sabato, dicembre 24, 2011

Processo per l’assassinio di Mauro Rostagno. Quando Riina disse che Mauro era una “camurria”...

Mauro Rostagno
di RINO GIACALONE E' una udienza quella del processo per il delitto Rostagno che va raccontata cominciando però dalla fine. Il dibattimento cominciato il 2 febbraio scorso è arrivato il 21 dicembre al termine per quanto riguarda il 2011, la ripresa ci sarà l'11 gennaio quando deporranno due pentiti parecchio controversi, Vincenzo Calcara e Rosario Spatola, uomini d'onore del Belice, le cui dichiarazioni però hanno per la gran parte superato il vaglio dell'autorità giudiziaria. Nell'ultima udienza, quella del 21 dicembre scorso, ha deposto l'ex capo del mandamento di San Giuseppe Jato Giovanni Brusca, collaboratore di giustizia lo divenne qualche giorno dopo il suo arresto che risale all'estate del 1996. Nel 1999, dopo un primo accenno fatto in verbali sottoscritti nel 1996 e nel 1997, ha parlato ai pm del delitto di Mauro Rostagno con qualche dettaglio in più rispetto a prima, ha detto che dal capo dei capi di Cosa Nostra, Totò Riina, sentì dire, a proposito dell'omicidio dell'ex fondatore di Lotta Continua, che "finalmente i trapanesi si erano tolti di mezzo quella camurria".
Non spariamo alle donne.

Litigi sui verbali. La difesa di Vito Mazzara, avvocati Vito e Salvatore Galluffo, hanno tentato di rendere poco credibile la testimonianza di Brusca mettendo mano alle carte processuali, evidenziando che esisterebbero discrasie tra i contenuti dei verbali di interrogatorio resi da Brusca sul delitto Rostagno nel 96 e 97 con quello ultimo del 1999. Legittima mossa della difesa, peccato che in qualche cronaca è mancata analoga evidenza all'intervento dei pm e delle parte civili, quegli interrogatori del 96 e 97 secondo i pm erano per così dire sommari, mancavano gli approfondimenti sui singoli fatti (omicidi ari) esposti da Brusca, poi nel 1999 è arrivato l'approfondimento. Bisognerebbe bene interrogarsi semmai sul perché siano trascorsi due anni dall'ultimo verbale prima di sentire Brusca in modo approfondito sul delitto Rostagno. La difesa di Mazzara, esercitando indubbiamente in modo legittimo le armi (del codice) a disposizione, ha chiesto alla Corte l'acquisizione dei verbali dopo che le parte civili avevano fatto notare che la loro lettura in aula non era completa, l'avv. Vito Galluffo allora con veemente oratoria ne ha chiesto l'integrale acquisizione, cosa che però non è avvenuta, anche dopo che il presidente della Corte, il giudice Pellino, ha lui letto il verbale in questione, in modo pedissequo.

Quella sacralità di Cosa nostra. A parte queste "scintille" tra le parti, che fanno parte comunque degli scenari dibattimentali, il resto dell'udienza è stato caratterizzato dal "silenzio" con il quale si è ascoltata in aula la testimonianza di Brusca. "Sono stato un mafioso dal 1975, soldato semplice nel mandamento di San Giuseppe Jato, dal 1989 sono stato reggente del mandamento, fino al mio arresto nel 1996". Brusca ha esordito così rispondendo alle domande del pm Del Bene, ricostruendo poi le fasi della sua iniziazione, "avvenuta alla presenza di Totò Riina e Bernardo Provenzano. Mio padre (Bernardo Brusca ndr) non ha voluto partecipare, sebbene era al momento il reggente del mandamento". Brusca proseguendo ha descritto il proprio ruolo di "portavoce" di Totò Riina, anche a Trapani: "Ho dato la vita per Cosa Nostra, tantissimi omicidi, strage di Capaci, strage Chinnici, faide di Cosa Nostra, Riina mi dava gli ordini, più lui che mio padre, anche per i delitti avevo un rapporto privilegiato con Riina, condividevo la strategia stragista e questo fino a quando non ho scoperto dalle parole di Salvatore Cancemi che lui voleva attentare alla mia vita".

