sabato, maggio 29, 2021

Ecco perché l’ex assessore Razza non può tornare al suo posto

Nello Musumeci e Ruggero Razza

di SERGIO RIZZO
Esiste da sempre in tutto il mondo un principio non scritto che è tuttavia ispiratore di ogni scelta politica. Si chiama opportunità, e diciamo subito che il principio non c’entra nulla con eventuali responsabilità giudiziarie. È esistito anche in Italia, al tempo in cui ministri e perfino semplici parlamentarti sfiorati da un’inchiesta giudiziaria si dimettevano per ragioni, appunto, di opportunità: perché sul loro operato nelle istituzioni non gravasse alcuna ombra, e questo indipendentemente dall’esito delle indagini che li riguardavano. Se quel principio venisse rispettato anche oggi, non c’è dubbio alcuno che mai e poi mai il presidente della Regione siciliana Nello Musumeci avrebbe potuto riproporre Ruggero Razza per l’incarico di assessore regionale alla Salute. Il fatto è che nella politica del nostro Paese è passato di moda da un bel pezzo. E a ulteriore conferma di quanto ciò sia vero ci sono le parole del medesimo Musumeci, che ha giustificato il ritorno di Razza in giunta, dopo aver affermato che «la Sicilia ha bisogno di persone per bene e competenti come lui», perché «nessuno mi pare in Sicilia abbia avuto il coraggio di rassegnare le dimissioni da una carica istituzionale raggiunto da un avviso di garanzia per un reato non associativo». Forse in Sicilia, caro presidente. Perché basterebbe rispolverare solo un poco la memoria per ricordare come nel 1993 i ministri del governo nazionale raggiunti da avvisi di garanzia si dimettevano a raffica.


Si dimise anche un galantuomo come Franco Reviglio, ministro del Bilancio nel primo governo di Giuliano Amato, totalmente estraneo alle accuse mosse nei suoi confronti, come poi venne provato.

E anche più recentemente, sia pure a corrente alternata, quel principio ha fatto capolino. Non si è arrivati alle dimissioni di un ministro colpevole di aver copiato un capitolo della tesi di dottorato, com’è accaduto in Germania, ma presunte irregolarità fiscali hanno indotto nel 2013 la ministra dello Sport del governo di Enrico Letta, Josefa Idem, a rimettere il mandato. Anche lei senza aver ricevuto «un avviso di garanzia per un reato non associativo». E fa addirittura sorridere la battuta di Musumeci, secondo il quale se i politici dovessero dimettersi per un avviso di garanzia «il 50 per cento della classe dirigente italiana subito dovrebbe lasciare le istituzioni».

Tutti puzzano un po’, quindi non puzza nessuno… Brillante deduzione.

La politica è per sua stessa natura un’attività esposta al giudizio morale della collettività. Di conseguenza comportamenti pure non penalmente rilevanti, ma moralmente pregiudizievoli, dovrebbero obbligare i politici a passare sotto le forche caudine di quel principio: l’opportunità, appunto. È opportuno che un politico alla guida di un’amministrazione sulla quale grava il sospetto di aver truccato i dati dei contagi spalmandoli su più giorni («spalmiamoli un poco», diceva al telefono al suo sottoposto secondo un’Ansa del 15 aprile scorso) per evitare di mandare in zona rossa la propria regione torni al timone della stessa amministrazione mentre l’inchiesta che lo riguarda non è ancora chiusa? Ecco la domanda che si sarebbe dovuto porre Musumeci, se fosse stato consapevole del fatto che una decisione inopportuna avrebbe minato la credibilità sua e della sua giunta in una materia così delicata. Tanto delicata, e in un momento ancor più delicato, che niente dovrebbe essere più lontano dei calcoli politici dalla necessità di tutelare la collettività.

Questo secondo la logica, ma la logica passa qui evidentemente in secondo piano rispetto ad altre questioni, per esempio il consenso. Che altro pensare, sapendo come il peso gigantesco che ha la sanità abbia sempre condizionato la politica in questa regione? Dove gli interessi in gioco sono enormi, come sta a dimostrare il numero a tre zeri di strutture private accreditate (e ben pagate) dalla Regione, comprese cliniche già di proprietà di politici e loro familiari. Un effetto nemmeno troppo collaterale della singolare attrazione esercitata dal potere regionale sulle professioni sanitarie: medici erano due degli ultimi quattro presidenti di Regione, Salvatore Cuffaro e Raffaele Lombardo. Ma tant’è.

Non stupisce quindi che in tale contesto l’opportunità delle decisioni sia passata ancor più di moda. Al suo posto c’è ora un altro principio fondamentale rivendicato da tutti: l’innocenza fino alla Cassazione. E magari anche oltre, dipende dalle circostanze in cui è maturata la sentenza di terzo grado, che magari arriverà quando la carriera ha dato ormai il meglio di sé. Naturalmente quel principio è sacrosanto, in democrazia, per chiunque abbia a che fare con la giustizia, politici compresi. E sia chiaro che a nessuno deve mancare il rispetto della presunzione di non colpevolezza fino alla sentenza definitiva. Ma dev’essere anche chiaro che i doveri della politica implicano responsabilità verso la collettività ben differenti da quelle giudiziarie. Altrimenti, dietro al paravento dei tre gradi di giudizio, si rischia di uccidere la politica sana. Ci pensino bene lorsignori, quando se ne infischiano del principio dell’opportunità.

La Repubblica Palermo, 29 maggio 2021

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