domenica, settembre 06, 2020

Il personaggio. Cosimo Scordato. “I miei 35 anni a Palermo: la città senza un progetto”

Don Cosimo Scordato
di SARA SCARAFIA 
Prima di celebrare stasera alle 19 la sua ultima messa come rettore di San Francesco Saverio, la chiesa che ha “fondato” 35 anni fa nel cuore dell’Albergheria, inaugurerà la “casa della salute”, un progetto finanziato in gran parte dal Rotary e messo su con le maestranze del quartiere, che garantirà visite specialistiche gratuite. Un ambulatorio dopo la trattoria, la gelateria, la pizzeria e l’impresa di pulizia nate dalla consapevolezza che se la Chiesa non promuove il riscatto sociale rischia di fallire. Se lo chiami prete di frontiera, padre Cosimo Scordato, 71 anni, dice che preferisce «prete local»: «Le parrocchie devono riscoprire la loro vocazione territoriale, andare lì dove è la gente». Stasera per la messa sarà montato un maxi schermo in piazza e la sua immensa comunità ha già preparato i fazzoletti.

Scordato se ne va senza cedere il testimone. L’arcivescovo Corrado Lorefice, che stasera non sarà in piazza San Saverio, non ha ancora scelto il successore e nell’attesa manderà «a turno alcuni sacerdoti» fanno sapere. Il primo pare sarà Carlo Cianciabella, un prete quarantenne che è parroco a Villagrazia di Palermo, e al quale Scordato sarebbe felice di lasciare il timone.

Padre Cosimo, perché lascia l’Albergheria?
«Perché il quartiere ha bisogno di un cambiamento. Quando un progetto cammina sulle proprie gambe bisogna avere il coraggio di lasciarlo andare. E San Saverio è un grande progetto collettivo — penso a Nino Rocca, Maria Di Carlo, Augusto Cavadi, Maria Pia Giordano, don Francesco Stabile, Michela Alamia, Massimo Messina e tanti altri — che oggi conta su una comunità matura». Scordato che il 30 settembre compirà 72 anni — alla festa dei 70 anni in chiesa c’era pure l’amico Francesco De Gregori — ha svuotato la sua casa nel quartiere e donato alle biblioteche dei seminari e a quella dell’Abatellis migliaia di volumi.
Mentre passeggia tra l’Albergheria e Ballarò è un continuo fermarsi per un saluto e una domanda: «Non sparisci vero?».

Cosa farà?
«Continuerò a insegnare alla facoltà teologica. Mi prenderò un periodo sabbatico e poi cercherò una chiesa tra Palermo e Bagheria, la mia città, per dare una mano e celebrare. All’Albergheria verrò, da amico».

Che quartiere era l’Albergheria 35 anni fa?
«Quando misi gli occhi su questa chiesa era quasi chiusa. Il quartiere era difficile, come del resto lo è oggi, ma allora metteva paura: non c’era niente. Ci veniva padre Pino Puglisi a fare formazione con i ragazzi della federazione universitari cattolici: e lui ci spinse a insediarci. Nel 1986 la inaugurammo con il cardinale Pappalardo che ci diede la missione di trasformarla in un posto dove si coltivasse la preghiera, la cultura e la promozione sociale. Noi ci muovemmo come esploratori».

Cosa faceste?
«Volevamo conoscere il quartiere. E quando Donatella Natoli aprì il distretto socio sanitario ci aiutò a individuare le emergenze: dall’infanzia alla salute, dalla casa al lavoro. Così partirono i progetti che poi sono diventati impresa sociale, come la trattoria».

Per aprire il ristorante “Il vicolo” mise soldi di tasca sua?
«Mettemmo in cinque una quota per la ristrutturazione, poi il progetto andò avanti con le forze del quartiere. E oggi va bene, anche se è disturbato dall’abusivismo che regna intorno. Dal 14 settembre il mercato dell’Albergheria dovrebbe essere finalmente regolamentato dopo un lavoro di mediazione durato anni».

