sabato, aprile 20, 2013

Pennisi, vescovo antimafia: “Io a Monreale, fratello tra fratelli”

Mons. Michele Pennisi
Intervista rilasciata a Giovanna Parrino per il mensile diocesano della Arcidiocesi di Monreale “Gior8tto” da Mons. Michele Pennisi Arcivescovo eletto di Monreale
Nel suo messaggio di saluto alla Chiesa di Monreale emerge il desiderio di intraprendere con il popolo monrealese un percorso di fraternità e di dialogo.. dialogo con la storia e le radici, per approdare alle nuove generazioni… Al centro mette la carità, che è poi il motto del suo episcopato; come dire e definire, a partire dai bisogni della società contemporanea, il primato della carità?
Vengo nella Chiesa di Monreale innanzitutto come fratello tra fratelli, cristiano tra cristiani come insegna Sant’Agostino: “Nel momento in cui mi dà timore l’essere per voi, mi consola il fatto di essere con voi. Per voi infatti sono vescovo, con voi sono cristiano. Quel nome è segno dell’incarico ricevuto, questo della grazia; quello è occasione di pericolo, questo di salvezza”.

Desidero, quindi, pormi in atteggiamento di dialogo, che presuppone l’ascolto sia del glorioso passato della Chiesa di Monreale, che affonda le sue radici nella rievangelizzazione della Sicilia dopo la dominazione saracena, sia della realtà presente con le sfide che vengono soprattutto dai giovani.
Per questo il centro è la Carità. Il primato della carità significa riaffermare il primato dell’amore di Gesù Cristo per me, quello stesso cioè che mi spinge ad amare i fratelli con la sua stessa carità. Tale primato, non può quindi, farci rinchiudere nel privato delle nostre case, ma deve spingerci ad un impegno concreto per cambiare la società perché, come sosteneva don Luigi Sturzo e diversi Papi, l’impegno sociale e politico sono fra le più alte forme di amore del prossimo.

Cosa l’esperienza episcopale di Piazza Armerina Le lascia come monito, impegno, da estendere anche alla nostra realtà diocesana?
Per me è stata la prima esperienza pastorale da vescovo, in cui ho imparato il fecondo dialogo con le comunità ecclesiali della Diocesi insieme con le istituzioni civili presenti nel territorio. Una collaborazione attiva con il mondo della scuola, della cultura e del lavoro, che in qualche modo mi ha sorpreso e allo stesso tempo formato, perché mi ha permesso di coniugare la missione evangelizzatrice con la dimensione culturale e sociale della fede cristiana.
La sfida è stata quella di far dialogare mondi ritenuti indifferenti, se non addirittura lontani, alla vita della Chiesa con una radicata religiosità popolare del tessuto cristiano, che se da un lato fa respirare un autentico senso di ospitalità e solidarietà, non di rado pecca di un certo fatalismo latente.
Ecco perché penso che il bilancio su questi anni nella Chiesa di Piazza Armerina possa misurarsi con il ricordo sempre vivo della bellezza degli incontri fatti in particolare durante la visita pastorale: parrocchie, scuole, comuni, caserme, fabbriche, carceri, ospedali, case, strade e piazze dei paesi, ovvero nell’incontro con le persone, con i volti e con le storie di uomini, donne, bambini, autorità, sindacalisti, immigrati, poveri, disoccupati, ammalati e uomini di cultura ho potuto fare un’esperienza di fede indimenticabile che conserverò per tutta la vita.
Sempre nel messaggio scrive di arrivare nella nostra chiesa diocesana senza un programma prefabbricato, ma con l’invito a credere nell’amore di Dio, a cambiare mentalità e vita seguendo Gesù Cristo e a rispondere alla vocazione alla santità…cosa si nasconde dietro il suo appello a cambiare mentalità e vita… la proposta della coerenza e della forza dirompente che dovrebbe caratterizzare la vita dei battezzati? Cosa rallenta o offusca il rinnovamento, la creatività?
Un programma pastorale non si può fare “a tavolino” ma deve derivare dalla lettura dei “segni dei tempi”, dall’ascolto dei bisogni e delle istanze presenti nella realtà diocesana, dalla valorizzazione dei doni e della disponibilità al servizio di ciascuno.
