venerdì, febbraio 09, 2024

Tutto a posto nella sanità siciliana


di Giuseppe Savagnone

Responsabile del sito della Pastorale della Cultura dell'Arcidiocesi di Palermo, www.tuttavia.eu. Scrittore ed Editorialista.

Le promesse

Ha avuto grande risonanza sui social e sui giornali online la lettera accorata di una madre a un quotidiano, «La Repubblica – Palermo», in cui si denunziavano le condizioni disastrose dell’Ospedale dei bambini del capoluogo siciliano “Di Cristina” e si confrontavano con quelle – al contrario ottimali – del «Gaslini» di Genova, a cui la donna era stata costretta a portare il proprio figlioletto malato, per assicurargli una degna assistenza. Intervistato dal giornale, il presidente della Regione, Renato Schifani si era detto «sconvolto dalla testimonianza di questa mamma» e aveva assicurato il proprio impegno «perché nessun’altra famiglia debba vivere la sua esperienza».

Poiché l’intervista si svolgeva il 21 gennaio, alla vigilia delle nomine, da parte della giunta regionale, dei direttori generali delle Aziende ospedaliere della Sicilia, è stata spontanea la domanda dell’intervistatrice: «In quest’ottica scegliere i migliori al timone delle aziende diventa centrale, più delle appartenenze politiche. Quali saranno i criteri di scelta dei manager?».

La risposta di Schifani è rassicurante: «Ai partiti di maggioranza ho dato indicazioni chiare». Ma la giornalista non se ne accontenta ed esprime qualche perplessità riguardo ai nomi dei possibili candidati.

Nomi che una Commissione appositamente costituita ha selezionato e indicato in una lista da cui dovranno essere scelti i nuovi direttori: «Nell’elenco degli idonei», osserva, «figurano quasi tutti gli uscenti che hanno finora gestito la sanità con questi risultati. Non sarebbe necessario un ricambio?»

Ancora una volta la risposta del presidente è ampiamente rassicurante: «Le eventuali conferme rappresenteranno solo l’eccezione. Verrà riconfermato solo chi ha lavorato bene. Non voglio tagliare teste ma un ricambio è necessario. Non accetterò dai partiti nomi a scatola chiusa di chi non ha brillato e mi riservo di chiedere una rosa di nomi per ogni azienda».

A testimoniare la serietà di questa svolta, il primo atto ufficiale di Walter Messina, il nuovo manager dell’Ospedale civico di Palermo (a cui il “Di Cristina” fa capo), all’indomani della sua nomina, è la destituzione dal suo incarico della Dr.ssa Desirée Farinella, Direttore Medico dell’Ospedale.

Si cambia finalmente sul serio, dunque? A giudicare dalle reazioni dei medici, dei sindacati e degli stessi ambienti politici, qualche dubbio sorge. Molti hanno parlato di «processo sommario» a una dottoressa seria e competente, sacrificata come «capro espiatorio».

E hanno piuttosto messo sotto accusa una classe politica «che continua ad ignorare i problemi atavici della sanità e che manca di chiarezza sulle strategie e sui programmi riguardo alle sfide future» (“LiveSicilia” del 5 febbraio).

I “viaggi della speranza”

Il problema non è certo di oggi e non è imputabile soltanto alla maggioranza di destra attualmente al governo della Regione siciliana. È una piaga cronica – al di là delle criticità sempre più evidenti del sistema sanitario nazionale nel suo complesso – la doppia velocità a cui procedono, in questo settore, le regioni del Centro-Nord e quelle del Sud.

Un fenomeno che, con qualche rara eccezione, si trascina da decenni, sotto le giunte regionali di qualunque colore, e che non riguarda solo la Sicilia, ma tutto il Meridione.

Da qui quei “viaggi della speranza” (una espressione che era già in uso, prima dell’acuirsi del fenomeno migratorio, per questa «migrazione sanitaria” dal Mezzogiorno) intrapresi da chi – quasi un milione di italiani! – deve lasciare la propria residenza e il proprio lavoro per curare se stesso o i propri cari in strutture adeguate. Come la madre di cui si parlava all’inizio.

Con evidenti costi umani, a cui vanno aggiunti quelli economici. Chi si ammala al Sud si vede spesso costretto ad affrontare, oltre ai disagi di un trasferimento forzato, spese supplementari (di viaggio, di alloggio, anche per i familiari), che peraltro non tutti sono in grado di sostenere.

Inoppugnabile il commento del presidente della Fondazione Gimbe, Cartabellotta, davanti a questi dati: «Ci sono milioni di italiani che non possono esigere un diritto fondamentale sancito dalla Costituzione: quello alla salute».

Al di là delle ricadute sui bilanci privati dei cittadini, sono gravi quelle a livello pubblico. «Il Sole24ore» (3 novembre 2022), a questo proposito, osservava che «le regioni meridionali si trovano costrette a rimborsare, attraverso il meccanismo della compensazione tra regioni, le prestazioni mediche a cui si sottopongono i propri abitanti altrove. Costi che potrebbero essere invece investiti in gran parte in strutture e professionalità sul territorio per migliorare la situazione sanitaria generale di queste aree».

Secondo i dati diffusi dalla Gimbe, la migrazione sanitaria, soltanto nel 2020, ha determinato il trasferimento di 3,3 miliardi di euro dalle regioni meridionali verso quelle più attrattive. Innanzi tutto, l’Emilia Romagna, la Lombardia e il Veneto, che ne assorbono quasi la metà (49,4 per cento). A seguire ci sono il Piemonte (6,9 per cento) e la Toscana (5,4 per cento).