Se dovesse scegliere tre momenti che raccontino questi 35 anni?
«Quando nel 1988-1989 c’erano 120 bambini al centro sociale e nessuno in strada. Quando negli anni Novanta, dopo l’ennesimo crollo, facemmo diversi giorni di sciopero della fame per l’emergenza casa qui in piazza. Quando nel 2014 si laureò Mario in Ingegneria, il primo laureato tra i nostri ragazzi. L’ultimo, il settimo, Giovann Battista, si è laureato a luglio in Scienze della formazione. Ad ogni laurea le campane della chiesa suonano a festa».

Che ricordi ha dello scandalo pedofilia che negli anni Novanta sconvolse il quartiere?
«Un giorno, dopo la messa, facemmo una marcia spontanea fino a Santa Chiara per dire a padre Meli e agli altri che c’eravamo. Ci trovammo impreparati a gestire una cosa così grande e grazie al professore Giovanni Fiandaca organizzammo un convegno che mise tutti attorno a un tavolo e finalmente la procura dialogò con la procura dei minorenni».

Che quartiere è oggi l’Albergheria?
«Un quartiere difficile dove la droga è tornata a girare e a essere considerata un lavoro. Un quartiere che ha avuto un piccolo ristoro dal reddito di cittadinanza, ma al quale serve un progetto. Molte luci sono state accese, bisogna continuare».

E Palermo? Come sta?
«È una città che è cambiata profondamente ma non ha un progetto di sviluppo. Trentacinque anni fa l’emergenza era la mafia, una mafia prepotente e radicata. Oggi la mafia c’è ancora ma l’emergenza è la mancanza di un modello di sviluppo che dovrebbe partire da un’analisi quartiere per quartiere».

Chi dovrebbe farla?
«Le istituzioni, compresa l’Università che dovrebbe aprire le sue porte al territorio e dialogare con la politica. Sull’Albergheria facemmo un’indagine conoscitiva tra gli altri con le docenti di statistica sociale Enza Capursi e Ornella Giambalvo. Ma poi non è arrivato il modello di sviluppo».

Palermo è una città accogliente?
«Idealmente sì. Ma c’è molta idealità e poca progettualità: perché non si riescono a integrare i migranti in progetti sociali come la pulizia, per esempio?». Poco lontano dalla chiesa una donna nera rovista nella spazzatura in pieno giorno.

Che sindaco è stato Orlando?
«Passo. Anzi no, una cosa la dico».

Prego.
«Ha la stoffa di un buon politico, ma forse anche lui dovrebbe passare la mano».

E l’arcivescovo Corrado Lorefice?
«Persona ottima e culturalmente aperta, ha solo qualche difficoltà a mantenere i contatti con il clero locale».

Le dispiace che stasera non ci sarà?
«So che è impegnato altrove. Se venisse farebbe piacere a me e alla gente».

De Gregori verrà?
Ride. «Ma no! Sarà semplicemente un passaggio di consegne».

Palermo ha una speranza?
«Sì. Ma deve raccogliere tutto quello che ha: creare una grande assemblea dal basso che metta insieme quello che si muove nei quartieri. Un’assemblea che dialoghi con le istituzioni, che a loro volta dovrebbero dialogare con l’università perseguendo un modello di sviluppo che parta dai bisogni dei territori».

Nelle sue omelie ha preso posizione sui diritti civili, dalle unioni omosessuali all’eutanasia. A che punto è il cammino della Chiesa in questa direzione?
«Si va avanti nonostante le resistenze di alcune frange. Dio vuole l’uomo libero e nessuna regola può valere più della propria coscienza».

Le mancherà l’Albergheria?
Silenzio. «È dentro il mio cuore». All’Albergheria manca già.

La Repubblica Palermo, 6 settembre 2020

Don Cosimo mentre celebra la sua ultima messa a S. Francesco Saverio all’Albergheria la sera del 6 settembre 2020


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