venerdì, giugno 10, 2011

Dieci anni fa fra Bernardo da Corleone veniva proclamato santo da Papa Wojtyla

10 giugno 2001. Papa Wojtyla proclama santo fra Bernardo
Oggi ricorre il decimo anniversario della canonizzazione di fra Bernardo, l’umile frate cappuccino, originario di Corleone, che Papa Karol Wojtyla chiamò agli onori dell’altare il 10 giugno del 2001. Ma le iniziative per rendere solenne l’evento sono già iniziate da tempo. Domenica 22 maggio, infatti, le reliquie di San Bernardo, custodite nel convento dei Cappuccini di Palermo, sono arrivate nella chiesa Madre di Bivona. Il 26 maggio, invece, sono arrivate nella chiesa Madre di Castronovo di Sicilia. Il 2 giugno, infine, sono arrivate nella Chiesa Madre di Corleone, dove si è tenuta una due giorni con la presenza di tanti fedeli provenienti da tutta la diocesi, conclusa da una messa presieduta dall’arcivescovo Salvatore Di Cristina. San Bernardo, al secolo Filippo Latino, figlio del conciapelle mastro Leonardo. Filippo era nato a Corleone il 6 febbraio del 1605. Il padre era originario di Chiusa Sclafani, mentre la madre, Francesca Sciascia, era corleonese. Vivere a Corleone in quegli anni non era facile. Specie per la povera gente. Probabilmente Leonardo Latino vi si era trasferito dalla vicina Chiusa Sclafani nella convinzione che in una cittadina più grande avrebbe potuto con più facilità sbarcare il lunario. Corleone, infatti, era una città del demanio regio, non aveva un si¬gnore che poteva decidere della sua sorte, ma un pretore, dei giurati e un sindaco che l’amministravano per conto della Corona. Crescendo, Filippo incarnò bene il modo di essere della sua città. Aveva un carat¬tere fiero, una volontà di ferro e manifestava insofferenza per le regole e per la disciplina. Se a ciò si aggiunge che si era tanto appassio¬nato all’arte della scherma, da cogliere ogni occasione per lasciare la bottega del padre o quella del calzolaio, dove era stato mandato per imparare un mestiere, e correre ad addestrarsi nel maneggio della spada, si possono ben capire le preoccupazioni della sua famiglia. La “tentazione”, tra l’altro, l’aveva a portata di mano. A Corleone, infatti, da poco tempo erano stati ultimati i lavori di costruzione della caserma e, il primo maggio del 1618, era arrivata in paese la prima compagnia di sol¬dati, detti Borgognoni perché assoldati in gran parte nell’antico Ducato di Borgogna, al servizio del cattolicissimo Re di Spagna. Filippo e, con lui, altri ragazzi di Corleone subirono immediata¬mente il fa¬scino delle parate, delle manovre e delle esercitazioni militari. In questo erano incoraggiati dal governo dell’isola, fortemente interessato a preparare future reclute per le regie armate. Giorno dopo giorno, il giovane cominciò a prendere confidenza con le armi e ben presto imparò da quei soldati l’arte della scherma. Ma «in brevissimo tempo fece tali progressi… da non avere più bisogno degli insegnamenti altrui, anzi, continuando ad esercitarsi senza posa e con passione alle finte, ai mulinelli, alle passate, alle stoccate e ai rovesci, sarebbe arrivato alla gloria di sentirsi procla¬mare, un giorno, prima spada di Corleone ed anche di tutta la Sicilia», racconta fra Girolamo da Parigi nel volume “Il Beato Bernardo da Corleone”, edito a Palermo nel 1961.
«Cessa - gli diceva la madre - cessa di maneggiare codesta spada, perché essa ti apre una via che conduce a precipizi sconosciuti! Lascia dunque quel brutto arnese! Tu ne sarai contento ed io lo sarò più di te, io, tua madre che ti ama tanto!». Anche i fratelli e le sorelle rimprove¬ravano amorevolmente Filippo, invitandolo a lasciar perdere uno sport così pericolo, ma egli non intendeva ragione. «Dopo tutto, di¬ceva a se stesso per tranquillizzare la coscienza, la mia spada è stata e sarà sempre cristiana, perciò mia madre non può opporsi all’uso che ne faccio, poiché essa non vuole altro da me che una cosa: ve¬dermi agire da cristiano». Ma in un pomeriggio d’estate del 1626, sfidato a duello dal palermitano Vito Canino, Filippo lo affrontò e gli tranciò di netto i nervi del braccio destro, rendendolo invalido per tutta la vita. Per il giovane corleonese fu un vero e proprio shock, che lo fece riflettere sull’indirizzo da dare alla sua vita. Da lì a poco, cambiò radicalmente vita e decise di farsi frate cappuccino. Peregrinò in tanti conventi della Sicilia, praticando l’obbedienza e l’umiltà. Quando morì nel convento dei cappuccini di Palermo, il 12 gennaio 1667, da tanta gente era già considerato un santo.
Dino Paternostro

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