Appalti e politica. "Gli appalti – ha continuato - era il secondo mio interesse, dopo l'integrità e la sacralità di Cosa Nostra. Una mia attività era regolare la cosidetta messa a posto delle imprese, ero amico di Angelo Siino (oggi anche lui pentito e che per tutti fu il ministro dei lavori pubblici di Totò Riina ndr) delegato per mio conto a gestire una parte dei lavori della Sicilia e comunque si occupava di quelli che gli capitavano, quando Siino non poteva intervenire intervenivo io". "La messa a posto riguardava solo chi si aggiudicava un lavoro, doveva pagare il pizzo dal 2 al 3 per cento rispetto all'importo, per non subire danni. Poi c'era l'aggiudicazione pilotata se c'era il desiderio del campo mandamento, del capo mafia della zona o dell'impresa a noi vicina, l'aggiudicazione pilotata era sempre frutto di accordi con la politica".Chi era Angelo Siino, hanno chiesto i pm Del Bene e Paci: "Ufficialmente non era uomo d'onore, ma di Cosa nostra ne sapeva più di me".

Mazzara doveva uccidere Borsellino. Nel corso della sua deposizione Brusca ha anche parlato delle recenti rivelazioni del pentito Gaspare Spatuzza sulle stragi del 1992 e ha svelato: Quello che oggi sta dicendo Spatuzza io l'ho detto molto tempo prima". Parlando ancora delle stragi del 1992 si è ricordato di un ruolo che molti anni prima mastro Ciccio u muraturi, così era soprannominato uno dei capi della mafia mazarese, Francesco Messina, trovato poi morto suicida, voleva dare all'odierno imputato del processo Rostagno, Vito Mazzara: "Proprio perché era uno capace a usare il fucile, mastro Ciccio voleva dare a lui l'incarico di uccidere Paolo Borsellino mentre questi era procuratore a Marsala, Borsellino già doveva essere ucciso molti anni prima del 1992". Ciccio Messina non è un personaggio qualsiasi nel processo: secondo il pentito Sinacori fu lui, in sua presenza, a ricevere l'ordine da Francesco Messina Denaro di uccidere Mauro Rostagno, e fu ancora Ciccio Messina a ricevere conferma dallo stesso "padrino" belicino che l'incarico di eliminare Rostagno era arrivato al capo mafia di Trapani Vincenzo Virga e che questi se ne sarebbe occupato. Sul delitto Rostagno, Brusca ha riferito ciò che gli disse Totò Riina. "Quando ebbi modo di parlare con lui di questo delitto mi rispose dicendo che finalmente i trapanesi si erano tolti di mezzo questa camurria".

Le armi che si inceppano non sono una anomalia. In relazione ancora ai temi processuali sono state poste a Brusca domande su una sua conoscenza sull'incepparsi di armi durante l'esecuzione di agguati. Nel delitto Rostagno sulla scena del crimine furono trovati pezzi di un fucile esploso. Cosa che sarebbe stata provocata da un sovra caricamento delle cartucce, cosa questa nella quale, secondo il pentito Francesco Milazzo, era specializzato Vito Mazzara, invece secondo i carabinieri che fecero la prima parte delle indagini (quelle che chiaramente subirono un depistaggio) era "roba da cacciatori" e quel delitto non sarebbe stato perciò un delitto di mafia ma un "omicidio raffazzonato". Tornando a Brusca, a proposito di armi inceppate ha detto: "In diverse occasioni durante l'esecuzione di omicidi ho avuto a che fare con un'arma che i è inceppata. Una volta mi è successo a Piana degli Albanesi, quando abbiamo ucciso un certo Filippo, eravamo con Di Maggio e Di Matteo, e allora la pistola si inceppò, un'altra volta a Camporeale si inceppò un fucile a pompa, ma le occasioni sono state anche altre nonostante io avevo provato le armi con precisione, anche killer professionsiti di Cosa nostra potevano accadere di queste cose".

