lunedì, febbraio 12, 2024

Palermo, addio a Gaetano Balistreri, ferito nella strage del Pane del 19 ottobre 1944


Sopravvissuto ai proiettili, fu colpito ad una gamba

Umberto Lucentini

«Questa mattina il mio amatissimo nonno ci ha lasciati...»: l’annuncio della nipote descrive subito il grande vuoto provocato dalla morte di Gaetano Balistreri, un uomo entrato anche nella storia della città. Il Grande Ufficiale Balistreri era uno degli ultimi due sopravvissuti alla strage del Pane, che insanguinò via Maqueda il 19 ottobre 1944. La camera ardente è stata allestita al Palm Resort Senior, sulla statale 113 di Casteldaccia, dove Balistreri si è spento a 91 anni circondato dagli affetti più cari. “Non bastano le parole per descrivere il vuoto che lascia nel mio cuore e in quello di tutte le persone che hanno avuto il privilegio di conoscere mio nonno» scrive Alice Gagliano una dei quattro nipoti che Balistreri ha avuto dai suoi due figli.

«Col Grande Ufficiale - amava essere ricordato così, era l’unico titolo di cui andava orgoglioso- ho parlato quattro giorni fa al telefono: si sentiva un uccello in gabbia per le sue condizioni di salute che lo limitavano nei movimenti. Ma quando gli ho detto che avrebbe dovuto partecipare all’ottantesimo anniversario per ricordare la strage di via Maqueda con Giovanni Ficarotta, l’altro sopravvissuto, mi ha risposto con entusiasmo “ci sarò, certo...”» racconta con grande commozione Lino Buscemi, che con un importante lavoro storico e di documentazione ha portato alla luce retroscena, fatti e crudeltà della strage del pane: un massacro che provocò quel giorno 24 morti e 158 feriti gravi (molti dei quali morirono nei mesi successivi per le conseguenze della potenza di fuoco scatenata dai 50 soldati sardi del 139° fanteria, comandati dal giovane tenente Calogero Lo Sardo, dotati di fucili, cartucce e bombe a mano).

Balistreri a undici anni era per caso in via Maqueda: fu colpito alla gamba destra da un proiettile sparato da uno dei soldati comandati a reprimere la protesta dei palermitani affamati, e si salvò al prezzo della vita di un suo amico. Domenico Cordone, di 16 anni, gli stava accanto, e quando iniziarono gli spari spinse con violenza Balistreri per farlo cadere a terra e toglierlo dalla traiettoria dei proiettili. Cordone fu colpito alle spalle da una bomba a mano, e col suo corpo fece pure da scudo all’amico ferito. «Quando mi rialzai vidi che Mimmo era già morto. Comincia a correre e mi infilai in via del Bosco» ha raccontato anni fa Balistreri . «Una signora, tutta vestita di nero, vedendomi arrivare cominciò a gridare affinché mi dessero aiuto, non mi ero accorto di avere la gamba dilaniata dalle pallottole. Su una barella improvvisata fui portato al pronto soccorso di via Matteo Bonello, per essere poi trasferito all’ospedale dei Bambini dove rimasi per quaranta giorni».

Quello che avvenne in via Maqueda il 19 ottobre 1944 è stato ricostruito grazie all’avvocato Buscemi: «In una città devastata dai bombardamenti e prostrata dalla fame, il malcontento della gente era alle stelle». E il corteo di manifestanti, «ingrossatosi grazie all’afflusso di ragazzi e donne disperate provenienti dai mercati di Ballarò e Vucciria, si mosse da piazza Pretoria per dirigersi a palazzo Comitini sede della prefettura e dell’Alto commissariato per la Sicilia per chiedere “pane e pasta per tutti” e anche salari adeguati». Tra i disperati, c’era qualcuno con «rudimentali randelli» mentre altri «battevano con sassi le saracinesche dei negozi per far rumore» ha ricostruito Buscemi. E su ordine del viceprefetto vennero chiesti rinforzi: in via Maqueda arrivò la divisione Sabauda e Aosta al cui vertice c’era il generale Giuseppe Castellano, colui che l’8 settembre del ’43 firmò per l’Italia l’armistizio con gli anglo-americani. L’ordine di aprire il fuoco, la strage, il fuggi fuggi, i morti e i feriti come terribile bilancio. Poco tempo dopo la strage, Castellano fu rimosso dall’incarico di comandante su iniziativa del sottosegretario di Stato all’Educazione Bernardo Mattarella, padre di Sergio, il presidente della Repubblica. Un processo-farsa a Taranto, nel 1947, ha estinto per amnistia gli esecutori materiali. Una ferita che Balistreri ha portato per anni con sofferenza. Le parole della nipote Alice tracciano un ritratto ovviamente privato: «Era capace di accendere in noi una fiammella che alimentava fino a farla esplodere in un enorme fuoco di grinta, forza e passione. Era una guida salda e sicura, un motivatore eccezionale ma soprattutto entrava talmente tanto in empatia con noi che, per osmosi, tutto ciò che era mio era suo e viceversa».

GdS, 11 febbraio 2024

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