giovedì, aprile 25, 2019

Il commento. La discesa del leghista nella Sicilia fatale


Enrico del Mercato
Chissà se Matteo Salvini conosce la storia di Alcibiade, emergente politico e generale ateniese del V secolo avanti Cristo la cui- fino ad allora fulminantecarriera rovinò quando decise di occuparsi di vicende siciliane. E chissà se qualcuno ha raccontato al ministro dell’Interno delle avverse fortune che colsero Marcantonio Colonna, eroe della battaglia di Lepanto, quando fu nominato vicerè in Sicilia. L’Isola, si sa, resta a lungo periferica nello svolgersi della Storia, ma quando il genietto della Storia la colloca al centro delle vicende, allora, si rivela decisiva. O meglio, fatale come ricorda in un libro (“La Sicilia fatale” edizioni Torre del Vento, per l’appunto) Amelia Crisantino. Ecco, se il paragone non appare esagerato, in questo 25 aprile, settantaquattresimo anniversario della liberazione dal nazifascismo, la Sicilia si ritrova ad essere il motore centrale della vicenda politica italiana.

Non solo e non tanto perché Salvini ha scelto di venire qui - nel giorno della Liberazione- a (sono parole sue) “celebrare la liberazione dalla mafia” e per fuggire “alla vecchia contrapposizione tra fascisti e antifascisti”, quanto perché proprio nei giorni dell’avvio della sua campagna di Sicilia, gli cade tra capo e collo un’inchiesta nella quale saltano fuori i rapporti tra il sottosegretario leghista Armando Siri e il faccendiere Paolo Arata, procuratore d’affari per conto di Vito Nicastri, imprenditore nel campo delle energie alternative ritenuto prestanome del boss latitante Messina Denaro.
Ecco il punto. Quando si troverà a Corleone-dove nacquero Riina e Provenzano, ma anche il sindacalista e partigiano Placido Rizzotto, ucciso dai mafiosisarebbe opportuno che il ministro spiegasse come mai una forza politica che si attribuisce le sacre stimmate del cambiamento, si trovi al centro di una così inquietante combinazione. Come mai un faccendiere come Arata sia in rapporti con un sottosegretario leghista e come mai lo stesso Arata possa, con imbarazzante disinvoltura, attendere agli affari del businessman legato a Messina Denaro e tessere la tela di una Internazionale sovranista che va dall’ex consigliere di Trump, Steve Bannon, a Salvini medesimo. E’ vero, come ha detto il ministro dell’Interno quando i suoi alleati grillini gli hanno chiesto di far dimettere Siri, che “si è colpevoli solo quando si è condannati”, ed è altrettanto vero che, finora, nell’inchiesta sulle presunte tangenti sulle energie alternative, il sottosegretario leghista viene tirato in ballo solo da alcune intercettazioni nelle quali il faccendiere Arata racconta di una “ricompensa” all’uomo politico per un emendamento che gli stava a cuore, ma è altrettanto vero che la politica è obbligata a farsi domande che vanno oltre le indagini. Soprattutto nella fatale Sicilia. Nessuno degli uomini del vice premier sul territorio era a conoscenza di chi fosse Arata?
Nessuno sapeva per conto di chi si muovesse quel manager, che peraltro era già stato deputato di Forza Italia, il quale era di casa negli assessorati? Qualche informazione Salvini e i suoi avrebbero potuto prenderla sul conto di uno al quale avevano affidato addirittura il compito di accreditarli presso l’ex consigliere di Donald Trump. Davanti alle insistenze di Arata per far passare una norma salva impianti eolici, il leghista Siri avrebbe potuto chiedere lumi, per esempio, a Vittorio Sgarbi che nelle sue esperienze amministrative siciliane ha sempre definito gli impianti eolici come “strumento di infiltrazione della mafia”. Del resto di una cosa si può star certi: Sgarbi la storia di Alcibiade la conosce, Salvini e Siri chissà.
La Repubblica Palermo, 25 aprile 2019

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