giovedì, luglio 11, 2013

"I funerali a un mafioso? Serve una conversione pubblica"

Domenico Mogavero e Mariano Agate
Il vescovo di Mazara risponde alla vedova di Mariano Agate sui funerali negati al boss: "Il pentimento intimo non basta"
Il problema sollevato dalla moglie di Mariano Agate non chiama in causa il Vescovo di Mazara del Vallo, ma la comunità cristiana in quanto tale. E la prassi, ormai diffusa e consolidata di negare le esequie ecclesiastiche ai condannati per delitti di mafia (gli organi di informazione ne hanno dato vasta eco negli ultimi mesi), è il punto di arrivo di un percorso di maturazione religiosa e pastorale, considerata l’assoluta
incompatibilità di tali delitti con i principi evangelici e il magistero della Chiesa. Nel caso in questione, il rifiuto delle esequie al marito della signora, più volte condannato con sentenza definitiva per delitti di mafia, non ha avuto alcuna forma di esposizione mediatica, come comprova il fatto che di esso non è stata data alcuna forma di pubblicità. Esso è stato comunicato direttamente alla famiglia per il tramite di un sacerdote. Tale provvedimento è giustificato dalla natura dei peccati (delitti) di cui il defunto si era reso colpevole; peccati che non sono stati annullati dall’unzione degli infermi a lui conferita. Infatti, il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma: «Molti peccati recano offesa al prossimo. Bisogna fare il possibile per riparare (ad esempio restituire cose rubate, ristabilire la reputazione di chi è stato calunniato, risanare le ferite). La semplice giustizia lo esige» (n. 1459), la giustizia di Dio, non solo la giustizia degli uomini. In più, la riparazione del danno non è un semplice atto di pentimento, ma un vero e proprio cammino di conversione che impone il rifiuto dei comportamenti peccaminosi, nella stessa forma pubblica con la quale tali atti sono stati compiuti. Il pentimento intimo non basta. «La penitenza che il confessore impone deve tener conto della situazione personale del penitente e cercare il suo bene spirituale. Essa deve corrispondere, per quanto possibile, alla gravità e alla natura dei peccati commessi. Può consistere nella preghiera, in un’offerta, nelle opere di misericordia, nel servizio del prossimo, in privazioni volontarie, in sacrifici, e soprattutto nella paziente accettazione della croce che dobbiamo portare» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1460). E tutto questo non trasforma il peccatore in un collaboratore di giustizia, ma lo rende uomo purificato e riconciliato, che ha espiato adeguatamente i suoi peccati. In ogni caso, non si accosti il Beato Puglisi, che ha dato la propria vita per sconfiggere la mafia e il disprezzo di essa per la vita, a un uomo condannato per omicidi e strage.
* L'autore è vescovo di Mazara del Vallo

LiveSicilia.it, Martedì 09 Luglio 2013

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