martedì, novembre 19, 2013

Così i boss possono riprendersi i beni sequestrati…

L'Azienda Suvignano nel senese
di VITO LO MONACO
La riforma della normativa sulla confisca dei patrimoni mafiosi è quanto mai necessaria se si vuole evitare che il lavoro sinora svolto venga vanificato. In un paese in crisi come l’Italia, minacciato perennemente dall’instabilità politica, non poteva mancare il capomafia ergastolano che a sua volta minaccia di morte i pm che lo accusano di essere stato parte attiva nella trattativa con infedeli uomini dello Stato negli anni delle stragi del 1992/93. Il messaggio è indirizzato solo ai magistrati, ai quali va la nostra piena solidarietà, o anche a quegli uomini infedeli dello Stato del 1992 e ai loro mandanti perché rispettino patti e promesse fatte? Intanto lo stesso Paese nell’ultimo trentennio, sull’onda di un sempre più esteso movimento antimafia, istituzionale e sociale, si è dato una delle più avanzate legislazione antimafia del mondo, ammirata da più parti e, oggi, proposta dall’Ue ai paesi membri come modello da imitare.
Eppure non c’è settimana durante la quale non si manifestino nuove difficoltà burocratiche, attacchi politici alla sua applicazione sia nei processi penali in corso, sia nei sequestri sia nella gestione e destinazione dei beni confiscati, nonostante l’Agenzia unica dei beni confiscati abbia superato alcune difficoltà operative, tipo l’insufficiente assegnazione di personale. Nelle ultime settimane in concomitanza dell’avvio dell’iter parlamentare del ddl di iniziativa popolare promosso dalla CGIL e da un comitato di cui ha fatto parte il Centro Studi Pio La Torre, firmato da 120mila cittadini, per la tutela dei diritti dei lavoratori delle aziende confiscate alle mafie, è stata strumentalizzata una giusta rivendicazione sindacale di tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate per attaccare il prezioso lavoro di tanti magistrati delle misure di prevenzione patrimoniali e degli amministratori giudiziari.

Da tempo il movimento antimafia ha evidenziato alcune criticità applicative delle misure di prevenzione patrimoniali non risolte, o generate, dal cd Codice antimafia. È stata rilevata da più parti la necessità di superare la sovrapposizione tra competenza del giudice delle misure di prevenzione e quelle dell’Agenzia sinora risolta sulla base della volontaria disponibilità dei soggetti. Altra criticità riguarda la destinazione al Fondo unico della Giustizia e al Tesoro di tutti i beni mobili sequestrati (titoli, conti bancari, depositi, ecc) prima di aver accertato le esigenze di liquidità delle aziende sequestrate per continuare la loro attività produttiva. Inoltre ancora non c’è certezza alcuna sui comportamenti degli istituti di credito i quali non mostrano la stessa generosità verso le aziende sequestrate che avevano verso le aziende mafiose. Attribuire un rating positivo alle aziende sequestrate, accordare loro la fideiussione del Fondo unico della Giustizia, creare una White list le rafforzerebbe nel mercato legale e dimostrerebbe che lo Stato tutela quelle imprese che rinunciano alla protezione politico-mafiosa. Il problema sollevato della tutela dei lavoratori dipendenti non può essere usato per attaccare il lavoro svolto in generale dagli amministratori giudiziari e dai giudici delle misure di prevenzione, ai quali abbiamo espresso il nostro sodale impegno antimafia. È urgente indurre tutti i soggetti istituzionali, prima di tutto il Governo e l’Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati, a considerare il sequestro e la confisca del bene mafioso non solo come atto repressivo, ma il terreno sul quale lo Stato mostra tutta la sua forza e volontà per sconfiggere il sistema politico mafioso nell’economia criminale, facendo funzionare meglio e produrre di più l’azienda nel rispetto dell’ordinamento democratico e del mercato libero da ogni protezione illegale sia politica che mafiosa. Gli esempi numerosi di aziende agricole confiscate alle mafie e gestite dalle cooperative di giovani lavoratori - la Calcestruzzi Ericina gestita dai dipendenti o la clinica Villa S. Teresa di Bagheria ora polo di eccellenza sanitario - dimostrano come una visione attiva di mercato, quindi non solo repressiva e conservativa del bene, possono essere vincenti. A questi risultati positivi dovrebbero anche essere ancorati riconoscimenti ed emolumenti degli amministratori giudiziari. Anche per questi motivi contestiamo una visione burocratica della vendita dei beni confiscati per fare cassa senza percorrere con convinzione tutta la strada dell’animazione produttiva virtuosa, salvaguardando occupazione e produzione di ricchezza sociale. Una gestione attiva delle aziende sequestrate e confiscate alle mafie è la migliore risposta a quella parte dell’economia politico-criminale che opera nel mercato protetto dalla corruzione e dalla cattiva politica. Gli amministratori giudiziari e l’Agenzia nazionale dispongono di tutte le competenze composite necessarie per assicurare lo sviluppo delle aziende guidandole nel sistema legale? Le misure di prevenzione introdotte dalla Rognoni-La Torre sono state pensate come il moderno ariete per sfondare e distruggere il sistema dell’economia politico criminale. A questo punto si potrà continuare a fare a meno di un tavolo di concertazione con le associazioni d’impresa, gli enti locali, i sindacati, le associazioni antimafia più rappresentative del territorio per prevenire il fallimento delle aziende e dei beni sequestrati e confiscati? Non occorrono solo buone leggi, ma tanta buona volontà politica. Alla fine la più grande liberalizzazione del sistema Italia vedrete che l’avremo quando diventerà concreta la consapevolezza della soppressione della corruzione e dell’economia criminale.

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