mercoledì, ottobre 23, 2019

La Consulta cancella l’ergastolo duro per i mafiosi. Il parere dei giudici: anche loro possono avere i permessi


NICOLA PINNA
Il carcere duro per i mafiosi d’ora in poi sarà un po’ meno duro. Perché anche a loro, dice la Corte costituzionale, deve essere garantito il diritto a ottenere i permessi premio per uscire dalla cella. E così, dopo il ricorso di Sebastiano Cannizzaro, ex boss del clan Santapaola e di Cosa Nostra nella provincia di Catania, crolla il principio dell’ergastolo “ostativo” e si sgretola uno degli articoli dell’ordinamento penitenziario. La questione riguardava proprio i permessi (articolo 4 bis, comma 1) che vengono costantemente negati agli esponenti della criminalità organizzata. Almeno a quelli che non hanno collaborato con gli investigatori. 

Tra un ricorso e l’altro, dopo un passaggio alla Cassazione, il caso è finito all’attenzione della Consulta che prima ha considerato il tema di rilevanza costituzionale e poi ha deciso che quell’articolo è in contrasto con un principio costituzionale, quello che prevede l’obiettivo rieducativo della detenzione. Accolta la richiesta dell’ex boss della provincia etnea, ora la decisione finisce per modificare le regole sulla vita in carcere di molti dei detenuti considerati più pericolosi. «La presunzione di “pericolosità sociale” del detenuto non collaborante - scrivono i giudici costituzionali - non è più assoluta ma diventa relativa e quindi può essere superata dal magistrato di sorveglianza, la cui valutazione caso per caso deve basarsi sulle relazioni del carcere, nonché sulle informazioni e i pareri di varie autorità, dalla procura antimafia o antiterrorismo fino al competente Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica». 
GIULIA CIANCAGLINI
Ai detenuti, soprattutto quelli accusati di reati di mafia, che nel corso delle indagini non hanno fornito informazioni utili ai magistrati, che non hanno rivelato i nomi degli affiliati o che non hanno ammesso le loro responsabilità, i giudici hanno sempre negato la possibilità di uscire dal carcere per partecipare a progetti rieducativi o lavorativi. Ma questo, secondo l’avvocato Valerio Vianello, che ha presentato il ricorso per conto di Sebastiano Cannizzaro, rischia di compromettere la finalità principale del carcere. «Come è possibile perseguire l’obiettivo della rieducazione se ad alcuni detenuti, molti dei quali hanno mantenuto un’eccellente condotta carceraria, viene negato il diritto di ottenere i premi assicurati a tutti gli altri? - commenta l’avvocato Vianello - L’obiettivo del nostro ricorso era proprio questo: sancire l’inviolabilità del principio inserito nella Costituzione, che considera la detenzione un percorso di recupero delle persone che hanno commesso reati».
La decisione della Corte costituzionale ora costringerà il Parlamento a una modifica delle norme, la stessa cosa che era richiesta anche dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che ha recentemente condannato l’Italia per il carcere duro e l’ergastolo ostativo. «L’articolo dell’ordinamento penitenziario che impediva ad alcune categorie di detenuti di ottenere i benefici - sottolinea il legale - non teneva in considerazione una serie di motivazioni per le quali alcune persone non hanno avuto il coraggio o la possibilità di collaborare con la giustizia. Non tutti hanno avuto la forza di correre il rischio di mettere a repentaglio, per esempio, la vita dei parenti. Tra l’altro c’è da aggiungere che molti collaboratori di giustizia hanno scelto questa strada proprio per ottenere premi, benefici e sconti di pena».
La Stampa, 23.10.2019

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