I boss di Trapani. I rapporti con la mafia trapanese. "Potrei dire che ne conosco tanti, ho commesso anche omicidi a Trapani e in provincia per ordine di Riina, ho intrattenuto rapporti con Mariano Agate sino all'ultimo uomo d'onore, con Vincenzo Sinacori, Andrea Gancitano, rapporti sin dagli anni 70 con i mafiosi trapanesi, andavamo a Mazara, a Campobello, incontravamo i Messina Denaro, padre e figlio, più frequenza avevamo con Mazara del Vallo, rapporti proseguiti sino al momento del mio arresto, tanti contatti con Matteo Messina Denaro rappresentante di tutta la provincia, Mariano Agate è stato sempre capo del mandamento di Mazara, con Sinacori quando Agate era in carcere. Mazara del Vallo era nostro punto di riferimento, qui Riina trascorreva la villeggiatura". Ha fatto anche alcuni nomi di capi mafia. Del più importante ha sbagliato il nome di battesimo ma non il cognome né le circostanze in cui fu eliminato. Si trattava di Totò Minore, che Brusca ha indicato col nome di Salvatore. Ma ha confermato la sua eliminazione tra l'82 e l'83, "fu ucciso con un altro trapanese, durante un summit convocato nel palermitano da Raffaele Ganci e da Giuseppe Gambino...lo dovevamo uccidere già prima a Salemi per via del fatto era dalla parte della mafia perdente". Brusca ha anche confermato che Vincenzo Virga divenne capo mafia di Trapani subito dopo la morte di Minore: "Virga era capo mandamento di Trapani e dei dintorni, e lo era sicuramente da dopo l'omicidio di Minore". E sull'altro imputato del processo ha aggiunto: "Vito Mazzara l'ho conosciuto nel tempo, uomo d'onore, molto amico dei mazaresi, in particolare di mastro Ciccio Messina, che lo aveva proposto per utilizzarlo per l'omicidio Borsellino, in quanto Mazzara era un professionista, una sorta di tiratore scelto, un attentato che si doveva fare quando Borsellino era procuratore a Marsala. Questa cosa - continua Brusca - l'ho appresa da mastro Ciccio. La morte di Borsellino non è nata nel 92 ma risaliva nel tempo, mastro Ciccio mi disse che voleva usare un fucile di precisione. Vito Mazzara sui ordine di Matteo Messina Denaro partecipò al sequestro del piccolo Di Matteo".

Riina non era bugiardo. Rispondendo alle domande dei pm e poi delle stesse difese, Giovanni Brusca è tornato a parlare del colloquio con Riina a proposito del delitto Rostagno: "Con Riina abbiamo parlato del delitto Rostagno, e io gli chiesi se lui ne sapeva parlare, lui mi ha detto si, si sono tolti questa rogna, questa rottura di scatole, Rostagno era un problema per il territorio di Trapani". Ma perché così sicuro che Riina non dicesse bugie sul fatto? "Quando io parlavo con lui - dice Brusca - non c'era bisogno di ricostruire i fatti, li conoscevamo, il plurale usato (si sono tolti....ndr) era perchè il delitto interessava a più persone, e interessava a Trapani ....qualunque cosa facevano i trapanesi, Riina ne era a conoscenza, non dico che era il mandante ma lui per i rapporti che aveva con i trapanesi veniva informato di tutto e per tutto".

