mercoledì, settembre 24, 2014

Il blitz di Corleone. "Il potere dei Riina sui terreni della Chiesa"



Il Santuario di Tagliavia e i terreni circostanti
Così i boss si contendevano il feudo della Curia di Monreale. L'inchiesta che ieri ha portato in carcere cinque presunti boss ricostruisce la vicenda di una mafia antica. Cosa nostra si sarebbe arrogata il diritto di comandare sulle terre attorno al santuario della Madonna di Tagliavia, nel Palermitano.
PALERMO - Totò Riina dettava legge su tutto e tutti. Ogni decisione doveva passare dal capo dei capi. Era il padrino a decidere persino quali animali dovessero pascolare sui terreni del Corleonese. E non importa che i terreni non fossero suoi. Sorprendente, però, è il fatto che appartenessero, allora come oggi, alla Chiesa.

Il blitz dei carabinieri del Gruppo Monreale, che ieri ha portato in carcere cinque presunti boss di Corleone e Palazzo Adriano, racconta anche la vicenda di una mafia antica. Rurale. Una mafia che si sarebbe arrogata il diritto di comandare su un immenso appezzamento di terreno - 84 ettari - attorno al santuario di Maria Santissima del Rosario di Tagliavia. E i diritti, sul solco di una tradizione feudale, non si perdono mai. Si tramandano. Figuriamoci se c'è di mezzo uno come Totò Riina. I terreni, poco distanti da Ficuzza e lungo la strada che conduce a Corleone, sono intestati alla Mensa arcivescovile di Monreale e alla Parrocchia Santa Maria del Rosario.
Le microspie hanno captato la controversia fra Rosario Lo Bue e Antonino Di Marco sulla gestione del pascolo. Lo Bue, classe 1953, è un nome noto alle cronache giudiziarie. Nei giorni del blitz Perseo - dicembre 2008 - veniva indicato come il nuovo capo mandamento di Corleone. Da quel mega processo uscì assolto perché le intercettazioni che lo riguardavano furono dichiarate inutilizzabili. Il 3 gennaio 2012 Di Marco, arrestato ieri, raccontava a Nicola Parrino, pure lui in manette, che erano sorti contrasti fra Leoluca Lo Bue, figlio di Rosario, e Vincenzo Di Marco, fratello di Antonino. Anche Vincenzo non è un nome nuovo alle cronache: fu arrestato all'indomani della cattura di Totò Riina, di cui favoriva la latitanza.
Pochi mesi dopo della questione terreni parlavano Di Marco e il nipote Francesco. E veniva a galla l'interesse di cognomi pesanti: Giuseppe Salvatore Riina, Ninetta Bagarella e Franco Grizzaffi. Sono il figlio, la moglie e il nipote del capo dei capi. Dalla conversazione fra i Di Marco, zio e nipote, saltava fuori che i terreni sarebbero utilizzati da Francesco, ma Leoluca Lo Bue vi pascolerebbe gli animali vantando antichi diritti. Eppure sembrerebbe che i Di Marco avessero il benestare proprio dal padrino corleonese.
Antonino Di Marco informava il nipote di aver incontrato “Franco” a cui avrebbe chiesto un parere. “Franco” gli avrebbe consigliato di parlarne con ”Rosario”. Da “Rosario” Di Marco avrebbe poi appreso che della questione erano stati informati “Salvuccio", "la signora" e "Franco”. Che vengono identificati in Giuseppe Salvatore Riina, che ha finito di scontare la condanna per mafia (Di Marco avrebbe fatto pure un esplicito riferimento alla partenza di Salvuccio, che da tempo si è trasferito a vivere a Padova), Ninetta Bagarella, moglie di Riina, e Francesco Grizzaffi, nipote del padrino, arrestato, condannato per mafia, scarcerato nel 2012 e sorvegliato speciale. Grizzaffi è anche cognato di Rosario Lo Bue, visto che hanno sposato due sorelle.
Lo Bue si era detto disponibile a garantire anche i diritti di Salvuccio, Ninetta e Franco, ma si era beccato i rimbrotti di Di Marco per non essere riuscito a trasmettere al figlio l'educazione dei "vecchi". Le incomprensioni sui terreni, a suo dire, nascevano dalla contemporanea assenza di Bernardo Provenzano (“Binnu”), Salvatore Riina (“Totò”), Leoluca Bagarella (“Luca”) e Giovanni Grizzaffi, altro nipote di Riina. Alla fine Lo Bue avrebbe fatto un passo indietro, lasciando il diritto di comandare sulle terre a Di Marco, nonostante, diceva, Giuseppe Salvatore Riina, ritenesse sbagliata l'antica scelta di impedire ai Lo Bue l’utilizzo di quelle terre. Terre che non appartenevano, allora come oggi, ai mafiosi ma alla curia di Monreale. Un caso che rischia di non essere isolato e su cui si stanno concetrando il procuratore aggiunto Leonardo Agueci e i sostituti Sergio Demontis e Caterina Malagoli.

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