sabato, settembre 27, 2014

Roma, la sen. Fedeli sul libro dei sindacalisti uccisi dalla mafia: "Esempi di coraggio..."

L'intervento della sen. Valeria Fedeli
Questa mattina ho partecipato alla presentazione del libro “Una strage ignorata”.
Queste le mie parole di saluto.
VALERIA FEDELI*
Buongiorno a tutte e tutti, grazie per l’invito. È un piacere per me essere con voi, a portare il mio saluto e quello del Senato. È per me importante poter condividere le impressioni che la lettura di questo testo mi ha suscitato. Intendo subito dichiarare di essere stata affascinata dalla lettura del libro per due aspetti fondamentali: il primo riguarda l’attenzione, posta dall’analisi delle vicende siciliane, alla dimensione nazionale, mentre il secondo si riferisce al valore civile che un’opera di studio come questa può trasmettere alle nuove generazioni. Spesso nel nostro paese fare ricerca storica vuol dire cimentarsi in difficili percorsi intellettuali tra fonti, documenti, idee e valori anche molto diversi tra loro. Però la continua ricerca sui fatti porta a una conoscenza reale e profonda che deve essere assunta come punto di riferimento di fondamentale importanza.
* Senatrice della Repubblica (Pd)
Un momento della presentazione
La conoscenza, in quest’ottica, non è solamente un dovere etico e scientifico, ma soprattutto politico, nel senso più nobile della parola. A coloro che hanno pagato con la vita, per mano mafiosa, la lotta per l’emancipazione dei lavoratori e delle lavoratrici e delle loro famiglie, dobbiamo oggi ancora più rispetto e riconoscimento: contribuirono alla presa di coscienza collettiva del fenomeno mafioso, della necessità di un movimento bracciantile più unito, dell’importanza del sindacato come motore del cambiamento attraverso la mobilitazione popolare, l’aggregazione, la funzione ineliminabile dell’unità dei salariati.
Il protagonista di questo libro è il Sindacato agricolo siciliano, un pezzo della sua storia, la sua funzione e il suo ruolo nella società italiana. Ma soprattutto, vorrei sottolineare che l’uccisione di decine di sindacalisti, avvenuta per mano mafiosa in Sicilia tra il 1944 e il 1948, non ha impedito evidentemente di fare emergere, nel tempo, l’importanza di quelle formidabili biografie personali che si sono intrecciate con la storia con la “s” maiuscola: le due entità non sono mai del tutto separate né separabili, perché la Storia è composta dalle storie, e viceversa. Per questo, i veri protagonisti sono loro, braccianti e capilega che decisero di affrontare le ingiustizie del latifondismo e della mafia, uomini e donne che contribuirono a quel particolare laboratorio sociale che fu la Sicilia di allora, legati a quell’Italia contadina e a quel filo rosso dell’Unità, della Liberazione, e della maturazione della riforma democratica del sistema sociale ed economico regionale e nazionale.
Ecco dunque l’importanza di ricerche storiografiche come quella che presentate oggi: la conoscenza storica come memoria collettiva, e la memoria collettiva come costruzione del futuro. Si tratta di una straordinaria operazione culturale, che specialmente i media possono e devono contribuire a fare, come è stato, ad esempio, per importanti inchieste giornalistiche o anche opere cinematografiche: basta citare, appunto, il film su Placido Rizzotto, in cui il giovane Segretario della Camera del Lavoro corleonese, a un certo punto, elenca le date, i nomi, i luoghi degli eccidi dei sindacalisti compiuti dalla mafia.
Fa impressione leggere la cronologia che segna l’escalation degli atti terroristici contro dirigenti e attivisti del movimento contadino, la cui data di inizio viene fatta risalire, come ci ricorda nel libro Dino Paternostro, al 16 settembre del 1944, con l’attentato a Girolamo Li Causi, segretario regionale del PCI, durante un comizio a Villalba, “feudo” di don Calò Vizzini. Però desta ancora maggiore indignazione il documento con cui la Cgil siciliana riferì, alla prima Commissione antimafia, nell’ottobre 1963, che “nelle sue lotte il sindacato si era trovato sempre circondato dalla solidarietà di tutti i siciliani, ma non aveva trovato mai, purtroppo, un efficace sostegno da parte delle autorità dello Stato“. E questo è un punto fondamentale, perché quelle persone lottavano per obbiettivi e necessità nobili che poi hanno trovato spazio anche nella nostra Costituzione, come nell’articolo 44, che riconosce che “al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla sua estensione secondo le regioni e le zone agrarie, promuove ed impone la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unità produttive; aiuta la piccola e la media proprietà“.
Dunque è anche grazie a queste persone se oggi possiamo riaffermare con forza e grande consapevolezza la presenza dello Stato al fianco di cittadini e cittadine, e soprattutto accanto a coloro che affrontano ancora i ricatti delle organizzazioni criminali. Il cambiamento iniziato grazie a questi braccianti è oggi più solido che mai, non lo ha fermato la mafia di settanta anni fa e non lo fermeranno le mafie di oggi, che pongono nuove grandi sfide in materia di ambiente, finanza, commercio, tratta di esseri umani. Ma al contempo, le mafie di oggi riescono ad esercitare sempre meno influenza culturale, soprattutto in una Sicilia fortemente rinnovata. Basta pensare a quella forte cultura della legalità che sempre più spesso viene diffusa, oltre che esercitata, da cittadini e cittadine, dal sindacato di categoria e confederale, da imprenditori e imprenditrici, da uomini e donne delle istituzioni, da operai ed operaie. Tutte persone a cui lo Stato non dovrà mai far mancare il proprio sostegno.
Su quest’ultimo punto, credo non sia affatto retorico riconoscere l’importanza di una serie di iniziative che da diversi anni marcano l’impegno della società civile e delle istituzioni per la legalità. Penso, ad esempio, alla “Nave della legalità”, appuntamento che si rinnova ogni anno, grazie al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e alla Fondazione Giovanni e Francesca Falcone, con l’obiettivo di realizzare concretamente nelle scuole un’educazione alla legalità. Oppure, pensiamo all’impegno di Don Ciotti e delle circa 1600 associazioni che aderiscono a Libera, con importanti progetti non solo di educazione alla legalità, ma anche di liberazione e protezione, del tessuto economico del paese, dalle mafie. E a proposito di tessuto economico e mondo del lavoro, pensiamo a quanto sia importante, oggi, il fatto che siano le stesse associazioni delle imprese ad espellere quegli imprenditori che, pagando il racket e non denunciando, contribuiscono a loro modo a far sopravvivere quella zona grigia di collusione tra mafia e imprenditoria; l’esempio del codice etico di Confindustria è solo uno dei tanti che potremmo fare e costruire.
Sono fatti che dimostrano che il tempo ha dato ragione a chi si è battuto per una cultura della legalità, per il rispetto dei lavoratori e delle lavoratrici, per una comunità di destini saldamente orientata alla valorizzazione di quanto il nostro paese sa fare. Per tutto questo sento di dover ringraziare fortemente le fondazioni qui rappresentate, che hanno contribuito a questa iniziativa: la collaborazione tra Fondazione Argentina Altobelli, Fondazione di Studi Storici Filippo Turati, e Fondazione Bruno Buozzi, ci ricorda che la collaborazione è il mezzo più forte che abbiamo a disposizione per poter condividere, e dunque valorizzare al meglio, la nostra storia e la nostra cultura.
Grazie.


Senatrice Valeria Fedeli

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