Pe questo mi interessa che si punti all’essenziale per riscoprire la gioia e la bellezza dell’essere cristiani e cioè, oltre l’indispensabile conversione personale è necessario un cambiameto di mentalità a livello comunitario per passare da una pastorale di conservazione ad una pastorale missionaria, da una mentalità individualista a una comunitaria, da un’impostazione passiva e rassegnata a una mentalità fondata sulla corresponsabilità e aperta alla Speranza.
Il rinnovamento spesso è rallentato da una fede che guarda nostalgicamente al passato quasi campanilista, vissuta in luoghi come le parrocchie a volte ridotte ad agenzie di servizi religiosi. Siamo chiamati a fare un salto di qualità, a leggere i segni del tempo presente e proiettarci nel futuro, a trasformare i nostri luoghi d’incontro in ambienti in cui si manifesta la Comunione nella diversità dei doni spirituali e dei ministeri, nell’unità della missione.
Si tratta di aprirsi alla pastorale che raggiunga i vari ambienti della società come la scuola e l’università, il mondo del lavoro e della cultura, la sanità e gli ambienti dell’emarginazione sociale. E a partire dalla valorizzazione delle associazioni e dei movimenti ecclesiali, si tratta in definitiva, di passare da un cristianesimo convenzionale di “atei devoti”, ad una appartenenza ecclesiale responsabile.
Tale corresponsabilità missionaria dovrà, altresì, trovare strutture pastorali adeguate alle nuove sfide di questo tempo, perché si rinnovi una testimonianza cristiana coraggiosa e gioiosa che sappia efficacemente costruire la città degli uomini nella giustizia e nella pace, sappia quindi essere capace di liberarsi dalla barbarie della mafia, dalle piaghe dell’usura e del pizzo e da ogni altra forma di violenza e di illegalità.
Dice di porsi, con l’aiuto di tutti i membri della comunità diocesana, nel percorso di rinnovamento avviato dai suoi predecessori, ma cosa non mancherà sicuramente nella sua azione pastorale? Quali sono i suoi punti saldi? le basi su cui dialogare?
Un punto saldo è l’esperienza di fede derivante dall’incontro personale con Gesù Cristo e dalla sua sequela, a partire dalla quale si è in grado di dialogore con tutti con dolcezza e rispetto. Questo è quello che intendo quando affermo la volontà di valorizzare la tradizione di santità, che è presente non solo nei mosaici del duomo, ma nella Chiesa monrealese cioè nelle persone, nei volti, nelle storie che ieri come oggi rendono bella la Chiesa.
In tal senso intendo pormi nel solco dei miei predecessori. È proprio per questo che Mons. Salvatore Di Cristina ha voluto fortemente la pubblicazione del recente volume “Figure di santità nella Chiesa di Monreale nel Novecento” che raccoglie gli atti di un importante convegno voluto a sua volta da mons. Cataldo Naro mio amico fraterno. Don Aldo l’ho conosciuto alla Gregoriana perché avevamo lo stesso maestro e relatore per la tesi di dottorato, il gesuita p. Giacomo Martina, docente di storia della Chiesa. Poi le amicizie comuni di storici cattolici e laici ci hanno fatto condividere l’interesse per la storia del movimento cattolico in Sicilia.
Un altro punto saldo è quello che riguarda la comunione ecclesiale, la collaborazione e la corresponsabilità di tutti i membri della Chiesa in vista di una nuova evangelizzazione.
Eccellenza, nel suo messaggio di saluto pare tratteggiarsi un grande abbraccio verso questo popolo che Dio Le ha affidato. Il suo è un messaggio di apertura alla società tutta, e alla Chiesa tutta, per arrivare nel tessuto socio-culturale e produttivo del nostro territorio. Come vede il ruolo dei laici, anche alla luce del Concilio Vaticano II?
Urge la conversione della Chiesa affinché la sua guida entusiasmi una società scoraggiata e confusa perché incapace di riconoscere e guardare alla verità, che è la persona di Cristo che tutto appartiene a Lui e che la conversione può cambiare e rinnovare l’uomo e la società intera.
La nuova evangelizzazione presuppone quindi il protagonismo dei laici che mostrino il volto della gente comune che ama perché è amata, ed è importante che essi, per questo, non si sentano dei sudditi ma maturino la consapevolezza di essere compartecipi e corresponsabili della vita della Chiesa non solo come singoli ma anche come associati.
