domenica, settembre 16, 2018

Dossier. Le intercettazioni. I mafiosi e don Pino: "Ci accusa a messa"

SALVO PALAZZOLO
Da Riina a Giuseppe Graviano: i boss odiavano il sacerdote beato. "Ci mette le donne contro"
«Il quartiere lo voleva comandare iddu», non si dava pace Totò Riina, il piccolo parroco di Brancaccio era un’ossessione per il capo dei capi di Cosa nostra. «Ma tu fatti ilparrino, pensa alle messe, lasciali stare il territorio, il campo, la Chiesa, lo vedete cosa voleva fare?». Riina si sfogava con il compagno di cella, e non sospettava di essere intercettato.

«Tutte cose voleva fare iddu nel territorio — insisteva — tutto voleva fare iddu, cose che non ci credete». Gli stessi insulti del tiranno di Brancaccio, Giuseppe Graviano, il capomafia che ordinò l’uccisione del sacerdote, anche lui ormai al 41 bis, dal gennaio 1994. Mafiosi che odiano i preti, quelli che lavorano sul territorio.
Graviano rideva mentre parlava di don Pino: «Gli hanno sparato la sera del compleanno e ai suoi assassini disse, "me l’aspettavo"».
Così sussurrava al camorrista Umberto Adinolfi mentre passeggiava all’ora d’aria. E, intanto, un’altra microspia registrava. Giuseppe Graviano, "Madre natura" come lo chiamavano i suoi, sostiene di essere stato condannato ingiustamente. E in carcere lanciava la sua arringa contro il sacerdote che la Chiesa ha fatto beato perché martire della mafia: «Mi hanno raccontato che era un uomo litigioso — diceva con tono severo — mi hanno raccontato che aveva problemi con tutti, che insultava le persone, che diceva parolacce e che durante le omelie accusava e offendeva». Un odio grande. «Iniziò a parlare contro di me, che in quel periodo ero latitante — il boss si era sentito sfidato — iniziò a fare manifestazioni, durante la messa invogliava le donne a denunciare i mariti appartenenti a Cosa nostra». Odio, e una certezza dei mafiosi: la gente di Brancaccio è dalla parte di Cosa nostra. «La gente gli diceva: " Fatti i fatti tua, fatti i fatti tua... lasciali stare".
Padre Puglisi aveva pure rifiutato di sposare una coppia perché avevano fatto la fuitina e lei era rimasta incinta». Uno sfogo che dice molto sull’atteggiamento dei mafiosi nei confronti dei mafiosi.
In un altro passaggio, il boss racconta che il compagno della donna, «abitante in un appartamento di via Azolino Hazon», aveva aggredito il parroco, «prendendolo a pugni».
Ma il messaggio di don Pino è ormai diventato di esempio per tutta la Chiesa. E questo Graviano lo sa. E non gli sta bene: «Ma perché la Chiesa non vuole sposare i mafiosi?». Il boss di Brancaccio non ha gradito neanche il film di Roberto Faenza su don Puglisi, "Alla luce del sole" si intitola. Un giorno, dopo aver visto un trailer tv, commentava con tono indispettito. «Si lamentava del fatto che fanno vedere la sua immagine vestito elegantemente senza dirne il nome», scrive la Dia, che ha curato le intercettazioni. Il boss protestava contro quella pubblicità: «È falsa l’immagine di mia cognata in minigonna e di mio fratello che le firma un assegno sulle gambe. Tutta colpa degli sciacalli». Ovvero, i pentiti. Mafiosi che odiano i preti e pure chi racconta la mafia. Quel film doveva averlo colpito per davvero. E al compagno di ora d’aria, il camorrista Umberto Adinolfi, il boss siciliano descriveva la scena in cui Bagarella intima a lui e al fratello di uccidere il sacerdote.
Una scena girata al Charleston di Mondello. Adonolfi annuiva, e commentava: «Tu avrai anche potuto uccidere qualcuno, non si sa, però l’hai fatto sempre con una certa onestà». Graviano, "l’onesto". Che conserva ancora tanti segreti.
I pentiti hanno raccontato che i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano avevano fretta di uccidere il parroco. Anche perché Leoluca Bagarella li aveva rimproverati: «Avete perso troppo tempo». Ma perché tanta fretta di uccidere don Pino, che lavorava ormai dal 1991 a Brancaccio?
Perché le sue parole erano diventate pericolose? La moto per il delitto era stata rubata a giugno, ma poi il 15 settembre fu utilizzata addirittura un’auto non rubata, perché c’era urgenza di colpire il sacerdote, che era stato visto a una cabina telefonica. I pentiti non hanno spiegato quale fu la causa scatenante dell’omicidio.
Hanno parlato genericamente dell’impegno del sacerdote a Brancaccio. Però, hanno spiegato che don Pino era pedinato all’interno della parrocchia, addirittura da un medico massone. È rimasto un mistero.
Cosa stava per fare don Pino a Brancaccio?
La Repubblica Palermo, 15 sett 2018

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