L'editore Puccio amico di Siino. Dettagli però Brusca ha detto di non conoscerne: "Non conosco i dettagli, ricordo che Rostagno lavorava in una tv di un certo Puccio (Bulgarella ndr), un imprenditore che ho conosciuto tramite Siino....Questo Puccio l'ho conosciuto personalmente, con lui siano stati assieme una settimane nell'89 per chiudere degli appalti, una volta gli chiesi di sponsorizzare un politico, credo Salvatore Cintola ". Movente gli si è tornati a chiedere? "Dava disturbo al territorio come giornalista, il camurria di Riina credo che si riferisca a questo, io non conosco i dettagli, ma il delitto lo conosco per sintesi, per via di quella risposta di Riina". Poi le risposte sono tornate a concentrarsi su Puccio Bulgarella che fu indagato per false dichiarazioni al pm e successivamente ebbe la posizione archiviata e nel frattempo è deceduto: "Bulgarella era stato messo in cattiva luce dentro Cosa nostra per via del fatto che Rostagno era nella sua tv, ma fu un malumore che fu poi sopito. Bulgarella aveva interessi negli appalti pubblici, aveva altri familiari che facevano gli imprenditori, con Siino lui usufruiva di privilegi da parte di Cosa nostra, vinse così le ostlità, anzi venne anche favorito in qualche occasione, a Trapani c'era con Bulgarella un certo Sciacca (Gioacchino ex presidente di Confindustria ndr) che interessavano a noi mafiosi, certamente l'atteggiamento nei confronti di Bulgarella da parte di Cosa nostra è cambiato sennò non avrebbe ricevuto appoggi, e questo deve risalire all'88, 89....Bulgarella era inviso inizialmente perchè era amico di Giovanni Falcone poi perchè dava ospitalità nella sua tv a Rostagno, una volta ero con Siino e Bulgarella al ristorante Trittico di Palermo, e Bulgarella scaricò colpa sulla moglie per la presenza di Rostagno in tv, questo avvenne nel 1989, parlammo di quell'argomento e lui così tentò così di discolparsi.....Bulgarella sapeva con chi aveva a che fare, chi era Siino e chi ero io....Con Bulgarella abbiamo passato una settimana assieme a Roma, altre volte siamo stati a casa di Siino a Palermo, ci siamo visti a Trapani città, un'altra volta mentre andavo con Siino a Mazara, Bulgarella ci sorpassò in autostrada e allora venne pure fermato". "Io ero con Siino, eravamo con un Mercedes coupè, non andavamo veloce, ci sorpassò Bulgarella a grande velocità, aveva un Mercedes nero, appena ci ha visto ci ha salutato, e da lì a poco fu fermato dalla Polizia stradale, noi superammo il posto di blocco e ci siamo fermati più avanti in sua attesa per salutarci...Bulgarella era in compagnia di un'altra persona, se non ricordo male una donna....Ho conosciuto questa donna, con Puccio aveva un rapporto confidenziale, l'ho conosciuta anche a Roma, credo fosse la sua segretaria, credo le sue origini fossero francesi....Non escludo che fosse presente anche quando mangiammo al Trittico di Palermo...". Era l'amante? "Ho avuto questa impressione ma non ne sono sicuro, Siino mi disse che non aveva buoni rapporti con la moglie, mentre rapporti di complicità c'erano tra la signora Bulgarella e Rostagno, questo mi raccontava Siino, e questa discussione l'abbiamo fatta a Roma mentre aspettavamo che arrivavano Bulgarella e sua moglie...io credo che ho salvato la vita a Puccio Bulgarella perchè i malumori nei suoi confronti erano forti da parte dei mafiosi trapanesi, lui non era ben visto".