Ciò impone l’accoglienza e la valorizzazione delle varie aggregazioni e movimenti ecclesiali per un comune impegno missionario di testimoniare il Vangelo nei luoghi della vita quotidiana in spirito di servizio.
In un tempo in cui la Chiesa si interroga sul valore e sull’importanza educativa della famiglia, Lei va al cuore della questione, toccando uno dei problemi principali della crisi, che prima che economica è antropologica. Come intende essere presente e propositivo rispetto al tema della famiglia, e in generale dell’uomo: il problema della disoccupazione e della perdita del lavoro, oltre la crisi?
La crisi è crisi della concezione dell’uomo e della famiglia. La sua debolezza non deriva solo da motivi interni alla vita della coppia ma soprattutto da condizionamenti esterni: il sostegno inadeguato al desiderio di maternità e paternità; la difficoltà a conciliare l’impiego lavorativo con la vita familiare, a prendersi cura dei soggetti più deboli, a costruire rapporti sereni in condizioni abitative e urbanistiche favorevoli.
Il crescente numero delle convivenze di fatto, delle separazioni coniugali e dei divorzi, come pure gli ostacoli di un quadro economico, fiscale e sociale che disincentiva la procreazione, sono il frutto tra l’altro del diffondersi di stili di vita che rifuggono dalla creazione di legami affettivi stabili e dei tentativi di equiparare alla famiglia forme di convivenza tra persone dello stesso sesso.
La Chiesa, si deve impegnare a sostenere i genitori nel loro ruolo di educatori, promuovendone la competenza mediante corsi di formazione, gruppi di confronto e di mutuo sostegno. È infatti la famiglia, ogni famiglia, il soggetto di educazione e di testimonianza umana e cristiana che possiede la capacità di generare alla fede propria della Chiesa.
La famiglia va dunque amata, sostenuta e resa protagonista attiva dell’educazione non solo per i figli, ma per l’intera comunità. Deve crescere la consapevolezza di una ministerialità che scaturisce dal sacramento del matrimonio e chiama l’uomo e la donna a essere segno dell’amore di Dio che si prende cura di ogni suo figlio.
Al tema della famiglia come soggetto sociale e fonte di speranza per il futuro della società sarà dedicata la prossima Settimana sociale dei Cattolici Italiani che si terrà nel prossimo settembre a Torino. Per quanto riguarda il rapporto fra la famiglia e il lavoro bisogna riprendere gli interventi del Congresso Mondiale delle Famiglie tenutosi lo scorso anno a Milano e al quale anch’io ho preso parte.
Definisce il seminario e i seminaristi “pupilla dei suoi occhi”, non crede che oggi ci sia ancora il bisogno di aiutare i giovani, uomini e donne, a scoprire la propria vocazione, a rispondere alla chiamata del Signore? Cosa si sente di dire ai giovani e alle giovani della nostra diocesi alla ricerca della propria vocazione? Come incoraggiare la dimensione della ricerca… (pastorale vocazionale)?
Ho trascorso buona parte della mia vita fra i seminaristi: quindici anni da alunno e altri quindici anni come rettore prima del Seminario di Caltagirone e poi del Collegio Capranica di Roma. Conosco bene quindi l’importanza di una cura pastorale particolare e di una formazione integrale umana, culturale, spirituale e pastorale che bisogna riservare alla fucina dei giovani preti.
La parola vocazione nel suo significato originario, come risposta ad una chiamata che parte da un Altro, è contraria alla propaganda di una visione dell’uomo basata sull’autonomia, di colui che basta a se stesso, che pensa di progettare e di costruire la sua vita da sé, tutto teso alla soddisfazione del proprio bisogno egocentrico senza freni e senza limiti.
La sfida oggi quindi si gioca nell’aiutare ogni cristiano, soprattutto i giovani, a rispondere alla vocazione universale alla santità e all’interno di questa, quella al presbiterato, a far scoprire una dimensione vocazionale della vita, cioè ad essere per qualcosa, per una missione, per un compito che ci viene affidato da un Altro, a perseguire con responsabilità il senso ultimo della propria esistenza.
Ricordo in proposito come don Pino Puglisi quando era Direttore regionale per la pastorale vocazionale mi invitò a tenere una conferenza sul tema: “la cresima sacramento della vocazione cristiana”. La preparazione al sacramento della Confermazione può essere un’occasione propizia per la pastorale vocazionale!