Tutte regioni del Nord o Centro Nord, che si trovano ai primi posti nelle classifiche dell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza e che, conseguentemente, assorbono la quota più rilevante della mobilità sanitaria in entrata (62,6 per cento), registrando perciò un saldo decisamente attivo.

Tra quelle che hanno invece un saldo negativo, la Campania è in cima alla lista (-277 mln) seguita da Calabria (-273 mln) e Sicilia (-206 mln). E queste sono, infatti, le regioni in cui si verifica il maggior numero di partenze.

Col loro conseguente impoverimento, determinato dal trasferimento al Nord di risorse che dovrebbero invece servire a risollevare la loro situazione sanitaria. Siamo davanti, insomma, a un drammatico circolo vizioso che porta inevitabilmente al progressivo allargamento della forbice tra le due aree territoriali del nostro paese.

Storia di una carriera

È chiaro che la responsabilità di questa situazione ricade soprattutto su una classe politica meridionale che purtroppo, al di là delle contrapposizioni partitiche, appare cronicamente incapace di uscire, anche nell’ambito della sanità, da logiche clientelari del tutto estranee alle esigenze del bene comune.  

Per quanto riguarda la Sicilia – in prima linea, come si è visto, in questo fenomeno migratorio -, le parole del presidente Schifani, sopra citate, sembravano far sperare in una svolta. Sfortunatamente, proprio all’indomani delle nomine dei nuovi manager della sanità, apprendiamo da «Il Fatto Quotidiano» (1 febbraio 2024), in un resoconto a firma Manuela Modica, notizie che danno, ancora una volta, un duro colpo a queste speranze.

Nell’articolo in particolare si ricostruisce la storia della carriera di Walter Messina – quello che ha destituito la Dr.ssa Farinella – appena messo a capo della più importante struttura sanitaria del capoluogo siciliano, l’Ospedale Civico.

Nel 2019, durante il governo di Nello Musumeci (dal 18 novembre 2017 al 13 ottobre 2022) Messina era già stato nominato direttore generale di un’altra grande struttura sanitaria di Palermo, l’Ospedale Villa Sofia – Cervello.

Qualcuno obiettava che la sua carica era dovuta alla sua appartenenza all’area politica della destra. Ma era giusto valutarne la competenza sulla base dei fatti.

Ora, un compito fondamentale affidato al nuovo direttore era quello di realizzare, nell’area limitrofa all’attuale struttura, un Distretto ospedaliero destinato a servire la zona nord della città, per cui l’assessorato, all’epoca guidato da Ruggero Razza, aveva stanziato 280 milioni.

Dopo un anno, però, il 7 agosto del 2020, una delibera firmata dallo stesso assessore decretava il commissariamento dell’Ospedale, con la motivazione – si legge nel testo riportato da «Il Fatto» – che «l’Azienda Ospedaliera non ha ancora avviato, senza valide giustificazioni, le procedure di evidenza pubblica finalizzate in primo luogo all’affidamento degli ulteriori livelli di progettazione dell’opera per la realizzazione del nuovo Distretto Ospedaliero della zona nord di Palermo».

Malgrado questa prima prova negativa, nel dicembre del 2022, all’indomani dell’insediamento del nuovo governo regionale, Messina è stato di nuovo nominato – questa volta come commissario ad acta – al vertice dello stesso Ospedale.

I lavori da realizzare per rendere la struttura più efficiente erano adesso ancora più impegnativi. Ma il 6 marzo del 2023 – riferisce ancora «Il Fatto» – l’assessora alla Salute della giunta Schifani, Giovanna Volo, commissariava di nuovo l’ospedale, «considerato che ad oggi non vengono rilevati significativi progressi e che le attività di progettazione non risultano ancora avviate per alcun intervento». 

Alla luce di questi precedenti, la terza nomina, che ha appena posto Messina a capo dell’Azienda ospedaliera più importante di Palermo, non possono non far tornare alla mente le parole del presidente Schifani, nella sua intervista su «Repubblica»: «Verrà riconfermato solo chi ha lavorato bene. Non voglio tagliare teste ma un ricambio è necessario».

Tutto a posto

Qui, se i fatti sono questi (e non ne abbiamo trovato alcuna smentita), di «ricambio» non c’è stata nemmeno l’ombra. E tanto meno si può dire che sia stato «riconfermato solo chi ha lavorato bene».

Certo, non bisogna enfatizzare il singolo caso. Ma, alla luce della triste storia della «migrazione sanitaria», quello che è accaduto non suggerisce certo una inversione di rotta.

E la giornalista de «Il Fatto» può citare come plausibile la denunzia di un deputato regionale dell’opposizione, il quale, sottolineando la vicinanza del nuovo manager dell’Ospedale Civico a FdI, ha amaramente constatato che, nel campo sanitario (e forse non solo in questo), a quanto pare, «non contano i risultati, non conta se dimostri di esser bravo. Ciò che conta è essere benedetto dai partiti».

Una conferma si ha dalla presentazione che gli organi d’informazione hanno fatto dei direttori nominati. Accanto ad ogni nome era scritto: «In quota…» con l’indicazione del relativo partito di appartenenza.

Ora, lo spoils system non è certo una novità ed è abituale anche al Nord. Là però, a giudicare dall’efficienza delle strutture sanitarie in Lombardia, in Veneto, in Emilia Romagna, rispetta anche la logica delle competenze.

Ma Schifani è contento: «La giunta ha scelto figure qualificate sul piano della professionalità per la guida delle aziende e degli ospedali (…) per garantire ai siciliani, al pari dei cittadini di altre regioni, una sanità di alta qualità e che consenta loro di curarsi nel migliore dei modi nella loro terra».

Tuttavia.eu, 8 Febbraio 2024

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