mercoledì, dicembre 14, 2011

Chi denuncia il pizzo perde la fiducia della banca, diventa un soggetto a rischio. Le ragioni dell’omertà sono concrete

Chi denuncia il pizzo perde la fiducia della banca, viene invitato a rientrare, diventa un soggetto a rischio. Questa la prassi, ormai consolidata, di cui si parla poco o niente. I casi non sono stati denunciati, ma i mugugni sotto traccia sono “rumorosi”. Gli appelli della magistratura, della polizia, delle autorità di governo ad avere coraggio, a contrastare il racket senza paura, alla responsabilità civile, e le tutele sbandierate ai quattro venti, nella realtà, s’infrangono. Chi non ha coraggio, non se lo può dare, si dice comunemente, ma è vero esattamente il contrario: il coraggio lo si trova quando ci sono le condizioni per manifestarlo. Se la denuncia del pizzo ti rovina la vita la scelta di pagare non è viltà, ma una valutazione ponderata e responsabile.
Si sono fatti grandi passati avanti sul terreno della tutela dei denuncianti e c’è perfino una legge che punisce chi non denuncia i ricattatori, ma poco e niente si è fatto sul versante più delicato e meno frequentato dall’informazione, il ruolo degli istituti di credito. Le vittime del racket sono vittime due volte quando denunciano i loro estorsori: oltre che subire l’estorsione, talvolta pesante al punto da costringere a fare debiti, subiscono la vessazione bancaria, la richiesta di rientro dalle scoperture o, addirittura, la chiusura del conto.
Ci sono risorse da utilizzare a favore delle vittime del pizzo, ma perché arrivino a destinazione bisogna provare di avere subito l’estorsione. E se la polizia non ci riesce – le indagini non sono mai facili – la vittima rischia la “sanzione” del boss e non ottiene quell’aiuto che gli serve per “sopravvivere” alla crisi della propria azienda, impresa, esercizio commerciale.
L’omertà è stata ricercata per molti anni nei costumi, le cattive abitudini, la cultura. Che ci sia anche una diffidenza immotivata nei confronti dello Stato, rappresentato dalle polizie e dai magistrati, non c’è dubbio – meglio non avere a che fare con gli sbirri, suggerivano i nonni – ma oggi la questione si pone prevalentemente in termini di sicurezza, tutela, assistenza della vittima. La paura di subire la punizione del boss e di rimanere alla mercé degli estorsori non è, tuttavia, la ragione principale della resistenza a denunciare il crime subito. Se le vittime, come ci viene riferito, perdono la fiducia degli istituti di credito e vengono trascinate alla bancarotta, quando denunciano il pizzo, non c’è bisogno di chiedersi perché mai siano così pochi quelli si rivolgano alla polizia.
Gli imprenditori, i commercianti, i titolari di esercizi pubblici temono più le banche che la minaccia dei delinquenti. Sarebbe di grande utilità, dunque, almeno nelle aree a rischio verificare comportamenti e consuetudini bancarie nello specifico, pretendere trasparenza e una disciplina che “aiuti” le vittime delle estorsioni piuttosto che affrettare la loro agonia.
SiciliaInformazioni, 13 dicembre 2011

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