mercoledì, settembre 16, 2020

Mauro De Mauro, un mistero lungo che oggi compie cinquant’anni


Mauro De Mauro

di SERGIO BUONADONNA
Lo scoop annunciato, la scomparsa, i depistaggi: il 16 settembre 1970 iniziava il giallo del giornalista de “ L’Ora”. Raccontato da un suo collega
Un delitto di mafia, senza impronta, è tutto ciò che rimane di Mauro De Mauro. Il giornalista dell’Ora fu sequestrato la sera del 16 settembre di cinquant’anni fa a pochi metri da casa, in viale delle Magnolie, dove lo aspettarono invano la figlia Franca e il fidanzato Salvo Mirto, che improvvisamente udirono una voce gridare «amunì» , uno sbattere di porte e l’auto sgommare verso viale delle Alpi.

Da allora è il buio. Tre processi (nel 1983, 1992 e 2001), un incrociarsi di indagini di polizia e carabinieri che si ostacolavano a vicenda, piste più o meno credibili. altre fantasiose e soprattutto infiltrazioni e depistaggi che hanno condotto il caso in un vicolo cieco. A dare qualche sprazzo di luce, le rivelazioni di Buscetta, Mutolo, Francesco Marino Mannoia, Francesco Di Carlo. Ma i pentiti non sono serviti a infrangere quello che Franca De Mauro, definisce “un muro di gomma”. L’ultimo processo - in Cassazione - nel 2015 s’è chiuso con l’assoluzione di Totò Riina dall’accusa di essere stato il mandante del sequestro De Mauro.

Eppure il capo dei capi - stando ai pentiti - avrebbe fatto parte con Bernardo Provenzano del commando che eseguì il rapimento, portando subito De Mauro a Villagrazia nel baglio di Stefano Bontade, il boss di Palermo Est.

Dopo averlo “interrogato”, un fedelissimo del capomafia, Emanuele D’Agostino avrebbe strangolato Mauro, poi sepolto sotto qualche metro di terra dell’agrumeto. Ma il corpo non è stato mai ritrovato, rafforzando l’idea che la confessione fosse frutto di mitomania.

La domanda delle domande di questo grande giallo del Novecento è che cosa di così clamoroso avrebbe scoperto il giornalista dell’Ora che nel decennio 60- 70 era stato una delle firme di punta del giornale del pomeriggio palermitano che sotto l’impulso e l’intelligenza di Vittorio Nisticò era stato fin dal 1958 la spina nel fianco della mafia. E De Mauro spesso era stato in prima linea.

«Ho in mano uno scoop che mi darà il premio Pulitzer», aveva confidato pochi giorni prima alla figlia Franca, aggiungendo «ma non posso dirti di più per non coinvolgerti» e forse imprudentemente lo avrà detto anche a qualcuno di cui pensava di potersi fidare.

Ma tanto basto a scatenare ipotesi investigative suggestive e tutte improduttive. De Mauro - collaborando alla sceneggiatura del film “Il caso Mattei” di Francesco Rosi - avrebbe scoperto chi aveva ordito l’attentato al patron dell’Eni: il suo rivale interno Eugenio Cefis con la complicità del potente Mister X palermitano, identificato nell’avvocato Vito Guarrasi (ipotesi che il processo non è riuscito a dimostrare). Un nome, quello di Guarrasi, che ritorna anche nella pista che avrebbe portato al fitto intreccio politico-finanziario tra esattorie e Democrazia cristiana. Ancora il giornalista, che aveva avuto da giovane un passato fascista nella X Mas di Junio Valerio Borghese, aveva scoperto i piani del golpe, che in effetti Borghese avrebbe tentato nel dicembre ’ 70, con l’aiuto della mafia.

I carabinieri dell’allora colonnello dalla Chiesa indagavano su un’altra scoperta che sarebbe stata sensazionale: lo sbarco dell’eroina nei territori di Tano Badalamenti.

In tutti e tre i casi la mafia avrebbe avuto un ruolo determinante. Ecco perché quello di De Mauro è un delitto senza impronta. Ma nel mirino c’era anche L’Ora, il giornale che voleva sapere troppo. Nisticò avvertì presto quel pericolo e non smise mai di denunciarlo, di pretendere un’indagine sulle indagini che non esitò a definire fumetti polizieschi buoni solo a depistare e insabbiare il caso. Come in effetti fu.

Ma chi era veramente Mauro De Mauro? Una pubblicistica fantasiosa ha costruito per decenni un’immagine complottistica del giornalista, alimentando la figura romantica del cavaliere solitario.

Io l’ho conosciuto bene e gli devo il mio inusuale avvio al mestiere. Era una persona semplice, generosa, entusiasta, le novità di costume, scientifiche, politiche, giudiziarie, lo appassionavano e non negava mai un consiglio ai giovani. Tanti nella sinistra vedevano con sospetto il suo arrivo all’Ora alla fine degli anni ’ 50, ma Nisticò aveva visto giusto. De Mauro era un grande giornalista da reportage, quello che mancava al quotidiano vicino al Pci, scrittura fluida e brillante, nonostante gli venisse rimproverata una certa affezione al whisky (con ghiacchio). E L’Ora ne beneficiò. E anch’io. Il 7 marzo 1967 mi chiese di scrivere una lunga didascalia a una foto sull’8 marzo. Io giovanissimo apprendista e fedelissimo alla causa, scrissi una decina di righe in stile sovietico. Me ne disse di ogni, col suo vocione alla Bud Spencer, la risata che fendeva l’aria, il corpo claudicante che nel momento dell’ira sembrava piegarsi di 90 gradi. «Ma che c... scrivi, pensa a...». Mi sentii perso, una carriera finita prima di iniziare, raccolsi ogni residua energia e riscrissi. Fu un trionfo e di lì cominciò a seguirmi come un padre. Nacque così, un mese dopo, l’inchiesta sui complessi beat di Palermo (“Mille chitarre in cerca di successo”) che svelò un mondo fin allora sconosciuto al giornale. Tutto ciò e molto altro Mauro incoraggiò anche quando cadeva nel grottesco come accadde durante il Palermo Pop 70. Riuscì a imporre a Duke Ellington una crosta di un suo amico pittore, Rito Arcuno che aveva un solo merito: baffoni ottocenteschi e risate senza perché. Per Mauro era il massimo della futilità e riuscì a portarlo al cospetto del Duca con il suo improbabile dono.

La Repubblica Palermo, 16 settembre 2020

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