Le armi che girano per i mandamenti. Alcune delle domande delle difese sono state poste a proposito dell'uso di armi e sulla circostanza che armi in possesso di un mandamento mafioso potevano essere usate in altro. Circostanza non negata, ma Brusca ha aggiunto che uomini di un mandamento potevano essere chiamati a partecipare a delitti in altri mandamenti, come è successo a lui quando partecipò alla guerra di mafia di Alcamo negli anni '90 e quando una sera, dopo essere andato a riprendersi un fucile che aveva dato alla cosca alcamese vicina a Riina, incappò in un posto di blocco e uso quel fucile per sparare contro una pattuglia di Polizia, fu quando rischiò di essere ucciso un poliziotto trapanese, Giovanni Benedetto, rimasto cieco da un occhio.
Ma la notizia importante non è tanto questa che era peraltro già abbastanza conosciuta, ma la notizia del processo è contenuta nella risposta che Brusca ha dato a fine udienza all'ultima delle domande posta dall'avvocato Carmelo Miceli, difensore di parte civile di Chicca Roveri, presente in aula, e Maddalena Rostagno. Una premessa. Nel corso del suo interrogatorio Brusca ha fatto riferimento al suo passato di "uomo d'onore", "soldato" del mandamento di San Giuseppe Jato e poi capo dello stesso mandamento dove a comandare era stato anche suo padre, l'anziano Bernardo, e raccontando della sua "feroce" militanza, segnati da delitti efferati, ha detto che lui credeva nella "sacralità" di Cosa Nostra. E allora da uomo che ha vissuto gran parte della sua vita rispettando le regole mafiose, ha dato una risposta precisa alla domanda dell'avv. Miceli sul comportamento che deve tenere un killer di Cosa Nostra. Brusca aveva fatto riferimento ad un duplice delitto avvenuto nell'agrigentino, un uomo e una donna, e commentandolo non ha nascosto che già all'epoca c'era stato il "dispiacere" per l'uccisione della donna, "c'era anche una bambina per fortuna è rimasta illesa". Ha fatto un certo effetto sentire questo racconto siffatto da uno come Giovanni Brusca che da uomo d'onore non esitò un attimo a dare l'ordine di uccidere il piccolo Giuseppe Di Matteo o ancora a schiacciare il timer per la strage di Capaci e strangolare Antonella Bonomo la donna compagna di vita del capo mafia di Alcamo, Vincenzo Milazzo, lui ucciso perché aveva tradito Totò Riina e lei assassinata per i segreti che si portava dentro, e però quando le donne non c'entrano nulla "non vanno toccate". "Il killer sa che le donne non vanno uccise" ha risposto Brusca alla domanda dell'avv. Miceli. E le scene che sono venute in mente sono state quelle del delitto Rostagno e dell'omicidio dell'agente di custodia Giuseppe Montalto: Mauro Rostagno il 26 settembre del 1988 era in compagnia di una donna, Monica Serra, quando fu ucciso a pochi metri dal cancello di ingresso della comunità Saman di Lenzi, territorio di Valderice, appena sotto le falde della montagna di Erice; Giuseppe Montalto il 23 dicembre del 1995 fu ammazzato mentre, come Rostagno, era in auto, davanti la casa dei suoceri, in contrada Palma di Trapani, affianco a lui c'era seduta la moglie, Liliana Riccobene, dietro la figlioletta di pochi mesi. Il sicario sparò in modo preciso in tutte e due le tragiche occasioni, colpendo i bersagli, Rostagno e Montalto, lasciando illese le "donne" che erano con le due vittime predestinate. Per l'omicidio di Giuseppe Montalto condannato all'ergastolo è stato il valdericino Vito Mazzara, fu lui a sparare, questa è una cosa certa, nel processo per il delitto Rostagno lo stesso Mazzara, riconosciuto sicario di Cosa nostra, uno che sparava assieme a Matteo Messina Denaro, il super latitante della mafia siciliana, è imputato di avere guidato il commando che entrò in azione a Lenzi. Basta questo per dire di avere raggiunto la prova? Certo che no, ma nel processo non c'è solo questo, altro è emerso e altri testi dell'accusa ancora debbono essere sentiti. Certo è che Mazzara non era un killer qualsiasi e lo ha detto ancora Giovanni Brusca. "Era uno che sapeva sparare" ha detto l'ex capo mandamento di San Giuseppe Jato, Vito Mazzara per questa sua specialità viveva con due riconoscimenti, quello agonistico, perché faceva parte della squadra nazionale di tiro a volo, e quello mafioso, perché come hanno detto anche altri pentiti sentiti nello stesso processo, "sparava bene e non mancava mai il bersaglio". Impassibile, dentro la cella degli imputati dell'aula bunker dove si svolge il dibattimento per il delitto Rostagno, Vito Mazzara ha sentito le accuse dei pentiti, mai una smorfia, mai una reazione, lui, come sono stati sentiti dire alcuni mafiosi "intercettati", "è un pezzo di storia e va protetto e mantenuto", il mantenimento in qualche modo viene garantito e Mazzara sta in silenzio e osserva. Quindi quel "non spariamo alle donne" potrebbe diventare l'ulteriore prova della firma di Cosa nostra sul delitto Rostagno.

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