domenica, giugno 12, 2011

La verità del pentito su De Mauro: "I generali golpisti dissero di zittirlo"

Mauro De Mauro
di ENRICO BELLAVIA
Parla il collaborante Francesco Di Carlo, già capo della famiglia di Altofonte. "Non per colpa dei magistrati ma è un processo monco: mancano gli altri mandanti"
"Riina ha dato l'assenso all'omicidio di De Mauro, ma la sua fine ha un'origine tutta romana. Da Roma era venuto l'ordine di tappargli la bocca. Bisogna guardare ai rapporti che Cosa nostra aveva con i generali per il golpe Borghese (7-8 dicembre 1970, ndr), lì ci sono i mandanti". Parla il collaborante Francesco Di Carlo, già capo della famiglia di Altofonte. Nel 2001 Di Carlo riferì per primo del caso De Mauro. Ha saputo dell'assoluzione di Riina dalla tv, fuori dalla Sicilia dove vive sotto protezione, ma non sembra sorpreso.
Perché, signor Di Carlo?
"Perché Riina, che sostituiva Luciano Liggio nel triumvirato alla guida di Cosa nostra nel 1970 (gli altri due erano Gaetano Badalamenti e Stefano Bontate, ndr) ha avuto un ruolo importante ma non centrale".
Che vuol dire?
"La decisione di eliminare De Mauro fu assunta da Cosa nostra dopo che Emanuele D'Agostino, uomo di Stefano Bontate, riferì a quest'ultimo che il giornalista sapeva tutto del golpe Borghese. Prima però ci fu un consulto romano, come ho raccontato nei miei interrogatori e nel libro "Un uomo d'onore"".
Chi erano i protagonisti?
"I capi delle altre province erano i più attivi nel progetto di golpe: Pippo Calderone di Catania e Beppe Di Cristina di Riesi andavano continuamente a parlare con il generale Vito Miceli (a capo del Sid, servizio informazioni della difesa, un mese dopo la morte di De Mauro, ndr) e con il colonnello Gianadelio Maletti (numero due del Sid, ndr). C'erano continue riunioni: a Palermo il più interessato era Bontate. E da Roma arrivavano rassicurazioni da uomini dei servizi segreti, che poi ho ritrovato negli elenchi della P2".
C'erano altri siciliani coinvolti?
"Ricordo che uno dei consiglieri di Di Cristina, organico a Cosa nostra però, era un certo Volpe che era anche in politica. Un altro, esterno a Cosa nostra, era l'avvocato Vito Guarrasi che era in rapporti con Beppe Di Cristina ed era vicino ai Servizi, come mi fu confermato anni dopo dal generale Giuseppe Santovito (capo del Sismi, il servizio segreto interno, ndr) che conoscevo personalmente".
Tutti morti però...
"No, Maletti ha anche testimoniato in Italia, venendo dal Sudafrica con un salvacondotto. Ho letto anche che la Procura vuole approfondire la presunta falsa testimonianza di Bruno Contrada che ricorre in molte vicende che ho raccontato".
Lei ha detto che De Mauro fu sepolto alla foce dell'Oreto. Un altro collaborante, Rosario Naimo, ha indicato una proprietà del clan Madonia. Gaetano Grado, invece, il giardino di Maredolce. Vi siete contraddetti a vicenda?
"Credo che Naimo si sia confuso con un'altra storia che riguardava il seppellimento di uomini fatti scomparire nella guerra di mafia a San Lorenzo: le ossa furono spostate perché all'Ucciardone nel sonno qualcuno rivelò il luogo, ma non erano di De Mauro. Grado forse sperava di rintracciare la tomba di suo fratello Nino. No, De Mauro fu seppellito all'Oreto, dopo essere stato interrogato in una proprietà di Bontate, ma la zona ormai è irriconoscibile".
Lei come seppe dell'ordine di eliminare De Mauro?
"Fui contattato da Bontate che mi chiese di rintracciare Riina, e a San Lorenzo ci fu una riunione. Badalamenti non era presente ma fu informato. Di Cristina disse anche che Guarrasi gli aveva raccontato di una visita di De Mauro".
Sta di fatto che la verità giudiziaria si allontana ancora.
"Va sempre così quando ci sono pezzi dello Stato coinvolti. Non per colpa dei magistrati, ma questo è un processo monco: mancano gli altri mandanti".
La Repubblica-Palermo, 12.06.2011

Nessun commento: