giovedì, settembre 04, 2014

Appalti, omicidi e faide: Riina racconta la sua guerra di mafia



Il boss mafioso Totò Riina
I nuovi verbali delle intercettazioni che registrano il Capo dei capi a colloquio con il boss Lorusso: dagli "esordi" a Corleone all'ombra di Liggio ai delitti eccellenti e i rapporti con la politica
di SALVO PALAZZOLO
Salvatore Riina guarda il cielo plumbeo di settembre sopra Milano e pensa alla sua Corleone: "È un bel paesotto, è proprio bello viverci", racconta al suo compagno di passeggiate all'ora d'aria, il pugliese Alberto Lorusso. "Io ci stavo bene, e non è che chiedevo i soldi ai negozianti. Nessuno li chiedeva". Corleone, città senza pizzo. Eccola, l'ultima vanteria del capo di Cosa nostra. "E neanche nessuno rubava". Riina critica addirittura quanto succede oggi a Palermo, stretta dalla morsa del racket: "Già non possono tirare avanti i negozianti... io mi vergogno".  È un Riina a sorpresa quello che emerge da una delle intercettazioni della Dia nel carcere di Opera.
Corleone e Palermo tornano spesso nelle parole del vecchio padrino. Le 1300 pagine che il capomafia ha riempito con i suoi racconti sono quasi una storia in pillole di Cosa nostra vista dal capo dell'organizzazione. Un racconto che secondo i magistrati è genuino, perché il boss non sospettava di essere intercettato nell'atrio del carcere. Di sicuro, queste intercettazioni descrivono l'universo mafioso, con la sua aberrante subcultura, meglio di qualsiasi studio su Cosa nostra.



CORLEONE DYNASTY
"La mia era una famiglia di lavoratori, poi diventò una bomba". Riinaricordaancora u zu Sariddu, compare di suo padre, che dopo la morte del genitore cercò di convicerlo a iscriversi al partito comunista. "Lasciatemi stare, ci dissi, andatevi a fare voialtri comunisti ". Erano gli anni del dopoguerra, anni di stenti. Il giovane Totò era già finito sotto la protezione del boss Luciano Liggio. Riina gli è ancora riconoscente: "Era troppo esperto, prima di tutti aveva capito chi era Totò Riina". Ora, il vecchio padrino si vanta di non averlo deluso: "Tu hai avuto la fortuna di avere un Totò Riina che ti pigliò il paese e te lo ha ... Liggio, Liggio, minchia la potenza tua era questo ". Corleone la conquistò non solo con gli omicidi: "I morti con l'autotreno li raccoglievamo". Il boss spiega che a un certo punto cominciò ad essere ben voluto anche dai ricchi possidenti della provincia. Un barone gli offrì di pascolare le pecore nelle sue terre: "Voleva coperte le spalle". Commenta: "Ho imparato a questi signori ricchi ... a questi signori che stavano bene, come si agisce nella vita per stare bene e a potere fare malavoglia ".

CASE CHIUSE
Nel racconto di Riina c'è anche una casa di tolleranza a Corleone. "Mia madre mi diceva di non frequentarla ", sorride. E ricorda una signora, che in paese chiamavano la "regina madre". Il padrino si rammarica di non averla potuta incontrare spesso, perché poi fu arrestato. All'epoca aveva 18 anni, fu scarcerato che ne aveva 24. "Quando sono uscito sono diventato giudizioso  -  tiene a precisare  -  e non mi interessavano più quelle donne". Le definisce "disgraziate e terribili", ma al contempo "molto belle". Una si sposò con un possidente terriero, spiega al compagno di carcere, e la famiglia lo allontanò. Qualche tempo dopo, l'uomo fu ucciso. Chissà perché, questo Riina non lo dice.

OMICIDI ECCELLENTI
Dell'ascesa di Riina e dei corleonesi aveva capito tutto il colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo. " Strammiava, strammiava ", dice il capomafia: "Mi diceva che doveva farmi arrestare. Minchia mi aveva come un pericolo Russo, ma
come si doveva fare". E l'ufficiale fu ucciso. "Voleva fare collaborare alcune persone per arrestarmi".

FAIDE E AFFARI
Nelle lunghe passeggiate in carcere, Riina racconta anche la sua versione della sanguinosa faida che lo portò al potere a Palermo, all'inizio degli anni Ottanta. "Ahi ahi ahi, mi arrabbiai a quel tempo con un catanese che lo aveva preso Stefano Bontate per andare a sparare a me". Ma Riina uccise prima Bontate. E poi proseguì con lo sterminio dei suoi fedelissimi. "Pippo gli ho detto, ma che dobbiamo fare? Vacci tu". Pippo dovrebbe essere Giuseppe Giacomo Gambino. Riina parla dell'omicidio di Salvatore Inzerillo, uno dei capi della mafia palermitana "Quindi, allerta tutti e vediamoci e spariamoci. E lui dice: "Va bene.. come lo sa vossia?" Pippo, Pippo, come lo so, tu non me lo devi dire". Riina aveva avuto una soffiata su un movimento di Inzerillo. "Ci siamo organizzati... tieniti pronto, che come viene ci spari... Prendi la scopetta, preparati la scopetta... La mattina quando abbiamo fatto il furgone... la macchina nuova, aveva un'Alfa Romeo blindata ultimo tipo. Mettiti là con il furgone, la scopetta qua. Appena scende... e quando è sceso: pampete pom, pam ". Il capo dei corleonesi spiega che all'epoca aveva "un centinaio di picciotti a disposizione". Erano gli anni in cui i corleonesi facevano già grandi affari con il traffico di droga. Riina accenna "a una nave bella sistemata, con cassette, da Bangkok".

LE PAGELLE DEI BOSS
Ora, in carcere, Riina dà anche le pagelle ai mafiosi di tutti i tempi. Senza fare differenze fra amici e nemici. Anzi, il più blasonato nella sua singolare classifica risulta addirittura uno dei suoi più acerrimi avversari: Salvatore Contorno, sopravvissuto più volte agli attentati dei corleonesi, negli anni Ottanta e Novanta. "Era una potenza ", dice di lui. Pietro Aglieri, il padrino che nel suo covo temeva un altare, viene invece bollato come "stravagante". Pippo Gambino, un "picciotto serio" e uno "sterminatore ", "ci mandai a lui a New York quando John Gotti voleva che mi trasferissi in America". Di don Tano Badalamenti, anche lui padrino della vecchia guardia, Riina dice che "ci fu un tempo in cui si prese la valigie, altrimenti io gli sparavo. Gli ho fatto il finimondo a Cinisi". Anche i Lo Piccolo, padre e figlio, non sono mai piaciuti a Riina: "Sono proprio disgraziati e perdonati, si sono messi a piangere mischini...". Salvatore Lo Piccolo era uomo di Saro Riccobono, anche lui doveva morire. Ma fu risparmiato: "Binnu (Bernardo Provenzano  -  ndr) è venuto a discutere, e li abbiamo lasciati andare... Ma l'opera buona è che li abbiamo perdonati, non è che gli dai la promozione... ". Riina se la prende con Provenzano, che aveva voluto Lo Piccolo in posizione di comando: "Allora sei stravagante, ora dico come posso mettere una posizione di comando a Lo Piccolo?". Altrettanto severo il giudizio sul pentito Buscetta: "Da giovane lo incontrai a un matrimonio, a San Giuseppe Jato, faceva lo spavaldo, aveva già una posizione con i Greco, con i La Barbera. Voleva avvicinarmi, ma io lo tenevo a distanza. Me lo sentivo...".

LA POLITICA
Fra i ricordi della latitanza a Corleone ("gli sbirri, figli di puttana, non mi davano pace"), c'è anche spazio per alcuni fortunati processi, tutti conclusi con l'assoluzione. Merito, riconosce Riina, di un bravo principe del foro, l'avvocato Dino Canzoneri, intanto diventato deputato regionale A un certo punto, gli comunicò che non avrebbe più potuto assisterlo. Riina rievoca quel giorno con sdegno: "Ha fatto un figura del miserabile... perché soldi non gliene davo, debbo dire la verità, anche nei processi così... però io l'ho fatto fare onorevole ... altro che soldi che gli davo". È l'unico riferimento a contatti politici. Riina in carcere non parla mai di relazioni con la Palermo bene. È fin troppo prudente.
La Repubblica, 3 settembre 2014

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