E parlando ancora di giovani, i nostri giovani, ma anche i lontani, i sognatori, i disillusi, i giovani che vivono momenti di scoraggiamento, i giovani vittime della droga e della criminalità – anche loro sono presenti nel suo saluto – che messaggio dare? Come dire loro il Vangelo? Come trasmettere la fede?
In questo periodo di crisi morale ed economicca c’è il rischio per i giovani dello scoraggiamneto e dello sbandamento senza valori forti di riferimento, anche per la responsabilità degli adulti che hanno abdicato al loro compito educativo e a una testimonianza credibile di vita. Il compito della Chiesa è dare un messaggio di speranza che è il Vangelo stesso.
Mi auguro che i giovani possano vedere nella chiesa la loro casa e possano trovarsi a proprio agio. Una bella esperienza di chiesa in questo contesto è quella degli oratori. Questi centri svolgono un ruolo fondamentale: far vivere un’esperienza integrale della fede che interessa non solo la liturgia ma anche le attività ludico-ricreative rendendo interessante il tempo libero.
Bisogna inoltre aiutare i nostri giovani a sviluppare una cultura del lavoro e della cooperazione magari attraverso il progetto Policoro della Chiesa Italiana, attivando, come sta avvenendo nella diocesi di Piazza Armerina, per i giovani che vogliono crearsi un lavoro e iniziare un’attività imprenditoriale, un accompagnamento attraverso degli esperti e un sostegno economico attraverso un microcredito riservato a loro.
La nostra cattedrale, come lei stesso scrive, è una delle più belle al mondo: la sua lunga storia, ben rappresentata dalle bellezze storiche e artistiche che ci circondano, ricchezze da scoprire e valorizzare, dice anche la sua vocazione al dialogo con le altre professioni di fede. Lei nel suo messaggio tocca anche questo aspetto; più concretamente cosa non dovrebbe mancare, alla luce degli impulsi di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, ma anche dei pastori di questa chiesa, come mons. Cataldo Naro, in una chiesa particolare nella nostra terra di frontiera e sempre più interetnica?
La diocesi di Monreale possiede un duomo fra i più belli del mondo come ha detto il Card. Ravasi negli ultimi esercizi spirituali predicati alla Curia Romana e a Benedetto XVI, e un cardinale, facendomi gli auguri, mi ha detto “ti auguro che anche i fedeli siano i più santi e i più belli del mondo”.
La bellezza autentica è fonte di spiritualità e rimanda alla bellezza infinita che è Dio stesso. Quella del duomo va colta soprattutto nella celebrazione liturgica, va vissuta in compagnia con il Cristo pantocratore, gli angeli e i santi e va usata che si può usare questo verbo per la bellezza come strumento di evangelizzazione.
Quella del duomo va colta soprattutto nella celebrazione liturgica, va vissuta in compagnia con il Cristo pantocratore, gli angeli e i santi e va usata, se si può usare questo verbo per la bellezza, come strumento di evangelizzazione, attraverso il fascino del bello e la “religiosa magnificenza” con cui uno studioso ha definitito la pietà popolare siciliana.
A questo proposito mi pare molto significativo che TV 2000, l’emittente della conferenza episcopale italiana, in questo anno della fede abbia messo il “Credo” al centro di un ciclo originale di dodici trasmissioni, con inizio domenica 21 aprile utilizzando i meravigliosi mosaici del XII secolo del gioiello unico che il duomo di Monreale. Le dodici puntate saranno curate dal monaco camaldolese padre Innocenzo Gargano, dal giornalista Sandro Magister , dalla storica Sara Magister con la suggestiva colonna sonora di canto gregoriano, che vuole mettere in evidenza il rapporto della belelzza del duomo con la liturgia che vi si celebra come sottolineò il teologo Romano Guardini, molto apprezzato da papa Ratzinger e da Francesco I. Il programma potrà essere visto anche in streaming in tutto il mondo e tutte le spuntate potranno essere riviste su You Tube.La nostra Chiesa ha una grande storia alle spalle che come ogni realtà ha avuto momenti felici caratterizzati da figure di santi e momenti problematici, ancorché complessi, caratterizzati dal difficile rapporto con il territorio. Per temperamento a me piace sempre valorizzare il bene, il bello e il vero, per dirla come i teologi.Non va dimenticato poi che poiché nella progettazione e realizzazione del duomo ci sia stata un incontro fra arte bizantina, araba e latina deve spingerci ad un dialogo ecumenico e intereligioso, che fa parte della vocazione storica della Sicilia, posta al centro del mediterarneo dove si sono sviluppate le tre grandi religioni monoteiste, questo per noi in articolare è sì un impegno ma anche un’eredità.
