare Zingaretti. Voglio fare un appello a un partito che, sia pur con tanti difetti, è un presidio democratico: fermatevi, discutete in Direzione, il segretario poi faccia la sintesi. E aggiungo: non abbiate paura di combattere, ma chi l’ha detto che l’Italia sceglierà Salvini?
Le dico la verità. Non mi aspettavo questa sua determinazione sul voto.
Non è una sfida guasconesca, Zingaretti l’ha capito. Ma il punto è che non fermi questa destra con una manovra di palazzo, tra quelli che dicevano “partito di Bibbiano” e quelli che dicevano “straccio la tessera se il Pd si allea con Di Maio”. L’obiettivo non può essere solo stare al Governo. Il problema è “con chi” ci stai e “come” ci stai. E se questo contraddice il modo di essere della società e dei processi maturano nella società. Domando: questo accordo è un aiuto a uscire dalla crisi o è un pasticcio che la aggrava? Io penso che la aggravi.
Macaluso, lei è un combattente. Io tutta questa voglia di combattere nel Pd non la vedo. Mi sembra che il segretario sia quasi isolato nel gruppo dirigente.
Compito di un segretario è prendere una iniziativa. Mica è un notaio dei capicorrente. Io penso che questa destra la fermi con una operazione più ambiziosa e democratica di una manovra di palazzo, provando a ricomporre la frattura tra sinistra e popolo. È in quella frattura che è nata la rivolta di questi anni. Devi chiamare il popolo a sostenere una battaglia, nei quartieri, nelle fabbriche, nelle scuole, sfidando la cultura di massa del leghismo salviniano. Devi chiamare il popolo, dicendo che siamo di fronte a un qualcosa di pesante. È difficile, ma segnali incoraggianti ci sono.
Quali?
La rinascita del sindacato, non solo di Maurizio Landini. Anche il fatto che Cgil, Cisl e Uil abbiano trovato un’intesa unitaria sulla politica economica e sociale. E allora la sinistra deve capire che il sindacato finora non ha avuto più un retroterra politico, che pure è necessario nella reciproca autonomia. Insisto, il popolo.
Le chiedo una previsione, su questa crisi più pazza del mondo.
Che previsioni vuoi fare… Ora è il momento del capo dello Stato, nei confronti del quale nutro stima e amicizia. Sono certo che, se si andrà al voto, sarà sua preoccupazione andarci in modo ordinato, perché certo non può gestire le elezioni Salvini dal Viminale. Non ne garantirebbe la terzietà, questo mi pare evidente.

www.huffingtonpost.it, 17 agosto 2019

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