domenica, settembre 25, 2022

L’accesso a medicina sia aperto a tutti!


ADELFIO ELIO CARDINALE

Ai test d’ammissione 56.775 ragazzi, ma più della metà degli aspiranti dottori non finirà nemmeno in graduatoria. Il numero chiuso è una menzogna con i “supermercati” delle lauree in improbabili atenei, specie telematici 

Nei giorni scorsi si sono svolti i test di ammissione per divenire matricole delle Scuole di Medicina. La nostra Costituzione, nell’articolo 32, «… tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività…». Alcuni maestri del diritto sostengono che l’articolo 32 è uno degli articoli più importanti per i diritti inviolabili del cittadino. Storicamente l’idea di curare tutti si deve al marchese di Lafayette, il quale - nella «Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino» - volle introdurre il diritto universale a essere curati.

Un buon funzionamento del Sistema sanitario nazionale deve prevedere adeguato numero di medici e personale sanitario, buona preparazione, valide strutture e tecnologie non obsolete. Oggi questi parametri sono a macchia di leopardo, con aspetti più negativi nel Mezzogiorno, luogo critico per eccellenza dell’intera vicenda italiana, dall’Unità in poi. I partecipanti sono stati 56.775 e si valuta che circa la metà degli aspiranti camici bianchi non finirà nemmeno in graduatoria. Le necessità si modificano nel tempo ed è necessario trovare soluzioni.

Il numero limitato di professionisti dell’area sanitaria viene aggirato con dileggio dal profluvio di «supermercati» delle lauree. Il numero chiuso è di fatto una menzogna.

Improbabili atenei, specie telematici, assicurano il facile conseguimento del titolo di dottore (a prezzi enormi sempre crescenti, vale a dire titolo per reddito o censo!) esaltando imprecisati collegamenti con Paesi stranieri o semisconosciuti, senza alcuna valutazione di merito della qualità, modalità ed entità della didattica. Giuseppe de Rita, presidente del Censis, parla di inarrestabili processi di proliferazione che in termini biomedici potremmo definire «gittate metastatiche». Questi dati sono confermati da inchieste della guardia di finanza, da preoccupazioni di Onu e Unesco, nonché dell’Antitrust che dopo indagini hanno comminato condanne e sanzioni per «ingannevolezza».

Negli anni si sono tentati aggiustamenti. Primo fra tutti l’eliminazione dei test di pseudo cultura, che degradavano a quiz di carattere nozionistico aleatorio. Il Premio Nobel Rita Levi Montalcini, Margherita Hack, Umberto Veronesi, rettori e presidi bastonarono questo tipo di selezione. Un esempio per tutti: «che cosa riguardava l’ultima sfilata di Valeria Marini»? Sorge spontanea la domanda di conoscere quale lettore si farebbe curare da un medico dotto di questi saperi.

Per il 2022 i test sono stati 60: biologia, chimica, fisica, matematica, da completare in 100 minuti. Sono state abolite le domande di presunta cultura generale, sostituite da materie scientifico-tecnologico chiamate Stem. Ma non è sufficiente. Sono necessari sistemi di competizione collaborativa e possibili sinergie tra pubblico e privato.

Inoltre, non basta la quota del 40% del Pnrr dedicata al Sud. Per diminuire il divario Nord- Sud, anche nella Sanità, bisognerà dotare le amministrazioni locali di mezzi, uomini, tecnici e laureati oggi carenti, creando un ulteriore squilibrio territoriale. Per tali motivazioni occorrerebbe una vera e propria riscrittura del patto di unità nazionale, affermava il grande statista e meridionalista di Palermo, Ugo La Malfa. Allora come ora.

La pandemia da Covid-19 ci ha insegnato che è necessario non solo aumento di medici e strutture, ma ibridazione dei saperi per creare nuove competenze multidisciplinari con coerenti sbocchi occupazionali: aggiornamento giuridico- normativo, conoscenza delle istituzioni, coniugare linguaggio scientifico e capacità divulgative.

Per assumere e creare più medici, oltre le modifiche dei metodi di ammissione necessitano riforme strutturali. Altrimenti avremo due tipi di viaggi: quelli della speranza, per i malati in cerca di guarigione, e i viaggi della certezza dei giovani e valenti dottori che troveranno incarichi ben retribuiti e gratificanti nel Nord Italia o all’estero.

Esperti e cultori di varia estrazione hanno proposto un metodo che, a parere di chi scrive, è da condividere. Accesso aperto a tutti i giovani che vogliono divenire futuri camici bianchi. L’obiezione che non esistono nella Scuola medica docenti, aule e strutture capaci di affrontare grandi numeri è risolvibile. Gran parte delle materie del primo anno - chimica, fisica, biologia, biochimica, ecc. - possono essere effettuate in diversi altri Dipartimenti e Scuole universitarie: scienze, chimica, biologia, agraria, fisica, genetica, ingegneria, scienze delle comunicazioni. Per quanto riguarda l’anatomia è noto che da decenni v’è carenza assoluta di cadaveri per scopo di studi ed esercitazioni di dissezione. Quasi ovunque si pratica l’anatomia radiografica (nata da scuole accademiche di Palermo, ma questa è un’altra storia) e il carico può essere condiviso con la radiologia universitaria.

Nel secondo anno si effettuano gli esami di profitto. Si affronta una graduatoria per chi ha superato gli esami di primo anno. Con numerosità modulabile - per esigenze fattuali o sopravvenute - si attinge alla graduatoria di merito e le matricole promosse con i migliori voti potranno continuare gli studi dell’area biomedica. Il metodo proposto - alla francese, modificato - deve prevedere tre corollari. Una prova psicoattitudinale. Perché la medicina è pratica basata sulla scienza ed esercitata in un mondo di valori. L’uomo non è solo un ammasso di atomi e molecole. È necessario per la cura un patrimonio di «medical humanities»: empatia, volontà e capacità di comunicazione con l’infermo e i familiari, riportare il malato da numero a individuo. Un’antropologia unitotale in u’ottica bio- psico- sociale. Il secondo corollario attiene ai posti e tipologie delle Scuole di Specializzazione, per evitare nocivi e restrittivi imbuti post-laurea.

Infine, la valorizzazione dei Policlinici universitari, per le loro inscindibili caratteristiche di ospedali di formazione, che devono essere sostenuti oggi e nel futuro, anche con la forza del passato, con iniezioni di impegno e fiducia. Senza iattanza possiamo affermare che tutti i grandi medici e dottori di Sicilia sono nati e hanno appreso professione e scienza nei Policlinici universitari della nostra Isola.

Non vorremmo che, dopo oltre quattro secoli, avesse ancora ragione il grande filosofo inglese dell’empirismo John Locke: gli uomini - diceva - spesso sono costretti a scegliere nel «crepuscolo delle probabilità».

GdS, 25/9/22

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