La nostra è una terra martoriata dalla mafia. Conosce un passato buio, ma anche una bella risposta di lotta e coerenza cristiana, come quella delle tante figure di santità a cui mons. Naro ci ha educati a guardare. Molto si può ancora fare per dire la bellezza di una vita vissuta “alla luce del sole”. Davvero in molti: società civile, giovani, associazioni, vedono in Lei un alleato per la lotta alla mentalità mafiosa, auspicando ad una sua presenza in incontri-dibattiti pubblici, ecc. Come vede questo ottimismo con il quale la società civile, intende accoglierLa?
L’arcivescovo Naro, che aveva una conoscenza non superficiale della mentalità mafiosa, mostrava al popolo chiari modelli di vita più desiderabili di quelli proposti dai boss. Per questo voleva in diocesi, accanto alle centrali del malaffare, i monasteri, e accanto alle icone dei boss, le figure dei santi locali. Era il suo modo di combattere la mafia. Ma era anche il suo modo di lottare per riformare la Chiesa.
Impariamo quindi sempre meglio che la Chiesa ha un compito irrinunciabile di annuncio della buona notizia dell’amore di Dio, che è inseparabile dalla sete di verità e dalla fame di giustizia che si coniuga con la sfida educativa di denuncia del male e di richiamo alla vita morale cristianamente orientata.
La coscienza che la Chiesa è venuta gradualmente maturando circa l’incompatibilità della mafia con la vita cristiana è stata accompagnata dall’esigenza di prevenire i fenomeni criminosi formando coscienze cristiane capaci di invitare i mafiosi a pentirsi e a diventare uomini nuovi.
Giovanni Paolo II, con il suo “grido” ai mafiosi nella valle dei templi ad Agrigento, ha messo in evidenza come i cristiani possono contrastare la mafia a partire dal Vangelo e la Chiesa siciliana che ha intrapreso questa via non può tornare indietro.
Questo cammino storico della Chiese di Sicilia è stato, per così dire, suggellato dalla splendida testimonianza del martirio dell’ormai prossimo beato don Pino Puglisi, ucciso dalla mafia perché fedele al suo ministero di prete, e la memoria di questo martirio è un impegno serio e oltremodo decisivo per la Chiesa siciliana tutta. Ma alla figura di Don Pino Puglisi non va dimenticata quella di numerosi altri uomini tra cui vari magistrati ed esponenti delle forze dell’ordine e della società civile che nell’ordinarietà della loro vita sono state vittime innocenti della mafia.
Non bisogna abbassare la guardia per contrastare la criminalità mafiosa, e i cristiani devono trovare motivazioni valide per contrastare questo fenomeno a partire dalla loro originale esperienza di fede e dalla loro appartenenza ecclesiale.

11. La dimensione della prossimità e della vicinanza non esclude nessuno ed il suo saluto arriva agli emarginati, alle famiglie che vivono lutti improvvisi o il calvario della malattia. Ritrovare o costruire un nuovo senso di comunità, tra passione per la vita e le sue bellezze, ma anche dimensione della condivisione e della solidarietà… è forse questo che il mondo si aspetta?
Nel nuovo Papa Francesco mi ha colpito l’insistere sulla categoria di popolo che vive la fraternità. Si tratta di condividere le gioie e le speranze, le paure e le angoscie del nostro popolo. Bisogna ridestare lo spirito comunitario, perché ognuno porti il peso dell’altro, per imparare a condividere l’umile arte del camminare insieme, dello stancarsi insieme, del rimettersi in cammino insieme, insomma di sperare insieme.
È necessaria, per questo, una pastorale impostata sulla corresponsabilità e la partecipazione fra clero e laici, per formare cristiani adulti capaci di svolgere nelle parrocchie i vari ministeri laicali e di testimoniare la propria fede in tutti gli ambiti della vita soprattutto nel mondo della cultura e del lavoro.

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